Il Programma fondamentale della FLC Cgil
Programma
Indice
2. L’autonomia delle scuole, delle università, della ricerca
4. L’inclusione e il diritto allo studio
6. L’educazione degli adulti e l’apprendimento per la vita
7. La ricerca e gli Enti pubblici di ricerca
8. Per un’Università di massa e di qualità
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Presentazione
La Cgil e la Federazione Lavoratori della Conoscenza della Cgil sono convinte che sia necessario definire rapidamente un Programma sulla conoscenza in cui siano chiaramente esplicitati gli obiettivi su cui ci si impegna.
Su di esso deve essere sollecitato un contributo ampio e partecipato ed il pronunciamento di chi si candida ad un progetto alternativo a quello delle forze che compongono l’attuale maggioranza.
Per noi è fondamentale che alla discussione e alla costruzione del Programma contribuiscano più soggetti, oltre alle forze politiche, sindacati, singoli cittadini, associazioni professionali e movimenti per rendere possibili partecipazione e protagonismo.
Occorre, infatti, uscire dal tatticismo e dalle angustie con le quali il tema del Programma è stato affrontato fino ad ora nel dibattito politico del Paese, perché così facendo lo si svilisce e basta.
Per quanto ci riguarda, nell’esercizio della nostra autonomia, abbiamo avviato questo percorso e ora presentiamo la nostra proposta, con l’impegno che ci deriva dall’essere, insieme, la maggiore confederazione ed il sindacato più rappresentativo della categoria.
Con questo atto la Cgil riafferma, con una scelta di trasparenza, la propria autonomia e ribadisce che intende proseguire sul terreno delle grandi scelte politiche e di merito, valorizzando cosi l’esperienza più matura del movimento sindacale italiano.
Chi esercita il diritto di proposta pratica l’autonomia come valore.
Siamo di fronte ad un blocco di interventi su scuola, università e ricerca tali da delineare le peggiori “riforme” della storia della nostra repubblica e contro questo blocco centinaia e centinaia di migliaia di persone si sono mobilitate ed ora hanno diritto ad una risposta.
Occorre accompagnare e sostenere lo straordinario movimento di lotta che ha attraversato e attraversa il Paese contro i provvedimenti del Governo e del Ministro Moratti su scuola, università e ricerca con una proposta che dia gambe ad un’altra idea possibile di sistema educativo, formativo, universitario e di ricerca.
Serve un chiaro impulso programmatico perché, considerata l’enormità dei problemi che si stanno accumulando nel Paese e per superare i guasti profondi prodotti dall’ideologia neoliberista del centro destra, non servono aggiustamenti ma un Programma alternativo nei valori di riferimento e nelle politiche.
Sulle nostre proposte programmatiche, presentate il 19 di ottobre 2004 alla Sapienza, abbiamo aperto un ampio dibattito, convinti che ci sia bisogno di rivitalizzare la vita pubblica, di rafforzare i legami sociali, di spingere verso la partecipazione attiva, tutte condizioni indispensabili per la qualità della democrazia cui aspiriamo, nella quale il sindacato confederale è soggetto attivo della dialettica democratica.
A quanti in questi anni hanno preferito dipingere il movimento che si è sviluppato nella scuola, nell’università e nella ricerca come un soggetto conservatore, senza proposta, noi rispondiamo con i fatti, con le migliaia di iniziative promosse in questi mesi e a seguito delle quali presentiamo oggi, con un approccio sistematico e complessivamente alternativo, questa nostra proposta programmatica e un’idea di percorso basata sulla partecipazione attiva, su un processo di ascolto della società, sul riconoscimento del ruolo fondamentale della partecipazione civile.
I valori
La nostra proposta programmatica sulla conoscenza si ispira a valori che riteniamo fondamentali e fondanti per le scelte che operiamo.
La pace e il rifiuto della guerra e della violenza. Ricercare, conoscere, ascoltare sono risorse di pace.
La dimensione pubblica e laica della scuola, dell’università e della ricerca, come garanzia del pluralismo, della democrazia e delle pari opportunità.
L’uguaglianza e la pari dignità sociale. Istruzione, formazione e ricerca pubbliche come occasioni di promozione sociale, al di là delle condizioni di partenza.
