FLC CGIL

13:00

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Viene aperto lo spazio "Ne parliamo con...". I temi del dibattito vengono affrontati ora a tre voci da Attilio Oliva, Presidente dell'Associazione Treelle, Francesco Scrima Segretario Generale Cisl Scuola, e da Massimo Di Menna Segretario Generale Uil Scuola. A coordinare gli interventi viene chiamata Gabriella Giorgetti del Centro Nazionale FLC Cgil. Questo l'intervento di Francesco Scrima.

"Innanzitutto ringrazio l’amico Panini e la FLC per l’invito rivoltomi a partecipare a quest’importante iniziativa; ritengo, infatti, che i sindacati della scuola devono condividere i principi su cui deve fondarsi una scuola di qualità.

L’Italia è malata di esterofilia; nella scuola, poi, è molto difficile trasferire i modelli di altri Paesi.

Per fortuna in Italia si è discusso poco dell’indagine PISA; negli USA, anni or sono, i docenti hanno finito per non insegnare più la propria materia, hanno sostituito al programma, le tecniche di risoluzione di quei quiz che regolarmente venivano somministrati.

E’ importante chiederci quale modello di scuola vogliamo. E non possiamo che accogliere la proposta di qualità di Vertecchi che parte dalla necessità di rimuovere gli elementi negativi che ostacolano l’apprendimento degli studenti.

Come fa un buon insegnante a restare tale - si domanda il Segretario della CISL Scuola - se deve spostare la propria attenzione dalla relazione educativa quotidiana con lo studente, ai quiz che verranno somministrati alla sua classe?

Altre indagini europee ed internazionali, negli anni passati, hanno posto la scuola elementare italiana ai primi livelli rispetto agli altri Paesi. Come possono, in pochi anni quegli stessi studenti, diventare così negativi?

L’Italia è sempre stata assente dal Consorzio PISA che prepara i test da somministrare ai giovani; così come non è secondario quanto un Paese investe nell’indagine.

Occorre e lo ribadisco stare attenti, perché non è su questi parametri che si può costruire un vero processo di riforma della scuola.

Su l’indagine PISA si è consumata un’offesa rispetto ai nostri insegnanti; queste analisi sono frutto di astrazione e di una scarsa conoscenza del sistema scolastico italiano.

Occorre per il nostro Paese una riforma vera della scuola; in Italia ci si deve mettere in testa che riformare vuol dire modificare ciò che non funziona. Se non ci si orienterà in questa direzione non si andrà lontano. Ci deve poi essere una consapevolezza diffusa sul fatto che senza risorse, senza finanziamenti, non ci può essere riforma alcuna."

Interviene ora Massimo Di Menna.Dice che sullo stato del nostro sistema di istruzione e sulle difficoltà è giusto e opportuno riflettere ma, forse, PISA viene troppo e troppo spesso strumentalizzata per evitare le problematiche poste dalle OO.SS.

Innanzitutto il metodo: serve davvero il coinvolgimento delle parti sociali, i soggetti tutti che operano nel settore.

Nel merito: serve una scuola per pensare, una scuola che dia ai ragazzi strumenti per pensare e una scuola che favorisca la “mobilità sociale”.

Per questo servono più risorse finanziarie e bisogna agire sulla leva degli insegnanti, della formazione degli insegnanti.

Gli elementi centrali da migliorare nel sistema sono due: la valutazione e l’autonomia scolastica.

Due nodi centrali sia per il governo ma anche per le parti sociali. Ma senza le strumentalizzazioni che invece ricorrono da parte del MIUR.

I problemi evidenziati dall’indagine PISA sono veri ma non devono indurre a modalità sbagliate per le risorse da distribuire, che devono essere date con il coinvolgimento di tutti i soggetti.

E' la volta di Attilio Oliva. Il presidente di Tre Elle ha esorito dicendo che bisogna essere consapevoli che viviamo in un mondo in competizione dalla quale non possiamo chiamarci fuori, perché sarebbe perdente rinunciare a competere. Anche dal punto di vista scolastico. I paesi andati male nell’indagine PISA hanno avuto reazioni diverse, per lo più difensive: la Francia ne ha contestato l’obiettività, l’Italia l’ha semplicemente ignorata, la Germania ha fatto invece un acceso dibattito e ha provveduto anche a lente correzioni. Ma, che ci piaccia o no, PISA è l’unico strumento. Ed è sulla bocca di tutti in tutto il mondo. E’ perdente fermarsi a criticare PISA: se non è perfetto va migliorato. Ma è la nostra immagine nel mondo quello che pesa e pesa anche l’immagine della nostra scuola. Bisogna impedire che si cristallizzino opinioni negative sull’Italia e sulla nostra scuola.

Siamo di fronte al paradosso di una spesa altissima per la scuola, a una spesa altissima per studente (unico parametro per valutare la spesa reale). L’Italia spende il 10 o il 20% in più della media europea per la scuola, e un terzo in meno per l’università. Il problema, come hanno dimostrato le analisi Ocse fatte ai tempi “insospettabili” di Berlinguer, sta nella pessima gestione del sistema educativo: un milione di persone buttae in trincea senza una formazione iniziale. Naturale che i migliori continuino a essere i vecchi insegnanti. Bisogna formare gli insegnanti e selezionarli in questa formazione, come fanno i finlandesi, i quali selezionano così tanto all’ìinizio da non aver più bisogno di valutazioni successive.

Infine è decisiva l’organizzazione, Sono decisive le regole. Raddoppiare gli stprndi può anche essere giusto ma non sarà questo a migliorare la scuola. Il fatto è che non sta in piedi un sistema tutto regolato dal centro. Noi siamo passati da una scuola di leite a una scuola di massa conservando lo stesso modello organizzativo. E’ pazzesco!

Bisogna dare autonomia alle scuole. La legge sull’autonomia non è implementata: i dirigenti scolastici hanno paura, gli insegnanti sono preoccupati. Ma dare la responsabilità alle scuole implica che qualcuno se la prenda: chi se non i dirigenti migliori e gli insegnanti migliori? Bisogna smontare il centralismo e dare spazio alle singole scuole. Le scuole in Finlandia sono dei Comuni e i Comuni ci tengono alle loro scuole. Se c’è un insegnante pazzo il Comune lo rimuove, non lo tiene lì come succede ora. Lo Stato deve avere solo una funzione quella della valutazione esterna. Occorre un atto di fiducia verso la società. Non siamo più alla fine dell’ottocento e tuitti erano analfabeti: allora forse uno stato centralista aveva senso. Bisogna dare le scuole alle comunità locali.