Regionalizzazione scuola, legge di iniziativa popolare per dire no: i sindacati promettono battaglia
Un no netto a qualsiasi forma di regionalizzazione dell’istruzione. A ribadirlo oggi i sindacati di categoria Flc Cgil, CISL Scuola, UIL Scuola, Gilda e Snals che, insieme al Coordinamento per la Democrazia Costituzionale hanno dato il via ad una raccolta firme per la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare per la modifica dell’articolo 116 e 117 della costituzione.
La proposta dei sindacati pone un vincolo alla richiesta di autonomia, che può essere concessa solo se “giustificata dalla specificità del territorio”.
Inoltre la proposta esclude “la possibilità di una generica Legge quadro in ambito nazionale che lasci sostanzialmente campo libero a intese tra Stato e singole Regioni”. I sindacati hanno ribadito con forza la loro contrarietà al disegno di “autonomia differenziata” che, hanno sottolineato, “produrrebbe una frammentazione del sistema e degli interventi indebolendo l’unità del Paese, con il rischio di aumentare le diseguaglianze senza garantire la tutela dei diritti per tutti i cittadini e ampliando i divari territoriali”.
“L’autonomia differenziata non riguarda soltanto la scuola, ma questa è uno degli obiettivi particolari di chi vuole la regionalizzazione – ha spiegato il presidente del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Massimo Villone – per tre motivi: identitario, di risorse e di gestione politica”. Quest’ultimo punto, per Villone, è il più importante. La scuola entra nelle famiglie, e quindi “si avrebbe a disposizione un’armata per la formazione della gestione del consenso». Se questi lavoratori «sono governati da un assessore regionale e non dal ministero, significa molto in termini di gestione politica”, ha detto Villone.
Dopo l’incontro di mercoledì scorso con i Presidenti di Lombardia, Veneto e Emilia Romagna, il governo tira dritto. Si va verso una legge di attuazione entro fine anno: la possibilità di chiedere il decentramento di tutte le materie previste, compresa l’istruzione. Nell’idea del governo prima di Natale ci dovrebbe essere il passaggio in Consiglio dei Ministri, all’inizio del 2023 l’esame in Parlamento ed entro la fine di ottobre il varo definitivo. Le Regioni meridionali, e non solo, sono pronte alle barricate.
In verità, proprio sul tema della regionalizzazione della scuola il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha raffreddato la pista, giudicando l’autonomia differenziata per la scuola un tema non all’ordine del giorno e senza dubbio non una priorità: “In questo momento ci sono cose più importanti: il dimensionamento scolastico, l’orientamento, il rinnovo del contratto”, ha detto il Ministro.
Quattro settori coinvolti
Sono quattro le materie coinvolte: la scuola, la sanità, l’ambiente e le politiche del lavoro, materie sulle quali verrà aperta la trattativa. Alle Regioni virtuose sarà consentito di ottenere un aumento delle somme destinate alle prestazione. Si ipotizza di prevedere un monitoraggio ogni tre anni. Non verrà erogato un solo euro in più: tanto lo Stato spende, tanto lo Stato darà.
La bozza del disegno di legge “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione” risulta completa, in questa nuova formulazione, con alcune modifiche rispetto alla bozza elaborata dal ministro Maria Stella Gelmini nell’aprile 2022.
All’articolo 3 si parla anche di scuola. I livelli essenziali di prestazione sono applicati, infatti, anche in questo settore. Ad esempio, entro il 2027, ogni Comune dovrà mettere a disposizione il 33% dei posti negli asili nido per i bambini di fascia 0-3 anni e fissare i numeri di alunni e docenti per ogni scuola e classe.
Si legge: “Nelle materie di cui all’articolo 117, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, della Costituzione e nelle materie della tutela e sicurezza sul lavoro, dell’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale, e della tutela della salute, (…) il trasferimento delle competenze legislative o delle funzioni amministrative e delle risorse corrispondenti ha luogo a seguito della definizione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.