Il diritto alla formazione e alla conoscenza per tutto l’arco della vita. Va assicurata a tutti la possibilità di accedere e di rimanere con successo nei percorsi formativi, scolastici e universitari, in una società sempre più globale, in cui il ruolo della conoscenza e della ricerca diventano fondamentali per la cittadinanza attiva e consapevole.
Il riconoscimento e la valorizzazione delle professionalità di tutto il personale, come diritto ad una formazione qualificata, come sostegno ed incentivazione della professionalità, e conseguenti miglioramenti della condizione economica.
L’autonomia della ricerca e dell’insegnamento da condizionamenti politici ed economici, a garanzia della libertà del loro esercizio e della loro funzione in un modello di sviluppo fondato sulla conoscenza.
L'Europa, intesa come modello sociale di riferimento, luogo dove lo sviluppo basato sulle conoscenze deve consentire una crescita economica sostenibile rispettosa dei diritti delle persone.
Sono valori che ispirano la nostra proposta programmatica.
Senza valori dichiarati e perseguiti ogni soluzione non potrà che essere votata alla tecnicalità e, come tale, risultare subalterna al pensiero dominante del momento.
1. Metodo e merito
Noi chiediamo l’impegno ad aprire nel Paese un grande dibattito democratico sul Programma per la conoscenza.
Questo è importante non solo per il coinvolgimento dei diversi soggetti, ma anche per ridefinire strumenti e finalità per una realtà che negli ultimi 20 anni si è profondamente modificata.
In questi anni è cresciuta ed è cambiata la percezione della politica, l’impegno, il desiderio di ognuno di confrontarsi.
Il grande movimento per la pace e le stesse lotte che la Cgil ha messo in campo a partire dal 2002 hanno portato alla ribalta nuovi soggetti, hanno mobilitato tanti giovani, hanno offerto una visione più laica della politica.
Un numero crescente di persone non condivide più una pratica della politica nella quale i luoghi della discussione e del confronto sono rarefatti ma vuole confrontarsi di volta in volta sulle proposte per poi scegliere se impegnarsi o meno in una battaglia, in un progetto.
Analoga riflessione vale per il movimento sulla scuola, l’altro grande movimento che assieme a quello per la pace ha caratterizzato questi anni. Cinque manifestazioni nazionali, migliaia di iniziative locali, la presenza di genitori e studenti, associazioni professionali ed istituzioni, hanno rappresentato una realtà fondamentale.
Il movimento in corso nell’università è straordinario e sta dilagando a macchia d’olio dovunque. Da ultimo il successo dello sciopero del 2 marzo scorso ne è una evidente conferma.
Sono movimenti maturi e importanti.
Il Paese dovrebbe essere loro grato perché se l’azione del Governo è in visibile difficoltà ciò è dovuto in gran parte a questi movimenti e alla grande iniziativa che i sindacati hanno sviluppato.
Bisogna assumere il protagonismo delle persone come modalità naturale nella costruzione di un Programma per la conoscenza.
Nei prossimi mesi il rapporto con la società e con i movimenti dovrà diventare un tratto costitutivo per costruire proposte e produrre cambiamenti in questi settori.
Noi temiamo l’ingegneria istituzionale che prescinde dal rapporto e dal vissuto delle persone, la temiamo come processo che cerca la soluzione più semplice, quella immediatamente spendibile, il punto di migliore adattamento.
Per questa ragione registreremmo come un pericolo il continuismo nei programmi.
Per questo va cancellata la filosofia dei provvedimenti su scuola, università e ricerca e vanno abrogate le relative norme di legge o regolamentari.
Per questo sono necessarie nuove e contestuali norme che garantiscano un modello sociale futuro in cui il valore della conoscenza e del lavoro siano una esplicita scelta di riferimento.
2. L’autonomia delle scuole, delle università, della ricerca
L’autonomia delle istituzioni formative e della ricerca è una sorta di spartiacque fra la pretesa di leggi totalizzanti e centralistiche, e i ricorrenti tentativi di ridurre le istituzioni formative e di ricerca ad organizzazioni che vendono un servizio sul mercato. Consideriamo l’autonomia la via di uscita per sfuggire a questa dicotomia, il momento di sintesi tra la libertà di insegnamento e ricerca e la responsabilità nei confronti dell’intera società.
