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A Paola Nicolini dell’Università di Perugia viene chiesto cosa succede ad un bambino quando deve rispondere a prestazioni che non sa assolvere ma, per rispondere alle aspettative dell’adulto, cerca comunque di dare attraverso un adattamento. I bambini possono avere gli strumenti cognitivi per produrre i prodotti che vengono richiesti. Si chiede se nella scuola che anticipa c’è la volontà di capire i processi. Riprende un autore che ha scritto negli anni sessanta, Eric Erickson, perché propone un modello di sviluppo per tutto l’arco della vita. Dice che tra i due e i quattro anni la conoscenza di sé ha bisogno di consolidarsi; quanto più i bambini saranno inseriti in contesti di ricerca tanto più saranno capaci di autoregolarsi, di conoscersi. Più i bambini sperimentano il successo, più possono assumere “iniziative”; viceversa l’insuccesso fa sorgere il dubbio e il senso di colpa. Far prevalere il senso dell’autonomia e dell’iniziativa su quello della vergogna e del dubbio significa far sì che il bambino possa raggiungere l’autocontrollo senza perdere la stima di sé. Un bambino di due anni e mezzo, inserito in un gruppo di bambini più grandi può non avere capacità di negoziazione che è invece presente in un gruppo di pari. Qui l’insegnante ritorna ad essere centrale per coprire quel buco nero che si forma quando i bambini non si sentono tra pari. A sei anni scatta una richiesta diversa, quella del profitto e della valutazione. Per fare questo il bambino ha bisogno di sapersi impegnare. Gli viene, infatti, chiesto di modificare il suo comportamento rispetto alla scuola dell’infanzia. Infatti, nella scuola elementare è privilegiato l’aspetto frontale dell’insegnamento, il rispetto delle norme è più rigido, in quanto determinante per il profitto e la valutazione.