FLC CGIL

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Sintesi della relazione introduttiva di Enrico Panini
"COSTRUIAMO UN PROGRAMMA PER LA CONOSCENZA"

Presentazione
La Cgil e la Federazione Lavoratori della Conoscenza della Cgil (un nuovo sindacato di categoria che mette insieme in una casa comune tutti coloro che operano nella conoscenza a partire dalla scuola, dall’università e dalla ricerca) sono convinti che occorra definire rapidamente un programma sulla conoscenza in cui siano chiaramente esplicitati gli obiettivi su cui ci si impegna e che solleciti un contributo ampio e partecipato.
Intendiamo avviare questo percorso e dire quanto vogliamo fare, con l’autorevolezza che ci deriva dall’essere, insieme, la maggiore confederazione ed il maggiore sindacato di categoria.

Il tema della conoscenza è fondamentale:
siamo di fronte ad un blocco di interventi su scuola, università e ricerca tali da delineare una delle peggiori riforme della storia della nostra repubblica;
ci sono centinaia e centinaia di migliaia di persone che si sono mobilitate e che hanno diritto ad una risposta.

Il bivio
Scuola, università e ricerca sono di fronte ad un bivio.
Si tratta, infatti, o di rassegnarsi ad assistere ad una progressiva delegittimazione della scuola pubblica, dell’Università, alla riduzione della ricerca a settore servente del mercato, con tutti i drammi sociali che ciò comporterà, o delineare una nuova politica della conoscenza in grado di interagire con lo sviluppo del mondo contemporaneo e dare una prospettiva di sviluppo al nostro Paese.
L’Italia sta scivolando inesorabilmente nella serie B dell’economia planetaria, fuori dal G7.
Ma già oggi siamo fuori da qualsiasi G7 della cultura, della scuola, dell’università, della ricerca e dell’innovazione: la Cina, nel 2002, ha speso 60 miliardi di dollari per la ricerca .
Solo Usa e Giappone hanno speso di più. Noi abbiamo speso meno che nel 2001.
Da tre anni, l´economia italiana è in panne. Francia e Germania non stanno meglio ma c´è una differenza sostanziale. Fra il 2000 e il 2004, la Germania, nonostante la crisi, ha aumentato le esportazioni del 15%. La Francia del 12%. In Italia sono diminuite del 7%. In Germania nel 2000 sono stati concessi 459 brevetti ogni 100.000 abitanti, in Francia 631, in Italia solo 70.

Perché tanta sensibilità alla congiuntura?
Perché nei settori più dinamici del commercio mondiale (farmaceutica, elettronica di consumo, ecc.) la quota italiana nel commercio mondiale si è ridotta negli ultimi anni di circa la metà.
Fra i paesi che compongono l’Ocse solo Polonia, Grecia e Turchia stanno peggio.
Una graduatoria Ocse relativa allo stato di cultura di un Paese misura gli «investimenti in sapere».
Il nostro tasso di aumento in questi investimenti è stato il più basso di tutto il mondo sviluppato.
Portogallo, Polonia, Messico e Grecia sono partiti più indietro di noi, ma i loro investimenti in conoscenza aumentano dell’´8% l´anno, i nostri dell’1,8%.

Il nostro giudizio sui provvedimenti del Governo
Consideriamo inaccettabili le politiche di questo Governo che riscrivono la storia di scuola, università e ricerca trasformandoli da luoghi in cui si dovrebbero superare le disuguaglianze e favorire il progresso a luoghi che affidano la regolazione dei diritti al mercato.
Riteniamo che sui provvedimenti del Governo e del Ministro Moratti non siano possibili mediazioni e che vadano abrogati.