II nostro obiettivo è formare al sapere critico, al contrario la tradizionale struttura centralistica è congeniale al consolidamento del sapere unico dominante. Intendiamo in tal senso recuperare il senso pieno dell’autonomia che ci consegna la Costituzione, fondato sui principi della laicità, del pluralismo e della democrazia.
Noi vogliamo tenere insieme le due dimensioni della libertà di ricerca e di insegnamento (art.33 Cost.) e della promozione, da parte della Repubblica, della cultura e delle scienze (art.9 Cost.). Gli obiettivi del sistema formativo e della ricerca sono determinati dalla legge e non modificabili; gli strumenti ed i percorsi attraverso i quali perseguire questo obiettivo devono essere determinati dalle istituzioni formative e di ricerca, interpretando autonomamente i bisogni sociali.
Il fallimento stesso dei ricorrenti tentativi di leggi di riforma globale del sistema attraverso l’imposizione di regole rigide, uguali per tutti, suggerisce la necessità di cambiare metodo, di arrivare a norme che si limitino a dettare le regole dell’autonomia e gli standard che si vogliono mantenere uniformi.
L’autonomia è lo strumento per superare il modello centralistico ministeriale, con un sistema a rete, basato sull’azione integrata di più soggetti (Enti Locali, Regioni, Comunità europea).
Occorre cooperazione tra i nodi della rete. Per realizzarsi, questo modello ha bisogno di un processo politico che:
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risolva ogni confusione di competenze tra i poteri istituzionali;
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promuova patti territoriali per lo sviluppo o altri strumenti convenzionali, attraverso nuovi modelli di partecipazione, come ad esempio le conferenze territoriali.
L’autonomia richiede più e non meno risorse, provenienti essenzialmente dalla fiscalità generale, contro il rischio di deresponsabilizzazione degli organi pubblici in ordine all’attribuzione di risorse al sistema.
Contro il rischio dell’autoreferenzialità e irresponsabilità, va disegnato un quadro normativo che stabilisca con chiarezza gli obiettivi e gli standard del sistema. Le decisioni operative devono essere assunte all’interno della sequenza programmazione-autonomia-valutazione. In tal senso occorre combinare la valorizzazione delle differenze e le esigenze di unità.
La programmazione – che spetta al potere politico ai vari livelli di governo (comunitario, nazionale, regionale) - deve coinvolgere, nella fase istruttoria, i sistemi autonomi di formazione e ricerca attraverso opportune forme di rappresentanza dei sistemi stessi. La valutazione deve essere svolta da soggetti terzi e su parametri condivisi, confrontati con gli organismi rappresentativi dei sistemi autonomi. L’autonomia non può risolversi in una autocrazia; al contrario l’attività di ricerca e di insegnamento possono essere efficaci solo se le relative decisioni sono prese con la partecipazione attiva nelle decisioni di tutti coloro che operano all’interno della stessa istituzione, ripensando alle attuali forme e sedi di rappresentanza e di partecipazione anche a livello di singola istituzione.
Noi vogliamo cancellare la legislazione che sta producendo lo sfascio delle istituzioni pubbliche di formazione e di ricerca: per questo occorrono provvedimenti legislativi leggeri, rinviando all’autonomia, regolata e con risorse adeguate, la gestione e la realizzazione dei principi legislativi.
3. Le risorse
Il rapporto delle risorse per la ricerca, per l’educazione e la formazione con il PIL deve crescere dall’attuale 5% circa ad oltre il 6%, come indicato dalla Commissione Internazionale sull’educazione per il 21° secolo.
Ciò significa porre concretamente l’obiettivo di un aumento di oltre 2 punti percentuali dell’attuale spesa rispetto al PIL.
