11:30
Si prosegue ora con una tavola rotonda sui temi introdotti dalla relazione di Garofalo. Una tavola rotonda senza "rete", così viene definita da Beniamino Lami della Segreteria Nazionale Flc Cgil che ha il compito di coordinarla. Nutrito l'elenco degli intervenuti:
Alessandro Pajno, Astrid;
Gianfrando D'Alessio, Università di Roma;
Giuseppe Catalano, Politecnico di Milano;
Ermanno Testa, Cidi;
Gianna Cioni, ricercatrice CNR;
Daniela Monteforte, Assessore provincia di Roma;
Fabrizio Dacrema, Dipartimento Formazione e Ricerca Cgil. Beniamino Lami dà avvio alla tavola rotonda. A
Giuseppe Catalano pone due domande: 1) il sistema di valutazione in uso nell’Università è perfetto o presenta problemi? 2) E’ possibile, auspicabile, o improponibile, che tale sistema di valutazione sia esteso ad altri comparti?
Questa la risposta di Catalano: “mi scuso, ma una volta fatto l’intervento dovrò andare via perché nel pomeriggio devo partecipare ad analoga iniziativa a Milano. Per rispondere alla prima domanda è necessario un approccio al tema della valutazione e abbandonare l’idea che tutte le volte dobbiamo riformare. In questi anni mi sono occupato di manutenzione e gestione di alcune riforme; troppo spesso abbiamo cercato di riformare i sistemi dedicando invece troppa poca attenzione alla manutenzione dei sistemi. Il “diavolo” è nei dettagli, non nelle scelta di fondo che ormai è stata fatta.
Il sistema di valutazione dell’Università, a mio avviso, non va riformata, ma valutato nei suoi risultati e mantenuto; in caso contrario c’è il rischio di perdere i risultati positivi e negativi.
Non solo questo sistema di valutazione non è perfetto, ma non esiste un sistema di valutazione perfetto. Il sistema va continuamente mantenuto, ha bisogno di essere condiviso, non può restare immobile.
La valutazione deve essere diffusa a tutti i livelli e costantemente aggiornata. Un sistema diffuso di valutazione evita errori. La valutazione va fatta a tutti i livelli; a livello centrale nel rapporto tra Ministero ed Università, ed a livello di singoli atenei.
Ci sono varie dimensioni nella valutazione: la valutazione della ricerca, della ricerca applicata, che evita diffusione di risorse a pioggia; la valutazione della didattica con la conseguente necessità di valutare gli studenti in itinere ed alla conclusione degli studi; la valutazione dell’attività amministrativa; la valutazione della qualità perché anche la qualità deve essere misurata con indicatori, con numeri (sarebbe interessante affrontare l’argomento punizioni/premi all’Università in relazione al numero di studenti che abbandonano o concludono regolarmente gli studi).
Il problema di fondo è che oggi il sistema non dà a tutti gli Atenei “pari opportunità di partenza”: non c’è disponibilità di uguali risorse, e questo può diventare alibi per sottrarsi alla valutazione.
E’ necessaria pertanto la costruzione di un sistema di dati condiviso e aggiornato.
Abbiamo bisogno di dati aggiornati ed omogenei.
La valutazione deve essere strumento quotidiano per ciascuno, anche se ci sono alcuni indicatori che fanno giustizia e altri no. Avere una base di dati aggiornati ci aiuta a scoprire, per esempio, quanti atenei reclutano scaltramente docenti a cui non possono dare aspettative per il futuro, perché stanno assumendo in maniera superiore al 90%.
Moratti conosce l’Università che le raccontano! Non controllare le modalità di reclutamento degli Atenei serve per poter dire poi “non siete capaci, si torna indietro”, col Ministero che distribuirà i posti in base al colore degli occhi o dei capelli dei docenti.
Non sono in grado di rispondere alla seconda domanda, non ho studiato abbastanza. Penso però che alcune cose dette metodologicamente si possono estendere ad altri settori della conoscenza.