I valori
Mettere in campo una proposta programmatica sulla conoscenza significa, innanzitutto, partire dai valori ed essere su questi molto netti e determinati.
La pace e il rifiuto della guerra e della violenza. Conoscere, accettare, ascoltare sono risorse di pace.
Il diritto alla formazione e alla conoscenza per tutto l’arco della vita.
La dimensione pubblica e laica della scuola, dell’università e della ricerca, come garanzia del pluralismo, della democrazia e delle pari opportunità.
La tutela delle persone da ogni mercificazione delle proprie condizioni in una società sempre più globale, in cui il ruolo della conoscenza e della ricerca diventano fondamentali.
Il riconoscimento e la valorizzazione delle professionalità di tutto il personale.
La professionalità dei lavoratori della scuola è garanzia del diritto ad una formazione di qualità.
L’autonomia della ricerca come condizione perché il nostro Paese diventi un punto di riferimento qualificato sui terreni delle risorse, energie, ambiente, innovazioni compatibili con la dignità ed il rispetto dell’essere umano e dell’ambiente che lo circonda.
L'Europa. Abbiamo proposta al Social Forum di Londra pochi giorni fa di dare vita ad un movimento europeo su questi temi.
Ma è anche necessaria una dimensione solidaristica più generale con decine di Paesi in via di sviluppo nei quali la Banca Mondiale costringe a tagliere le spese per il sapere. Sarà fondamentale l’impegno dell’Italia a non mandare soldati (rispettando l’art.11 della Costituzione) ma a mandare materiali e risorse per sostenere le culture locali e liberare dalla miseria dell’analfabetismo.

1. Metodo e merito
La prima scelta riguarda l’impegno ad aprire nel Paese un grande dibattito democratico su un programma sulla conoscenza, almeno pari a ciò che è accaduto recentemente in Francia.
In questi anni è cresciuta ed è cambiata la percezione della politica, l’impegno, il desiderio di ognuno di confrontarsi.
Sono movimenti maturi e importanti.
Il Paese dovrebbe essere loro grato perché se l’azione del Governo è in visibile difficoltà ciò è dovuto a questi movimenti e alla grande iniziativa che i sindacati hanno messo in campo.
Bisogna assumere il protagonismo delle persone ed il loro coinvolgimento come modalità naturali nella costruzione ed implimentazione di un programma per la conoscenza.

2. L’autonomia delle scuole, delle università, della ricerca
La seconda scelta che proponiamo è relativa all’autonomia.
Bisogna investire con decisione sull’intelligenza dei luoghi collettivi, sulla cultura delle comunità scientifiche, sulla necessità di esercitare la responsabilità nel rapporto con le persone e con le finalità pubbliche.
La recente approvazione alla Camera della modifica alla Costituzione dissolve ogni funzione nazionale, in particolare dell’istruzione, ed è destinata ad impoverire e a dividere il Paese.
Inoltre, occorre individuare un luogo di confronto istituzionale fra tutti i livelli territoriali coinvolti e di coinvolgimento effettivo delle componenti della scuola e della società. Ci riferiamo alla necessità di una sede di confronto permanente su tutta una serie di norme e provvedimenti che non devono più essere delegati alle burocrazie e luogo di esercizio concreto del confronto che non può essere sequestrato dal Ministro di turno.

3. Risorse
La terza scelta riguarda le risorse.
Chiediamo che il rapporto delle risorse investite nella conoscenza con il PIL passi dall’attuale 5% circa ad oltre il 6%, come indicato dalla Commissione Internazionale sull’educazione per il 21° secolo.
Ciò significa concretamente un aumento di oltre 2 punti percentuali dell’attuale spesa rispetto al PIL.
Queste risorse devono essere finalizzate, fra l’altro, a generalizzare davvero gli asili nido, la scuola dell’infanzia statale sull’intero territorio nazionale, a garantire la domanda di tempo pieno e di tempo prolungato, a portare il 100% dei giovani al diploma di scuola superiore, in ciò aggiornando positivamente gli stessi obiettivi di Lisbona 2000, a dare condizioni di vivibilità alle nostre università, ad incrementare i fondi per la ricerca di base, a sostenere un piano nazionale su diritto allo studio, a valorizzare adeguatamente il lavoro di docenti, ricercatori, ata e dirigenti, battere l’analfanetismo e costruire un sistema di educazione permanente.
Bisogna flessibilizzare il Patto di stabilità escludendo dal calcolo del deficit di ogni Paese le spese per implementare gli interventi nel grande campo della conoscenza.