Queste risorse devono essere finalizzate, fra l’altro:
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ad incrementare il numero degli asili nido;
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a generalizzare la scuola dell’infanzia statale sull’intero territorio nazionale, garantendo standard di qualità;
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a garantire la domanda di tempo pieno e tempo prolungato;
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a portare il 100% dei giovani al diploma di scuola superiore - in ciò aggiornando positivamente gli stessi obiettivi di Lisbona 2000;
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a triplicare il numero dei laureati e a migliorare la qualità della loro preparazione;
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ad estendere e finanziarie adeguatamente la ricerca di base, ma anche ad incentivare la domanda di ricerca da parte del sistema produttivo;
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ad un piano straordinario di assunzioni di giovani ricercatori;
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a sostenere un piano nazionale sul diritto allo studio scolastico ed universitario;
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a valorizzare adeguatamente il lavoro di docenti, ricercatori, ata e dirigenti;
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a battere l’analfabetismo;
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ad un piano per l’edilizia scolastica;
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a costruire un sistema di educazione permanente.
L’impiego delle risorse su tutti i punti sopra elencati dovrà essere finalizzato a riequilibrare il crescente divario Nord -Sud, rafforzando gli interventi a favore di un welfare più inclusivo.
Sono queste le condizioni finanziarie necessarie affinché l’accesso ed il successo scolastico e formativo, la formazione per tutto l’arco della vita, e la libertà di ricerca siano diritti esigibili.
Esse, del resto, costituiscono l’investimento necessario per contrastare il declino sociale ed economico in cui il nostro Paese sta precipitando e per costruire un qualificato modello di sviluppo.
La storia dei nostri settori è caratterizzata da grandi promesse e da drammatiche smentite.
Su scuola, università, accademie e conservatori e ricerca occorre, invece, investire con decisione portando la relativa spesa ai primi posti in Europa.
Consideriamo questo l’investimento sul futuro, quindi una condizione per noi irrinunciabile.
4. L’inclusione e il diritto allo studio
Perché il sistema formativo nazionale sia veramente inclusivo occorrono:
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risorse finanziarie e professionali, certe, stabili e funzionali all’attuazione di un’offerta formativa effettivamente inclusiva;
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continuità dei sistemi formativi in orizzontale e in verticale, per abbattere i tassi di dispersione scolastica e incrementare i processi di mobilità sociale;
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tempi distesi per i processi di apprendimento e individualizzazione dell’azione didattica;
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idonee attività di orientamento, a supporto di scelte consapevoli e reversibili;
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un sistema unitario di educazione permanente degli adulti;
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l’obbligo scolastico fino a diciotto anni.
A livello territoriale occorrono:
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una attenta programmazione che assicuri una capillare presenza delle istituzioni formative, evitando inutili sprechi;
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forte coordinamento fra gli interventi di competenza delle istituzioni formative e delle regioni e degli enti locali, per una reale integrazione dei soggetti più deboli, a partire dai disabili;
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la messa in rete di servizi e di opportunità culturali esistenti sul territorio, nelle scuole e nelle università (biblioteche, musei, siti archeologici, mostre…) per una reale e diffusa fruizione da parte dei soggetti in formazione;
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apertura delle scuole e delle università alla città;
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spazi e attrezzature che migliorino la vivibilità delle scuole e delle università.
Proponiamo un piano nazionale per il diritto allo studio che, nel rispetto delle competenze regionali ed in una logica di riequilibrio territoriale, riconosca ad ogni individuo, in relazione al reddito e proporzionalmente alla durata degli studi, un contributo economico e in servizi, tale da testimoniare l’investimento che il Paese mette in campo.
Occorre che, all’interno del piano, si realizzi uno stretto coordinamento ed una piena collaborazione tra tutte le istituzioni che hanno competenza in materia.
Proponiamo la costituzione, anche in via contrattuale, di una “ banca del tempo educativo“, che consenta, attraverso un diverso rapporto tra tempo di lavoro e tempo di formazione, l’esercizio del diritto alla formazione lungo tutto l’arco della vita e la realizzazione di un’efficace “manutenzione” e promozione delle professionalità.
Una politica per il diritto allo studio deve anche porsi l’obiettivo di recuperare le persone escluse dai percorsi scolastici ed universitari, a partire da quel 35% di giovani che non possiede un diploma e da quel misero 4,6% della popolazione adulta che partecipa a qualche attività di formazione.
In particolare un’attenta politica nazionale per il diritto allo studio è indispensabile per rimuovere il gap formativo tra Nord e Sud, evidenziato dai dati della ricerca PISA dell’OCSE.