Una dimensione dell’autonomia da non sottovalutare è l’autonomia degli studenti, delle scelte degli studenti. Il punto più debole è non garantire pari opportunità a tutti gli studenti, problema specioso di selezione sociale, per cui ad un 30% di studenti capaci, meritevoli e privi di mezzi si dice “devi andare in un’altra Regione”, creando una mobilità perversa degli studenti verso Regioni come Toscana e Piemonte dove le loro qualità possono essere premiate.
Diritti soggettivi così importanti non possono essere rimessi alla scelta delle singole regioni ed in modo così diverso da una regione all’altra. Se gli studenti ricevono aiuti adeguati, possono contribuire al sistema globale di valutazione.”.
Si prosegue ora con un secondo interlocutore. A
Gianna Cioni viene chiesto:“In Italia la ricerca è libera? Quali sono le condizioni materiali perché si realizzi l'autonomia nella ricerca? Questa la risposta: “la ricerca in Italia è sempre meno libera. Perché? Ci sono due punti nella relazione di Garofalo: 1) sulla creatività: senza autonomia non si ha vera ricerca; 2) è necessario partecipare alle decisioni su cosa e come ricercare. La ricerca non è libera perché i finanziamenti sono sempre più scarsi – se non c’è autonomia finanziaria non c’è ricerca libera.
Esiste un interesse pubblico ad avere istituzioni di ricerca che funzionino quindi ad avere istituzioni di ricerca autonome. Se l’Italia è collocata in Europa, e se la ricerca oltrepassa i muri nazionali, occorre seguire la strada della sussidiarietà. Se le istituzioni italiane devono “competere” con le istituzioni europee, devono avere dallo Stato finanziamenti sufficienti per partecipare ai progetti europei di ricerca, quindi devono esistere finanziamenti ordinari per le istituzioni pubbliche di ricerca. Una istituzione ben finanziata è autonoma e quindi può accedere anche a finanziamenti privati senza cambiare la sua essenza. In Italia si sta rinunciando al ruolo dello stato di finanziare la ricerca e si stanno imponendo limitazioni gravi all’autonomia degli enti e di chi fa ricerca: un esempio di ciò è quello che sta succedendo al CNR dove si arriva ad imporre vincoli di segretezza su ricerche finanziate tra l’altro solo dal pubblico". Nella prosecuzione dei lavori Beniamino Lami invita all’intervento
Alessandro Pajno, spiegando che la sua domanda vuole provocare una riflessione “diversa” sull’autonomia. Questa la domanda: “c’è una grossa differenza tra la struttura della chiesa cattolica e le altre chiese protestanti e tra queste quella valdese alla quale io appartengo. Quella cattolica ha una forte concezione gerarchica mentre quelle delle chiese protestanti hanno una struttura democratica dove non esiste una figura predominante. L’autonomia scolastica con l’introduzione della dirigenza scolastica risente quindi della preminenza della cultura cattolica?”
Il professore Pajno ritiene che questa domanda non può aiutare nell’analizzare e nel valutare il tema dell’autonomia scolastica che ha già in sé una dimensione complessa per cui aggiungerebbe un ulteriore elemento di complessità non utile alla discussione fin qui svolta.
Pajno delinea il suo intervento in due punti fondamentali.
Nel primo punto ha portato l’attenzione sulla triangolazione su stato centrale, regioni e sistema scolastico, sottolineando come il processo di costruzione dell’autonomia di quest’ultimo non sia stato quello del passaggio dallo Stato alla Regione e da questa all’autonomia scolastica bensì quello del passaggio diretto dallo Stato al sistema scolastico e dall’altro allo Stato alla Regione.
L’autonomia è stata quindi pensata per il superamento di un modello ministeriale a favore di un’autonomia di un sistema a rete come un insieme complesso perché scuola e territorio sono all’interno di un sistema complesso e diversificato. Il sistema a rete si basa sull’azione integrata di più soggetti (enti locali, Regioni).
Nel secondo punto ha esaminato la giurisprudenza costituzionale sottolineando come la Corte Costituzionale abbia supportato anche se con qualche incertezza la necessità di costruire un modello fondato sulla triangolazione di cui al punto precedente.