4. Un piano nazionale per il diritto allo studio
La quarta scelta parla ai diritti delle persone e all’investimento sociale rappresentato dal fatto che i giovani, gli adulti siano messi nelle condizioni di incontrare il sapere.
Se il sapere arricchisce le persone e se il beneficio prodotto dal punto di vista economico e sociale è evidente allora il suo costo non può essere caricato sulle spalle dei singoli.
Rivendichiamo un piano nazionale per il diritto allo studio che riconosca, in relazione al reddito, ad ogni famiglia e proporzionalmente alla durata degli studi un contributo economico crescente a testimoniare dell’investimento che il Paese mette in campo.
Inoltre, per realizzare l’educazione per tutta la vita, rivendichiamo la costruzione di una “banca del tempo educativo“, cioè una sorta di capitalizzazione del tempo, un vero e proprio investimento in “previdenza conoscitiva”, alimentato da fondi pubblici (con una prima dotazione di tempo costituita con l’inizio del percorso scolastico) e da investimenti personali al quale attingere per ulteriori percorsi scolastici, formativi, universitari retribuiti.
L’investimento in studio deve risultare premiante.
Per altro ce ne sono tutte le ragioni. Infatti, il rapporto Ocse 2004 sull’educazione “Education at a glance 2004” documenta con chiarezza che i successi educativi e l’innalzamento dell’educazione contribuiscono alla prosperità generale di un paese e favoriscono la crescita economica, nonché la ricerca.
L’impatto a lungo termine nell’area Ocse di un anno aggiuntivo d’educazione va ad accrescere i risultati dell’economia tra il 3 e il 6%.
In Italia, tra il ’90 e il 2000, il contributo dei migliorati livelli educativi alla crescita della produttività del lavoro è stato di 0.58 punti percentuali, la più alta dopo il Portogallo e il Regno Unito tra i 15 paesi con dati comparabili.

5. L’obbligo scolastico
La quinta scelta riguarda l’obbligo scolastico.
Noi rivendichiamo che l'obbligo scolastico sia innalzato fino a 18 anni, in quanto condizione indispensabile per innalzare il livello culturale del nostro Paese e per evitare il rapido scivolamento nelle posizioni marginali dello sviluppo.
E’ una richiesta che viene dal Paese, basterebbe esaminare il fatto che il 95% dei ragazzi e delle ragazze si iscrive alla scuola secondaria e che un numero crescente di giovani punta a completare gli studi secondari. Richiesta che però non riesce ad essere soddisfatta, dati i tassi ancora elevati di abbandoni e di selezione (tra i più alti in Europa).
Parliamo di obbligo scolastico non a caso, dopo che le politiche di questo Governo hanno scardinato ogni praticabilità dell’obbligo formativo riducendolo ad un apprendistato dequalificato.

6. L’educazione degli adulti e l’apprendimento per la vita
La sesta scelta riguarda diversi milioni di adulti e vuole dare una risposta vera al dramma, individuale e collettivo, di un 43% della popolazione adulta a rischio di analfabetismo.
Un numero crescente ed enorme di persone non ha più alcun rapporto con un apprendimento formale.
La scelta che noi rivendichiamo è quella di azzerare l’analfabetismo di ritorno nel nostro Paese.
Secondo l’Istat nel 2003 solo il 10% delle famiglie italiane ha speso qualche euro per l’acquisto di libri. Come ricorda De Mauro, solo nel 25% delle case italiane ci sono più di cento libri. È un dato molto negativo: questa variabile è quella che più influenza il buon andamento a scuola dei ragazzi e condiziona i percorsi di vita e professionali degli adulti.
E’ molto bassa, inoltre, la quota di adulti che partecipano a attività educative o formative. Sono il 4,2% circa, cioè meno della metà della media europea.
E’ un’emergenza nell’emergenza.
Il recente Rapporto sulla povertà testimonia con chiarezza che non tutti gli analfabeti funzionali sono poveri ma che però tutti i poveri sono analfabeti funzionali.
In questo senso le 150 ore, ovvero la possibilità di utilizzare permessi retribuiti, devono essere estese e, per chi non lavora, la frequenza a corsi di istruzione e formazione deve essere incentivata con sgravi fiscali e con facilitazioni.
Analoga considerazione vale per l’università rivolta agli adulti che riprendono un rapporto con lo studio.
Se cresce il livello di conoscenza della popolazione cresce il benessere complessivo del Paese.
In questa direzione un’attenzione particolare agli anziani ed ai loro bisogni di conoscere e sapere, che sovente rappresentano una sorta di recupero su quanto non è stato possibile fare prima, costituisce un investimento importante.