5. L’obbligo scolastico
Proponiamo l’innalzamento dell’obbligo di istruzione fino a 18 anni di età per elevare il livello culturale del nostro Paese e per evitare il rapido scivolamento nelle posizioni marginali dello sviluppo.
E’ questa una scelta di civiltà in una società dove la complessità e la velocità dei cambiamenti culturali, sociali, e del lavoro richiedono, per essere cittadino consapevole, saperi e competenze più sofisticati e consolidati, quindi una più lunga e ricca formazione di base. Così chiede anche l’Europa, a partire dall’obiettivo posto dalla Conferenza di Lisbona nel 2000, di garantire l’acquisizione del diploma ad almeno l’85% dei giovani in età, entro il 2010.
L’obbligo scolastico, così come delineato dalla Costituzione, sostiene la libertà dell’individuo, contrastando l’effetto negativo dei condizionamenti socio-culturali di partenza nell’esercizio del diritto all’istruzione. Nella società della conoscenza l’uguaglianza delle opportunità passa attraverso l’acquisizione di un’autonoma capacità di fruizione delle conoscenze, senza la quale non può effettivamente attuarsi la formazione lungo tutto l’arco della vita.
Per questo va ripristinato l’istituto costituzionale dell’obbligo di istruzione, come responsabilità degli adulti nei confronti dei giovani, elemento cardine di un sistema scolastico inclusivo, in sostituzione del più debole diritto dovere.
Per raggiungere e garantire in tempi certi l’obiettivo dell’obbligo di istruzione fino ai 18 anni, proponiamo che esso sia immediatamente elevato a 16 anni, e a 18 anni entro la fine della legislatura.
Per questo occorrono interventi coordinati e graduali su istruzione, lavoro e formazione professionale:
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al posto delle leggi approvate da questo Governo, proponiamo una legislazione snella che, radicale nelle finalità e negli obiettivi, indichi le risorse, i tempi e le procedure;
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un forte investimento nella valorizzazione e nella formazione dei docenti, per sviluppare una nuova cultura professionale, fondata sul lavoro cooperativo e la centralità dell’apprendimento;
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sostegno all’autonomia scolastica e alla ricerca didattica per realizzare condizioni e percorsi finalizzati a garantire a tutti il successo scolastico;
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un piano nazionale per il diritto allo studio, che potenzi e renda effettivamente praticabile l’obbligo a 18 anni per tutti;
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l’età minima di accesso al lavoro va portata subito a 16 anni, e si deve riformare l’apprendistato, secondo le linee indicate dalla proposta della CGIL sul mercato del lavoro;
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legge quadro per costruire il sistema nazionale di formazione professionale che, nel pieno rispetto delle competenze regionali, ne definisca ruolo, identità, finalizzazione: formazione post obbligatoria al lavoro, sul lavoro, gestione degli snodi.
La cultura del lavoro deve entrare a pieno titolo nel percorso formativo di tutti i giovani per completarlo, anche attraverso l’integrazione, in particolare nel triennio finale, con la formazione professionale, nella chiarezza dell’ identità, del ruolo e delle finalità dei diversi sistemi, scolastico e di formazione professionale, definiti dalle rispettive legislazioni.
Occorre realizzare gradualmente un modello di scuola secondaria superiore, di competenza statale fondato essenzialmente su un biennio unitario ed un triennio, articolato in indirizzi, in cui la differenza sia data dai diversi approcci culturali (umanistico, scientifico, tecnologico….) di pari valore formativo, una struttura oraria unitaria, con opzionalità via via maggiori nel corso del triennio; un definitivo abbandono della scissione fra sapere e saper fare.
6. L’educazione degli adulti e l’apprendimento per la vita
Bisogna azzerare l’analfabetismo di ritorno nel nostro Paese ed elevare i livelli di istruzione della popolazione.