A
Gianfranco D’Alessio la stessa domanda fatta a Pajno con un’ulteriore precisazione riguardo ai rapporti fra i vari attori interessati (Scuole, Enti Locali etc) e sulle conseguenze della devolutione. Questa la sintesi della risposta: “Di che cosa va riempita la nozione di autonomia? A partire dal modello che risulta dall’art.21 della legge 59, si rilevano molti aspetti positivi importanti, ma anche forti limiti. Molte affinità, ma anche differenze rispetto all’autonomia di cui godono le Università. L’autonomia scolastica è molto più limitata in campo autonormativo, nell’autogoverno, in materia finanziaria e di bilancio; è sostanzialmente differente nella provvista e nella gestione del personale. Ci sono differenze “naturali” alla base di queste distinzioni.
In questa situazione che significato ha la riforma del titolo V della Costituzione? È stato un modo per limitare l’invadenza delle regioni o si apre un discorso diverso? Si tratta di rimettere mano al modello di autonomia? La separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa ha ricadute sulla figura del dirigente scolastico (che oggi assomma competenze didattiche e amministrativo-manageriali) e sugli Organi Collegiali ( si pensi al Consiglio di Istituto). Il sistema è complicato: ne deriverà una scissione delle figure?
Se c’è una critica che posso fare ad alcune delle posizioni emerse durante questa tavola rotonda è che c’è una visione irenistica del’Università. Forse più che forme di compartecipazione possono valere forme di confronto fra le due autonomie.
Ci sono ancora tre temi. La valutazione dei docenti all’interno dell’articolazione tra unicità della funzione docente, articolazione delle funzioni e carriera docente: ci sono più domande che risposte.
La rappresentanza delle autonomie funzionali è oggi tutta da costruire e potrebbe avere importanti riflessi anche sul versante della proposizione in campo contrattuale.
L’ultimo è il tema della devolution. Stanno scassando la Costituzione. Ma al di là delle questioni di merito e di tutte le negatività che ne deriveranno intendo portare la riflessione sul sistema delle fonti. ne deriverà una frantumazione disordinata delle fonti di legificazione. Le nuove norme si aggiungono ma non sostituiscono il titolo V; restano a livello nazionale le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni; sulle altre materie ci sarà la potestà concorrente/esclusiva delle regioni; a questo si aggiungerà l’autoregolamentazione delle scuole. Ne deriva farraginosità e frantumazione.
Altro dato di preoccupazione deriva dalla quota di programmi di pertinenza regionale: da dove si prende e dove si forma la volontà regolamentativi.
E’ la volta di
Ermanno Testa del Cidi nazionale che interviene sulla base della sollecitazione fatte da Beniamino Lami: l’autonomia della singola scuola o l’autonomia del sistema scolastico? E ancora: “il ruolo degli insegnanti?”
“Sono un osservatore della vita reale – così esordisce Testa - e non uno specialista giuridico. L’autonomia e l’idea dell’autonomia nella scuola sono oggi un pensiero debole. Non c’è molto entusiasmo tra gli insegnanti. Scarse risorse finanziare, interventi che hanno reso rigido il lavoro e la didattica (in particolare quello che ha portato le cattedre a 18 ore).
La nuova scuola sta perdendo un connotato fondamentale: quello dell’inclusione. L’ampia opzionalità e discrezionalità sulla scelta delle materie che è stata introdotta è rappresentativa specialmente nella scuola primaria della perdita del ruolo istituzionale di scuola inclusiva. Una scelta che fa perdere il significato originale della scelta dell’Autonomia. Pochi oggi difendono l’Autonomia, che fino ad ora è stata vissuta dagli insegnati come condizione di difficoltà professionale. La forte ambiguità del ruolo e sul vero significato dell’autonomia anche tra gli insegnanti ne ha fatto percepire anche significati diversi. Privatizzazione, controllo delle famiglie, soluzione del problema scuola nel paese ecc. E’ stata anche esasperata come riforma per eccellenza e non come strumento. Nella scuola superiore l’autonomia è in crisi perché non è strumento di eguaglianza ma strumento di separazione dei percorsi. “Tutto ciò che non è vietato è consentito” è stato un principio pericoloso praticato in molte situazioni per deviarne il senso vero. L’autonomia vissuta come risultato di tutti i difetti che ci portiamo appresso da decine di anni. I profili professionali degli insegnati non sono stati definiti. Sintetizzando il tentativo di modernizzazione è fallito perché non sono chiare le finalità della scuola. Il lavoro sugli insegnanti è mancato a favore di una centralità ricercata solo nella Dirigenza scolastica. Il profilo dell’autonomia è stato solo organizzativo.Il protagonismo degli insegnanti quindi non c’è stato. Va sottolineato che inoltre non è stato curato il miglioramento delle condizioni retributive.
