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Tocca a Luigina De Santis, della Presidenza dell’Inca e segretaria generale della Ferpa, la Federazione europea dei pensionati. La sua relazione ha per titolo “Le riforme delle pensioni in Europa e le loro conseguenze sulle pari opportunità” .
Le riforme pensionistiche in atto in Europa si stanno muovendo secondo direttrici diverse: si aumentano gli anni di contribuzione per avere la pensione piena (la Francia, ad esempio, è passata da 37,5 a 40 anni) o il numero di anni presi in considerazione per il calcolo della pensione (Austria, Spagna e Finlandia); si rafforza il collegamento diretto tra contributi versati e rendimento pensionistico (Italia e Svezia); si parifica l’età pensionabile tra uomo e donna (Belgio) o, infine, si incrementa l’età legale di pensione (in Germania dal 2012 si andrà in pensione con oltre 65 anni).
Le politiche pensionistiche sono di competenza nazionale, ma tutti i paesi europei si stanno muovendo su obiettivi comuni, tra cui quello di realizzare una maggiore uguaglianza tra donne e uomini. Come saranno le pensioni delle donne che oggi sono al lavoro? Anche se i dati sulle pensioni delle donne sono assai scarsi, esse riceveranno una pensione che rifletterà tutta la loro vita lavorativa, dall’età di accesso al lavoro ai percorsi di crescita professionale (la “carriera”), dall’ammontare della retribuzione percepita ai periodi di congedo per maternità o altre esigenze, dalle interruzioni del lavoro al conseguimento di una pensione complementare. Purtroppo non c’è parità sostanziale tra donna e uomo nel lavoro. Il tasso di occupazione delle donne, in Italia, è del 45,3% contro il 69,9% degli uomini; il loro salario, a parità di condizioni, è inferiore a quello degli uomini. Secondo l’ISFOL la discriminazione salariale aumenta con il crescere del livello di formazione: il differenziale salariale di genere, che nel totale della popolazione lavorativa è del 23%, arriva al 26% tra i laureati e dal 35% per chi ha titoli post-laurea. L’occupazione part-time interessa il 30,3% dei lavoratori occupati: per il 26% si tratta di donne, il 4,3% di uomini.
Eppure le donne sono la maggioranza, il 58,1%, tra gli adulti con elevato titolo di studio. In tutta Europa, le donne sono meno presenti nelle posizioni dirigenziali; in Italia, nel 2005,tra i dirigenti troviamo solo il 31,9% di donne, nonostante l’eccellenza formativa dimostrata. L’Unione europea insiste sulla necessità di puntare alla piena occupazione e sulla creazione di servizi sociali per l’infanzia e le persone non autosufficienti, che consentano a uomini e donne di conciliare lavoro e vita personale. “Gli obiettivi di Barcellona” erano chiari: assicurare l’accesso alle strutture per l’infanzia ad almeno il 33% dei bambini tra 0 e 3 anni e al 90% dei bambini tra 3 anni e l’età di inizio della scolarità obbligatoria. Cosa succede in Italia? Il tasso di occupazione delle donne con figli di età inferiore a 6 anni è pari al 53% contro il 78% della Svezia, il 65% della Francia, il 57% della Germania. L’Istat ci dice che quando la mamma lavora il 52,3% dei bambini di 1 e 2 anni viene accudito dai nonni e solo il 13,5% dai nidi pubblici. Ai bambini tra 0 e 3 anni la Danimarca assicura posti in asili nido per il 60%, la Francia e la Svezia per il 40%.
Vi è una correlazione stretta tra tasso di occupazione e tasso di fertilità. Le donne fanno figli se lavorano.
Le attuali riforme pensionistiche rendono più complicato l’accesso ad una pensione adeguata, che consenta di vivere dignitosamente la vecchiaia, una fase della vita in costante aumento.
E’ il momento dell’impegno su due grandi questioni: nelle prossime settimane il sindacato aprirà il confronto con il governo sull’insieme dei problemi pensionistici ed entro giugno molte lavoratrici si troveranno a dover scegliere la migliore destinazione del loro TFR.
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