Per questo occorrono:
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norme quadro che sanciscano il diritto di ciascuno alla formazione per tutto l'arco della vita, definendo le competenze dello stato, delle regioni, delle province e dei comuni, in una logica di sussidiarietà;
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risorse sia per il potenziamento delle strutture che per incentivi alle persone, sotto forma di detrazioni fiscali (anche rivolte alle imprese), o di banca del tempo educativo, o di tempo da computare all'interno dell'orario di lavoro;
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rafforzamento del ruolo e delle competenze dei Servizi per l'impiego anche sul fronte formativo, per garantire il diritto di ciascuno a conoscere ed essere orientato verso le diverse opportunità formative, attraverso la messa in rete con i Centri Territoriali Permanenti (CTP) e con altre strutture pubbliche e del privato sociale presenti nel territorio;
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strumenti normativi e/o amministrativi e risorse adeguate che da un lato rafforzino il ruolo e la specificità dei CTP, dall'altro aprano sempre di più le sedi formative a tutte le forme di educazione degli adulti e di formazione continua (scuole, università, centri di formazione professionale, punti di attività dell'associazionismo ecc.);
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forme di riconoscimento dei percorsi formativi e delle competenze acquisite anche attraverso esperienze non formali e informali, tramite un sistema di crediti che motivi le persone verso la formazione e favorisca le sinergie tra la scuola e le altre agenzie formative presenti nel territorio, all'interno di meccanismi rigorosi di accreditamento che superino i gravi limiti delle attuali normative;
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nuovi percorsi professionali per gli operatori dell'educazione degli adulti (docenti, tutor, animatori territoriali ecc.) e processi di riconversione per altre figure professionali che vi volessero accedere, in direzione di figure che devono essere dotate di competenze sempre più specifiche;
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piattaforme territoriali sull'educazione degli adulti, finalizzate a governare unitariamente l'insieme delle risorse (Fondo Sociale Europeo, Leggi 236/93, Fondi interprofessionali), per individuare le priorità ed evitare interventi ridondanti;
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piattaforme contrattuali, che colleghino percorsi formativi certificati allo sviluppo dell'inquadramento e al salario, e che garantiscano il diritto alla formazione anche attraverso il rilancio dell’istituto delle 150 ore;
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ammortizzatori sociali, soprattutto per i giovani e i lavoratori più anziani, finalizzati a sostenere percorsi formativi per l’inserimento al lavoro e in tutte le fasi di interruzione del lavoro, dovute a licenziamenti, cassa integrazione o altro.
7. La ricerca e gli Enti pubblici di ricerca
Gli Enti di ricerca devono essere posti nelle condizioni di operare in autonomia, responsabilizzandone la gestione ed ampliando fortemente, al loro interno, il numero di ricercatori giovani e le loro possibilità di qualificato lavoro scientifico.
Gli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) sono stati sottoposti negli ultimi anni ad un violento attacco che ha prodotto una loro paralisi crescente. E’ necessario intervenire con urgenza per invertire il degrado in atto, l’impoverimento scientifico del nostro Paese e una crescente fuga di cervelli che, per le condizioni della ricerca nel nostro Paese, non tornano più.
Proponiamo un consistente rifinanziamento sia dei bilanci ordinari degli Enti, sia di quei canali che sostengono direttamente la ricerca di base, il cui sviluppo è stato fortemente compromesso e che va altrettanto fortemente rilanciato.
Deve essere garantita la continuità nel tempo dell’investimento, perché nessun programma o progetto di una qualche serietà può essere predisposto su base annuale.
Complessivamente la spesa pubblica per la ricerca deve essere portata al 3%. Per realizzare questo risultato occorre certamente un incremento dei finanziamenti a carico del bilancio dello Stato, ma occorre anche intervenire per favorire i finanziamenti provenienti dagli altri livelli di governo: quello comunitario e quello regionale. Ma occorrono anche interventi per incentivare la spesa di ricerca delle imprese che, in Italia, è abnormemente bassa, utilizzando gli strumenti esistenti, dai distretti industriali agli incubatori di imprese, dai parchi scientifici e tecnologici agli strumenti di programmazione negoziata.
Far svolgere il lavoro tecnico ed il lavoro di ricerca utilizzando il precariato è cosa sbagliata: in questo modo né si fa buona ricerca, né si formano buoni ricercatori; di conseguenza, è necessario investire sul reclutamento di giovani ricercatori e tecnici, incrementando da subito di almeno 20.000 unità (tra EPR e Università) l’attuale dotazione, fra le più basse d’Europa, come misura tampone nel medio periodo per fronteggiare i pensionamenti attesi e prevedendo una ripresa stabile e programmata del reclutamento a regime.