L’Autonomia però serve alla scuola. Occorrono interventi più mirati.
Occorre rilanciare l’autonomia. Non è autogoverno, ma la condizione per raggiungere meglio gli obiettivi nazionali. Le flessibilità è necessarie ma per rispondere meglio agli obiettivi nazionali. Eliminazione delle diseguaglianze formative e sociali. E’ il principio costituzionale dell’inclusività che va praticato. Il CEDE è stato una esperienza utile. Aveva facilitato una esperienza di circolarità delle esperienze reali. Va creato un istituto per realizzare sul territorio la intermediazione tra la ricerca delle scuole e la realizzazione degli obiettivi nazionali. Occorre distinguere tra autonomia e libertà d’insegnamento che sono due cose diverse. L’autonomia è del sistema non della rappresentanza professionale dei docenti.
All’assessore provinciale
Daniela Monteforte, Beniamino chiede di rappresentare le modalità con le quali la Provincia di Roma si rapporta con le scuole autonome, quali sono i suoi interlocutori, e su quali temi, partendo dalla considerazione della complessità di una provincia dalle grandi dimensioni quale quella romana.
A conferma di questa complessità anche quantitativa l’Assessore ricorda alcuni dati numerici: 400 scuole in provincia, 121 comuni fra cui il Comune di Roma. La Provincia ha deciso, e si sta concretamente misurando con questo obiettivo, di realizzare un progetto che veda il coinvolgimento formale e sostanziale di tutti i soggetti che a diverso titolo si muovono sui terreni dell’istruzione e della formazione, fondato sulla costruzione di un sistema di partecipazione democratica, raccordando gli interventi di ciascuno, nel pieno rispetto delle rispettive competenze. Lo strumento individuato è la costituzione di consulte per aree tematiche, che dovrebbero diventare sedi formalizzate,tramite specifiche delibere del Consiglio provinciale, e costanti per le proposte e le decisioni sulle materie di competenza provinciale, avendo a riferimento la normativa vigente.
Su questo punto l’assessore rileva l’opportunità forse di rivederne alcuni punti in ordine alle competenze istituzionali non sempre chiare e precise che rendono più complessa l’attività di governo territoriale, senza per questo pensare a tentazioni neocentralistiche che vanno decisamente respinte a tutti i livelli.
Il progetto nasce proprio dalla volontà di innescare un serio e reale processo di partecipazione democratica, che veda il coinvolgimento di dirigenti scolastici, docenti , Ata, genitori, studenti, nonché di partecipazione anche istituzionale con gli altri Enti Locali, all’interno dei quali va costruita una cultura istituzionale sui temi dell’istruzione e della formazione, da non considerare acquisita diffusamente.
Il progetto prevede anche la costruzione di un Osservatorio in particolare sulla scuola secondaria superiore, date appunto le competenze provinciali in materia, allo scopo di far conoscere e diffondere le buone prassi, anche con l’individuazione di scuole polo. Le Conferenze territoriali, cui dovranno partecipare tutti i soggetti, dovrebbero costituire anche il riferimento per una rappresentazione democratica delle scuole autonome, nonché diventare lo strumento per una pianificazione territoriale, che tenga conto delle vocazioni dei diversi territori.
Nel concludere il suo intervento l’Assessore ribadisce l’opportunità di costruire e garantire le condizioni che sostengano l’autonomia scolastica, intorno a cui deve muoversi il sistema degli Enti locali e non viceversa.
