Università: non servono giochi di prestigio sui requisiti minimi
La FLC CGIL chiede un piano di reclutamento straordinario.
Anche il MIUR si è reso conto che “l'offerta formativa - dell'Università - rischia di essere pregiudicata dalle limitazioni in materia di turnover previste dalla normativa vigente”.
Così esordisce il Decreto Ministeriale 194 del 27 marzo 2015 “Requisiti accreditamento corsi di studio” che suggella il fallimento, da noi più volte denunciato, delle procedure di reclutamento Universitario e l'effetto nefasto del blocco del turn over.
Al fine di consentire la tenuta dell’offerta formativa, infatti, tale decreto allenta i vincoli posti dal rispetto dei requisiti minimi necessari all'accreditamento dei corsi di studio, permettendo di conteggiare tra i docenti di riferimento di un corso fino al 30% di docenti a contratto e allargando le tipologie contrattuali ammissibili anche “1) a docenti ai quali siano attribuiti contratti ai sensi dell'art. 23 della legge 30 dicembre 2010, n. 240; 2) docenti ai quali siano attribuiti contratti ai sensi dell'articolo 1, comma 12, della legge 4 novembre 2005, n. 230.
Queste norme sono “transitorie” e rimarranno valide solo in vigenza di limitazioni del turnover e non oltre l'anno accademico 2017-2018.
Il Miur recepisce, nei fatti, quanto deliberato dall’ANVUR, ponendo ancora una volta il problema del rapporto tra Ministero e Agenzia di valutazione. Più preoccupante è però il richiamo alla necessità di norme transitorie nella condizione “transitoria” del blocco del turnover: è evidente, infatti, che ci sono poche cose più stabili nel nostro paese delle norme transitorie.
Certamente nelle intenzioni del MIUR questa è di una misura tampone volta a rispondere ad una vera e propria emergenza Università certificata dal crollo dei docenti, dei ricercatori e anche degli immatricolati. Tale misura risponde però a logiche note e sbagliate: sostituire con lavoro precario funzioni stabili.
La FLC ha fin da subito ritenuto positivo l’aver posto un limite alle docenze a contratto indicando dei requisiti minimi per l’attivazione dei corsi di studio connessi alla numerosità del personale strutturato. Tuttavia, la ragionevolezza di questi limiti non poteva che fondarsi su reclutamento ordinato di nuovi docenti e sul pieno riconoscimento della didattica svolta, spesso a titolo gratuito, dei ricercatori in esaurimento. La storia è andata diversamente, i requisiti minimi si sono trasformati in una vessazione burocratica in un contesto di blocco sostanziale del reclutamento e di scarse prospettive di carriera per tutti.
Anni di continui definanziamenti, riforme fallimentari e processi di precarizzazione hanno prodotto un'istituzione in profonda sofferenza: che chiude corsi; introduce il numero chiuso per insufficienza di docenti; espelle i giovani ricercatori.
L'emergenza Università richiede quindi altri interventi. A fronte del crollo del personale universitario (- 30% per i soli professori ordinari dal 2008 al 2013, -21% il totale dei docenti in meno), del contestuale incremento (in chiave sostitutiva) di ricercatori e docenti precari con svariate (e fantasiose) forme contrattuali; dell'espulsione di più del 93% dei ricercatori precari negli ultimi 10 anni, come testimoniano i dati di “Ricercarsi”; non si può rispondere con giochi di prestigio.
All'Università italiana servono piuttosto un reclutamento straordinario di nuovi docenti, sblocco del turnover per tutto il personale universitario e serie politiche di investimento.
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