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17:00

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Nel dibattito intervengono Pino Patroncini e Carmine Cirella.

Pino Patroncini richiama il senso delle parole “obbligo scolastico fino a 18 anni”. Obbligo – dice- è diverso da diritto e da dovere. Fa l’analogia con l’obbligo militare e cita H. Carnot che nel 1848 diceva “Nella repubblica chi comanda è il popolo. Per questo è interesse della repubblica che il popolo sia istruito. E nessuno può sottrarsi all’istruzione senza arrecare danno agli latriu e a tutta la società.” Qui sta l’origine dell’obbligo che non può che essere scolastico: l’obbligo formativo è un ossimoro giuridico-nrmativo perché invece risponde al principio che dice “ siccome non vuoi imparare impara almeno un mestiere”. Non è la stessa cosa! C’è un problema di dispersione? Non è un problema di formazione professionale: il problema è come riporto a scuola le persone che non ci vanno. I sistemi di alternanza scuola-lavoro che hanno tanta fortuna in Svizzera Germania e altri paesi europei hanno origine da qui e fanno metà scuole e metà lavoro.

Fino a 18 anni invece implica il fatto di sapere quali sono i saperi indispensabili nel 2000 che devono essere comuni a tutti e che devono essere necessariamente più ampi di 30 anni fa. In che direzione? Saperi scientifici: soprattutto conoscenze legate alla salute e all’ambiente. Saperi tecnologici: soprattutto legati alle tecnologie della comunicazione. Poi saperi trasversali come dice E. Morin: questo implica un rapporto diversi con le discipline e, per noi sindacato, parametri diversi per definire gli organici. E bisogna tenere presente le diffrenze tra le due età 14-16 e 16-18 con diverse disponibilità all’apprendimento negli alunni e diverse maturazioni.

Un’altra cosa da tenere presente è che la storia italiana e di altri paesi dimostra che i processi di innalzamento dell’obbligo si accompagnano a processi di unificazione e non di separazione dei sistemi formativi. Infine noi miriamo a un innalzamento da 14 a 18 anni mentre negli altri paesi a 16 anni almeno ci sono già arrivati e ci sono arrivati in un’altra epoca, quando le classi dirigenti miravano all’integrazione sociale e la scuola ne era uno strumento principe. Oggi certe classi dirigenti non mirano più a questo ma alla disentagrazione sociale.

Carmine Cirella richiama l’accordo di luglio 1993 e i successivi protocolli di intesa con cui il sindacato e la Cgil in primo luogo hanno faticosamente cercato di porre le premesse per la costruzione di un sistema di formazione professionale di fatto inesistente nel nostro paese dopo il sostanziale fallimento della legge quadro del 1978. E’ necessario tener conto di tale percorso per non disperdere il patrimonio di idee e di iniziative che la Cgil e le forze sociali hanno messo in campo nello scorso dicembre. In tal modo è possibile caratterizzare la proposta di un programma della conoscenza come punto di vista “politico” di una forza sociale come la Cgil pienamente autonoma, evitando rischi derive accademiche di carattere sociologico o pedagogico. La proposta dell’elevamento dell’obbligo scolastico a 18 anni rappresenta il cuore di tutto l’impianto programmatico da costruire ed assume finalmente e coraggiosamente un carattere dirompente rispetto al dibattito e al confronto sulle politiche della formazione e della conoscenza, chiamando ad una forte assunzione di responsabilità prima ancora delle forze politiche e sociali , la stessa scuola , i sistemi formativi regionali, l’università, la ricerca, il mondo produttivo.

L’obbligo a 18 anni chiama la scuola ad un profondo rinnovamento non solo organizzativo, ma in primo luogo culturale. E’ necessario riequilibrare il peso della cultura scientifica rispetto a quelle umanistica, valorizzare dal punto di vista dell’educazione l’evoluzione della tecnologia che è alla base delle trasformazioni sociali e culturali dell’era postfordista. La scuola deve impattare la cultura del lavoro fornendo alle persone la conoscenza delle cultura e della realtà del mondo del lavoro, non le competenze tecniche e professionali, necessaria per accedervi ed agirvi in modo consapevole qualificato. La scuola deve garantire a tutti il successo scolastico uscendo dalla propria autoreferenzialità e cultura selettiva, deve rompere l’approccio disciplinare articolando in primo luogo la funzione docente con le attività di accoglienza, tutoraggio, progettazione, accompagnamento, valutazione ecc. E’ necessario un intervento pianificato per riqualificare profondamente la risorsa umana e professionale che opera nella scuola. La formazione professionale dal canto suo non è alternativa all’istruzione né può essere in competizione con essa, ma ne è il necessario completamento, con un ruolo di pari importanza e dignità culturale. La formazione professionale così come è oggi cioè il precipitato ancora informale di percorsi chiari e non compiuti, deve uscire dall’equivoco, dettato da ragioni di pura sopravvivenza, che il suo spazio sia quello dei giovani in età scolare che però non vanno a scuola o ne sono esclusi. Questo approccio è profondamente lesivo ed è un ostacolo alla possibilità di costruire un sistema di fomazione professionale in primo luogo visibile e riconoscibile non solo a livello locale ma anche a livello nazionale non consente alle realtà esistenti di formazione professionale di uscire dalle secche del nanismo, dell’indeterminatezza identitaria, della competizione affaristica, dell’autoreferenzialità di basso profilo qualitativo, dalla condizione di assistenzialismo e dalla diffusione di episodi e pratiche degenerative. La Cgil è chiamata in prima persona ad una responsabilità per alcuni versi ancora maggiore rispetto alle problematiche della formazione professionale sia a livello di federazione che di confederazione. Non è possibile considerare la funzione di rappresentanza e la responsabilità di costruzione di proposte programmatiche come una contraddizione interna al nostro sindacato

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