La pratica indegna dei commissariamenti a raffica rende evidente quanto poco importi l’opinione dei ricercatori sui progetti e programmi di ricerca e sull’assetto dei loro stessi Enti. La partecipazione del personale alle scelte non è un
optional al quale si possa rinunciare senza danneggiare la qualità stessa della produzione scientifica degli Enti.
A livello di sistema nazionale bisogna dare vita all’Assemblea della Scienza e della Tecnologia, formalmente soppressa dal ministro Moratti, il cui scopo è quello di fornire al Governo ed al Parlamento uno strumento per interloquire con l’intera comunità scientifica del Paese.
E’ necessario introdurre un efficiente sistema di valutazione e definire uno “
Statuto della ricerca” che indichi e delimiti, anche e soprattutto a livello dell’attività individuale, le condizioni dell’autonomia di ricerca, dell’attività di programmazione e della partecipazione dei ricercatori ad essa nelle singole realtà e dell’attività di valutazione.
Infine, serve un impegno del nostro Paese per costruire un programma di rilancio della ricerca a livello europeo, di definizione di un vero e proprio spazio europeo della ricerca. Per fare ciò occorre definire contemporaneamente una base materiale per costruire un Programma di rilancio; essa può consistere nello scorporo delle spese per ricerca, sviluppo e infrastrutture dal rapporto con il Patto di stabilità. Questa decisione può partire dalle scelte che generano il cofinanziamento delle politiche europee e da quelle che conducono a decisioni comuni.
8. Per un’Università di massa e di qualità
Al centro della nostra iniziativa politica sta la costruzione di un’Università che sia, insieme, di massa e di qualità. Il perseguimento di entrambi questi obiettivi è indispensabile sia per garantire il diritto ad un’istruzione superiore e ad una cittadinanza consapevole, sia per costruire realmente un modello di sviluppo fondato sulla diffusione di massa di saperi critici. Uno dei ritardi più gravi sul fronte del sapere che il nostro Paese registra è costituito dall’insufficiente numero dei laureati, non paragonabile agli altri Paesi dell’Unione, essenzialmente per l’alto numero degli abbandoni. A questo problema ha inteso in primo luogo rispondere la riforma del 3+2, che, a tre anni dall’avvio, registra una consistente crescita del numero dei laureati, oltre il 20% in più, con una importante rispondenza all’obiettivo quantitativo. Crediamo che ciò non basti, e che la modulazione dell’offerta formativa debba nei prossimi anni condurre a triplicare il numero dei giovani con laurea.
E’ parimenti necessario avviare un’attenta riflessione qualitativa sull’esperienza della riforma didattica; l’esperienza del 3+2 ha visto luci ed ombre. ma spesso la frammentazione dell’offerta didattica ha portato a risultati discutibili. Per la laurea triennale, occorre ripartire dalla necessità di costruire mix di saperi generali e specialistici che possano essere ragionevolmente contenuti nei tre anni, riservando alla successiva laurea specialistica non un successivo approfondimento degli stessi saperi, ma il loro completamento con conoscenze e discipline diverse.
Per realizzare un simile ambizioso obiettivo, servono più risorse per l’università sia in termini finanziari, sia nel numero dei docenti di ruolo: nei prossimi anni circa il 40% degli attuali professori e ricercatori lasceranno il servizio e ciò implica che solo per garantire il necessario ricambio sia necessario prevedere da subito il reclutamento di almeno 20.000 giovani ricercatori (tra Università e EPR).
L’università non può rinunciare all’attività di ricerca: essa serve sia a garantire il livello qualitativo dell’offerta formativa, sia a fornire il necessario contributo di conoscenza allo sviluppo economico e sociale del paese. L’attività a tempo pieno nelle università dei docenti deve essere caratteristica primaria del rapporto di lavoro ed a questa caratteristica devono essere funzionali sia il reclutamento dei docenti, sia il loro stato giuridico. L’università deve fare più ricerca, sia tramite una maggiore partecipazione dell’università italiana alla programmazione comunitaria, sia attraverso una maggiore e più coordinata attività di ricerca e trasferimento tecnologico rivolta al territorio in cui essa opera.
