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Una scuola da salvare intervista a Ornella e Floriano, insegnanti della scuola Battisti di via Palmieri di Agnese Bertello Una scuola con una storia importante alle spalle, in un quartiere popo...

26/05/2002
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Una scuola da salvare
intervista a Ornella e Floriano, insegnanti della scuola Battisti di via Palmieri
di Agnese Bertello

Una scuola con una storia importante alle spalle, in un quartiere popolare che ha accolto gli immigrati che arrivavano dal nostro meridione e ora quelli che arriano da più lontano ancora..Una scuola che ha fatto dell'integrazione il suo cavallo di battaglia e che per il futuro scommette sugli immigrati (senza i loro figli avrebbero già chiuso, ci dicono). Una scommessa per tutto il quartiere: per lo Stadera, infatti, la scuola rappresenta un'isola felice, uno spazio in cui confrontarsi, conoscersi, parlarsi è possibile, un presidio civile e un patrimonio comune da difendere.

Cominciamo con l'inquadrare il fenomeno. Quanti bambini immigrati ci sono nella vostra scuola?

Il fenomeno ha avuto una crescita notevole negli ultimi cinque anni, con punte di nuovi ingressi altissime negli ultimi due anni. Il totale dei bambini nel plesso Palmieri è di circa 300; di questi, 130 sono stranieri. Una settantina circa sono di recente immigrazione, cioè bambini che sono qui al massimo da due anni. Finché in classe arrivavano due, tre bambini stranieri, si possono giocate carte di un certo tipo, ma adesso, secondo una statistica che ci siam presi la briga di fare internamente, ogni quindici giorni arrivano due o tre nuovi bambini. Quello che possiamo fare, in una situazione di emergenza come questa, è dedicarci all'accoglienza, a stabilire un contatto con le famiglie, a dare la primissima alfabetizzazione. Poi però entra in gioco l'aspetto più propriamente scolastico, formativo, educativo e questo è assolutamente da potenziare; il laboratorio linguistico può non bastare.

C'è una prevalenza netta di un particolare gruppo etnico - com'è per il Trotter - oppure c'è una maggiore mescolanza tra le etnie?

Fino a un po' di anni fa avevamo soprattutto bambini arabi, arrivavano dal Marocco e dall'Egitto, negli ultimi anni è decisamente cresciuta la presenza di bambini latino americani - dall'Ecuador e dal Perù - e asiatici: la comunità filippina ha avuto un vero boom.

Noti delle differenze - dovute alla cultura di provenienza - nel modo di reagire e interagire dei genitori di questi bambini?

Abbiamo più difficoltà a raggiungere i genitori latino americani, ma credo dipenda dall'organizzazione alquanto complicata di vita e lavoro: lavorano moltissimo, spesso lontano da casa, tornano tardi; inoltre, sono abituati a delegare l'educazione dei bambini. Per noi non è una novità; qui nel quartiere, è da anni ci confrontiamo con questa realtà: sono molti i genitori che di fatto delegano alla scuola il compito educativo dei figli. È difficile anche portarli a rispettare le regole e i tempi della scuola italiana. Lo scoglio, con i genitori dei bambini arabi, invece, è innanzitutto linguistico e culturale. Stiamo facendo un lavoro enorme per agganciare le mamme arabe, la cultura femminile del mondo arabo, e devo dire che ci siamo riusciti, ma quando si chiede una collaborazione di famiglia, allora cadiamo nel vuoto. Noi tradizionalmente deleghiamo alla figura paterna un ruolo più legato alla disciplina, al rispetto delle regole; in questi casi non troviamo riscontro. Sono sempre le mamme a mediare tra la scuola e il capo famiglia, per questo stiamo cercando di riqualificare il ruolo educativo e di competenza educativa della madre: paga molto di più che non arrivare a una gestione comune di valori di disciplina, di ordine. Questo lo dico senza alcun intento discriminatorio: sono differenze sostanziali delle nostre culture e per noi è un dato oggettivo con cui fare i conti..

Che cosa significa però nel concreto lavorare in una classe multietnica'

Una gran fatica degli insegnanti che avrebbero bisogno di strumenti molto concreti per imparare a leggere la classe multiculturale. Adesso siamo arrivati a pesare bene la fatica dell'accoglienza e poi c'è l'esperienza professionale dei colleghi che da anni lavorano sul territorio e sanno accogliere il bambino straniero, come poteva essere accolto anche il bambino italiano "difficile", ma ormai in quasi tutte le classi è il gruppo che crea l'accoglienza e fatta scattare questa prima scintilla, i bambini diventano i primi mediatori: loro sì che sono veramente bravi a integrare. I formatori ci dicono frasi tipo: "si va verso una nuova frontiera", "la classe è il contesto dell'accoglienza", "il curriculum interculturale deve essere lanciato nelle classi"' Noi speriamo tanto, davvero tantissimo, che ci arrivino anche gli strumenti e i finanziamenti per poterlo fare.