7. La ricerca
La settima scelta intende rivendicare che gli Enti di ricerca siano posti nelle condizioni di operare garantendone l'autonomia, responsabilizzandone la gestione ed ampliando fortemente, al loro interno, il numero di ricercatori giovani e le loro possibilità di qualificato lavoro scientifico.
Rivendichiamo un consistente rifinanziamento sia dei bilanci ordinari degli Enti, sia di quei canali che sostengono direttamente la ricerca di base, il cui sviluppo è stato fortemente compromesso.
Deve essere garantita la continuità nel tempo dell’investimento, perché nessun.
Complessivamente la spesa pubblica per la ricerca deve essere portata al 3%.
Inoltre, è necessario investire sul reclutamento di giovani ricercatori e tecnici incrementando di almeno 20.000 unità l’attuale dotazione, fra le più basse d’Europa.
A livello di sistema nazionale bisogna dare vita all’Assemblea della Scienza e della Tecnologia, formalmente soppressa dal ministro Moratti, il cui scopo è quello di fornire al Governo ed al Parlamento uno strumento per interloquire con l’intera comunità scientifica del Paese.
E’ necessario intervenire con urgenza per invertire il degrado in atto, l’impoverimento scientifico del nostro Paese e una crescente fuga di cervelli che poi, per le condizioni della ricerca nel nostro Paese, non tornano più.
La fuga dei cervelli riguarda anche le condizioni, visto che poi non tornano.

8. Triplicare il numero dei laureati
L’ottava scelta è decisiva per rilanciare la qualità nel nostro Paese e ci porta a rivendicare la necessità di politiche attive per triplicare il numero dei laureati.
L’Italia ha una quota di laureati che è la metà di quella degli altri paesi europei di pari peso demografico: 70.000 invece che 150.000. Fino a pochi anni fa si laureava solo il 30% degli iscritti al primo anno: una selezione selvaggia. Ora la percentuale dei laureati è del 50%.
L’Ocse nel suo rapporto “Education at a glance 2004” ci attribuisce un tasso d'ingresso del 50%, a livello della media, ma quasi il 60% di coloro che entrano all’Università non arrivano ad ottenere un titolo, cosa che rappresenta il più alto tasso di drop-out tra i paesi Ocse.

9. Il lavoro
La nona scelta, che tutte le ricomprende, riguarda l’imperativo di investire sul lavoro di quanti operano nel settore strategico della conoscenza siano essi docenti siano ausiliari, tecnici o amministrativi.
Formazione, retribuzione, condizioni professionali dignitose, lotta alla precarizzazione, un piano straordinario di reclutamento e immissioni di giovani nelle qualifiche ATA e docenti sono condizioni base.
La precarizzazione forzata di pezzi enormi di categoria è la rappresentazione più devastante di questa condizione.
Dove più la continuità di riferimento e di relazione con gli studenti ha un senso ed un significato, dove l’investimento nel tempo determina la qualità della ricerca e della sperimentazione si sceglie, invece, di introdurre una forte precarietà.
Il 20% nella scuola, il 50% nella ricerca e nell’università sono lavoratori precari".

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