I giovani ricercatori devono essere assunti a tempo indeterminato, dopo una breve fase di formazione che inizi con il dottorato di ricerca, riconducendo tutte le attuali forme di precariato ad una unica forma contrattuale a tempo determinato, le cui dimensioni quantitative siano correlate alle previsioni di reclutamento da parte del sistema universitario nazionale.
La valutazione dell’attività didattica e di ricerca deve diventare strumento quotidiano della vita degli atenei: il più grande ostacolo al perseguimento di questo obiettivo sta nella perversa commistione tra reclutamento e valutazione. Non basta quindi il riconoscimento, pur necessario e giusto, dei ricercatori come terza fascia ordinaria della docenza universitaria, ma è urgente e necessario prevedere l’articolazione della carriera docente in un ruolo unico, con più livelli: il passaggio da un livello all’altro deve conseguire a severe valutazioni dell’attività scientifica, didattica e di servizio effettivamente svolta. Queste caratteristiche del rapporto di lavoro docente non possono essere adeguatamente garantite dalla legge, ma devono essere ricondotte alla contrattazione, riservando alla legge la definizione dei diritti e doveri direttamente connessi all’attività di docenza e di ricerca.
9. Il lavoro
I lavori della conoscenza sono caratterizzati da un tratto identitario molto forte che è rappresentato dalla loro natura sociale: realizzare diritti di cittadinanza ed espandere la diffusione dei saperi e delle competenze nell’interesse generale del paese.
Nelle istituzioni formative e di ricerca pubbliche la libertà di ricerca e di insegnamento e l’autonomia professionale sono tratti fondanti, insieme alla laicità ed al pluralismo, per garantire i quali devono essere assicurate trasparenza e imparzialità nel reclutamento del personale.
Condizioni che si realizzano solo attraverso la previsione costituzionale del pubblico concorso.
La dimensione cooperativa e collegiale è elemento caratteristico di tutti i lavori della conoscenza, la cui autonomia culturale e professionale contrasta con ogni forma di gerarchizzazione.
Ne consegue che il governo delle istituzioni formative e della ricerca deve realizzarsi attraverso la partecipazione democratica alle decisioni da parte di tutti coloro che operano al loro interno. Essa è condizione per garantire l’ efficacia e la qualità dei sistemi.
Ma la dimensione qualitativa e professionale dei lavori della conoscenza è strettamente correlata anche alla stabilità del lavoro.
E’, quindi, necessario rompere la spirale della precarizzazione selvaggia dei rapporti di lavoro che si è abbattuta sui nostri settori: il rapporto di lavoro a tempo indeterminato deve diventare la forma ordinaria di assunzione e di prestazione. In particolare, nei settori privati dei lavori della conoscenza dove lo smantellamento del lavoro subordinato e delle tutele produce il ricorso sempre più massiccio al lavoro precario e non regolato.
La Costituzione garantisce la libertà di insegnamento e di ricerca e i diritti fondamentali del lavoro; il rapporto di lavoro, invece, deve rimanere (per i docenti delle scuole e per i ricercatori degli EPR) o diventare (per i docenti universitari) disciplinato dalla contrattazione.
La contrattualizzazione dei rapporti di lavoro, infatti, garantisce a tutti i livelli bilateralità, trasparenza, controllo democratico, contro la regolazione per legge, unilaterale, discrezionale e fondata sulla delega politica, che si vorrebbe realizzare nella scuola con la proposta di legge sullo stato giuridico della docenza.
Occorre un’inversione di tendenza nelle politiche del personale. La centralità del ruolo dei sistemi formativi e di ricerca richiede il riconoscimento sociale e la valorizzazione delle professionalità dei lavoratori della conoscenza.
Occorre, quindi, garantire innanzitutto il rispetto dei diritti contrattuali, la stabilizzazione dei rapporti di lavoro, il diritto ad una formazione iniziale di alto profilo specialistico e alla formazione permanente, qualificata e riconosciuta, l’innalzamento dei livelli retributivi, la valorizzazione delle professionalità.