Come reagiscono i genitori italiani?

Per ora stanno a guardare, vogliono capire cosa sta succedendo. Noi qui siamo un po' un'isola felice. Si avverte un po' di curiosità, ma il lavoro è solo cominciato. Attraverso le feste cerchiamo di dare visibilità al lavoro che stiamo facendo, di testimoniare la varietà delle culture che nella classe confluiscono: sono cose che aiutano questo processo di conoscenza reciproca. Le feste sono per noi un'occasione per riqualificarci, per noi come scuola con tutti i genitori, ma anche per il quartiere verso l'esterno. Bisogna imparare a costruire qualcosa di diverso insieme. L'integrazione si fa coinvolgendo bambini e adulti.

Ho notato che lavorate molto con le associazioni del quartiere, con le altre scuole, che cercate cioè di unire le forze, allargare il cerchio con attività rivolte anche a genitori, a bambini delle materne o ancora più piccoli'

Stiamo lavorando con altre scuole e con organismi, associazioni al di fuori della scuola, anche per promuovere momenti di animazione, di integrazione del programma didattico - come Musicopoli . Da soli no, ingusciati e chiusi, no; quello che vogliamo costruire è una rete. Va costruita, va tutelata, va promossa' Come dicevo la multiculturalità per noi deve essere un'occasione per rilanciare la scuola, che ha passato periodi delicati, e deve essere un'occasione anche per il quartiere.

Prima Floriano mi parlava dell'esperienza di integrazione con "casi difficili", bambini italiani emarginati. La tua esperienza, Floriano, qual è?

L'utenza di questa scuola è sempre stata difficile. Io lavoro qui dal 1977 e ormai conosco personalmente un pezzo della sua storia. Il nostro è un quartiere popolare, di edilizia popolare, prettamente operaia; ci sono state diverse ondate di immigrazione, prima ovviamente dal nostro meridione, poi, di recente, dai paesi extracomunitari. Negli anni Ottanta e Novanta era un quartiere molto malfamato - soprattutto per lo spaccio di droga, e io so per certo che usavano anche i bambini come corrieri. Poi per un certo periodo, l'amministrazione si è mossa: c'era un presidio dei vigili, c'era un'associazione Arci, c'era un centro giovani. Adesso è tutto chiuso: è rimasta la scuola a presidiare il territorio, perché è questo oggi la nostra scuola, un presidio civile e qualcuno dovrebbe darci una mano.

E invece'

La scuola è enorme: 3 piani disposti a "u", con un giardino in mezzo, 36 classi per piano, 20 bambini per classe... Negli anni del boom economico avevamo fino a 700 alunni, adesso ne abbiamo 300 e se non ci fossero gli stranieri avremmo già chiuso. E invece la scuola perde in media una classe all'anno; i casi sono due: o veniamo accorpati, o chiudiamo proprio definitivamente. Ma ripeto, questa scuola è un presidio, è una zona di frontiera. Io sono andato a dirlo in commissione scuola al Consiglio di zona: cosa succederebbe se la scuola chiudesse? Che ne sarebbe del quartiere? Nessuna risposta. Disinteresse totale. La scuola è un patrimonio di tutti, anche di chi figli o nipoti non ne ha, anche di quelle persone che pur abitando qui davanti, iscrivono i loro figli da un'altra parte. Le scuole intorno scoppiano perché prendono tutti quelli che dovrebbero venire qui.

Perché accade, se la scuola è valida?

Perché alle 7,30 di mattina, quando arrivo, trovo cocci di bottiglia e bottiglie vuote davanti all'ingresso della scuola, quando non ci trovo le siringhe. Noi facciamo di tutto: porte aperte, feste nella scuola e nel quartiere, collaborazioni con associazioni, abbiamo dei bellissimi laboratori, corsi di ogni tipo, riceviamo attestati di stima da tutte le parti - l'ultimo è del ministro Moratti, che anche sul sito del Ministero ci ha lodati -, ma al di là di questo la situazione rimane quello che è. Non possiamo lottare da soli contro una situazione così complessa, non possiamo occuparci noi perfino dell'ordine pubblico.

Eppure, gli insegnanti che ho conosciuto qui mi sembrano molto motivati

Non so: quelli che dovrebbero arrivare non arrivano, non vogliono venire e noi abbiamo sempre posti vacanti, quelli che sono qui da tempo, ormai sono stufi, spossati. Che cos'altro dobbiamo fare ancora? si chiedono tutti e sono stufi di vedere le loro fatiche vanificate. Aspettiamo lo scandalo, il caso eclatante, il dramma, così magari qualcuno si decide.


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