Si va alla conclusione. Beniamino Lami espone l’ultima domanda a
Fabrizio Dacrema: “per la Confederazione è importante che la scuola tuteli i diritti e l’inclusione sociale”. Questa, in sintesi, la risposta di Dacrema: “ci sono tre punti che vuole sviluppare. 1) il rapporto tra autore scolastico e territorio. 2) processo di declino dell’autonomia scolastica e territorio. 3) per contrastare il declino dobbiamo cambiare. L’autonomia che vogliamo è ispirata alla Costituzione quindi autonomia finalizzata alla qualità del servizio. E’ quindi decisivo il rapporto con il territorio. Il declino in corso è dovuto ai modelli che si stanno prefigurando (ipotesi Moratti: concorrenzialità), dove si omologano le necessità e quindi si rompe il rapporto con il territorio. L’altro modello è l’idea “scuola centrica”, perché il liberismo del Governo ha tagliato le risorse e quindi le scuole tendono a chiudersi e a non rapportarsi con il territorio.
Invece il modello dovrebbe essere quello a rete, con indirizzo nazionale che rende unitario il sistema. Occorre quindi cooperazione tra i nodi della rete. Per realizzarsi questo modello ha bisogno di un processo politico che cambi: 1) si deve risolvere la fase confusa dei poteri istituzionali (divisione competenze Regioni e Stato); 2) bisogna promuovere i patti territoriali per lo sviluppo, recuperando il gap esistente tra scuola, formazione, ricerca e sviluppo. Occorre che siano descritti gli obiettivi e si creino dei centri a rete che colleghino le varie competenze; 3) occorrono nuovi modelli di partecipazione, dobbiamo creare situazioni stabili di partecipazione, fare conferenze territoriali per costruire una programmazione dell’offerta formativa. Non è sufficiente contrastare i progetti che sono valutati negativi, ma si deve anche proporre e aprire vertenze territoriali, ad esempio per la formazione continua, che si lega ad esigenze di sviluppo, ad esempio per la scuola dell’infanzia, ad esempio per le scuole integrate.”
Si concludono così i lavori del mattino. Si riprenderà alle 15,30
Servizi e comunicazioni
Agenda
- 5 NOVEMBRE | Presentazione del libro "Nonno, cos’è il sindacato?". Con Gianna Fracassi e don Luigi Ciotti. Centro Binaria di Torino, ore 18:00
- 6 NOVEMBRE | Riunione su CCNI integrazione MOF, DM ripartizione continuità as 2023-24 e Avvio confronto CCNI Economie MOF anni precedenti. MIM, ore 10:30
- 6 NOVEMBRE | Invito audizione Commissioni VII e XI riunite su DL 160/24. Camera dei Deputati, ore 14:00-16:15
- 6-7 NOVEMBRE | Prosieguo lavori rinnovo CCNI mobilità personale docente, educativo ed ATA as 2025/26, 2026/27, 2027/28. MIM. ore 10:00
- 7 NOVEMBRE | Incontro avvio procedure posizioni economiche, passaggi da Coll. scolastici a Operatori. MIM, ore 17:00
- 11 NOVEMBRE | Incontro su MOF. MIM, ore 15:00
- 18 NOVEMBRE | Presentazione del libro "Nonno, cos’è il sindacato?". Con Gianna Fracassi e Angelo Petrosino. Archivio del Lavoro di Sesto San Giovanni, ore 15:30
Seguici su facebook
I più letti
- Le offerte delle Case editrici agli iscritti alla FLC CGIL
- ATA, nuove posizioni economiche per assistenti e collaboratori: pronto il decreto
- Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto PNRR-quinquies
- Studenti e lavoratori lanciano la mobilitazione con lo sciopero di docenti e ATA del 31 ottobre e quello studentesco del 15 novembre
- Personale ATA. Convegno nazionale FLC CGIL - Proteo Fare Sapere a Roma il 21 novembre 2024
- Giovedì 31 una giornata di sciopero in tutta Italia e anche in Sardegna per il comparto Istruzione e Ricerca