Progetto di legge regionale della Lombardia: sui diritti non ci possono essere soluzioni regionalistiche
Approvato dalla Giunta il progetto di legge che tenta di delineare un sistema di istruzione e formazione regionale, con soluzioni non condivisibili su obbligo di istruzione e buono scuola.
Nei giorni scorsi la Giunta regionale della Lombardia ha approvato all’unanimità il Progetto di legge regionale “ Norme sul sistema educativo di istruzione e formazione della Regione Lombardia”. Il progetto di legge passa ora all’esame del Consiglio regionale.
Già dalla scelta del titolo si evince la provocazione/sfida che la giunta di centro destra di quella regione lancia al governo nazionale: siamo di fronte ad un tentativo, neanche troppo velato, di interpretazione regionale della norma nazionale che ha elevato l’obbligo di istruzione e che attende di essere regolamentata.
Mentre il Governo nazionale si dice impegnato a scrivere le indicazioni per il biennio obbligatorio in cui l’elevamento dovrà essere realizzato, la regione Lombardia ha preparato il suo boccone avvelenato.
La normativa scolastica del precedente governo di centro destra è il vero riferimento del progetto di legge lombardo. Esso è solo apparentemente mitigato dal riferimento alle norme della Finanziaria 2007: obbligo di istruzione e diritto dovere vengono posti sullo stesso piano, come si trattasse di sinonimi!
Si afferma esplicitamente la possibilità di iscriversi indifferentemente alle istituzioni scolastiche o formative per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione; si ripropone il buono scuola, da erogare a chi frequenta le istituzioni del sistema di istruzione e formazione.
Non viene preso neppure in considerazione il decreto legge Bersani sulle liberalizzazioni, approvato la settimana scorsa dalla Camera dei deputati; in qualche misura si nega il suo contenuto, continuando a parlarsi di istituzioni scolastiche autonome da trasferire dallo Stato alle Regioni.
Così come tutto l’articolato si muove giocando sull’ambiguità insita nell’espressione “ istruzione e formazione professionale”, attribuendole un significato che ricomprende anche la scuola.
Insomma siamo in presenza di un tentativo di piegare il sistema di istruzione statale verso derive regionalistiche, come se il referendum dello scorso anno non ci fosse stato e non avesse sonoramente bocciato quell’ipotesi!
Noi continuiamo a pensare che il sistema di istruzione debba rimanere nazionale e che la modifica del Titolo V della Costituzione non ha messo in discussione in alcun modo questo assunto.
Pensiamo altresì che sia necessario che Stato e Regioni condividano il senso ed il significato di quella modifica, per evitare un conflitto interistituzionale ricorrente che non fa bene alle persone per le quali la distribuzione di competenze tra stato e regioni deve essere elemento per una maggiore garanzia di diritti e non il suo contrario. L’esigibilità di un diritto fondamentale quale quello all’istruzione, infatti, non può dipendere dal luogo dove le persone nascono e vivono.
Il diritto all’istruzione è determinante per l’esercizio di tutti gli altri diritti, in una società complessa come la nostra, che ha fatto della conoscenza l’elemento che determina l’inclusione piuttosto che l’esclusione delle persone.
L’accesso e la qualità del sistema di istruzione vanno garantiti universalmente ed ugualmente in tutto il territorio italiano e non possiamo in alcun modo consentire letture ed interpretazioni diverse, fatte in modo unilaterale da singole regioni.
Roma, 27 marzo 2007
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