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Vuoi fare un dottorato? Paga. L’ultima frontiera della ricerca

Pubblicata la quarta indagine dell'Associazione Dottorandi Italiani (Adi). Con o senza borsa, molti atenei hanno aumentato tasse e contributi ai giovani ricercatori. I tagli all'università voluti da Tremonti e Gelmini hanno creato un emorragia: -19% di dottorati dal 2008 con punte drammatiche a Sud (-38%)

31/05/2014
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il manifesto

Roberto Ciccarelli

uoi fare un dot­to­rato di ricerca? Paga. La quarta inda­gine rea­liz­zata dall’associazione dei dot­to­randi ita­liani (Adi), pre­sen­tata ieri nell’aula magna dell’Istituto nazio­nale di sta­ti­stica a Roma, illu­stra uno degli effetti della riforma Gel­mini a tre anni dalla sua appro­va­zione. Nove ate­nei (sui 59 cen­siti) hanno aumen­tato tasse e con­tri­buti ai dot­to­randi che hanno vinto una borsa di studio.

Al primo posto della clas­si­fica sti­lata dall’Adi risulta l’università della Basi­li­cata con 1072,48 euro, segue l’università Poli­tec­nica delle Mar­che con 1051,38 euro (+743%), poi Parma (880), Fer­rara (600), Ber­gamo (500), Siena (440) Sas­sari (379), Pie­monte Orien­tale (346), Palermo (345) e Pavia (293). C’è poi lo scan­dalo dei «vin­ci­tori senza borsa». Oltre alla para­lisi buro­cra­tica, e alla morte per asfis­sia da tagli, la riforma Gel­mini ha peg­gio­rato l’esistenza dei dot­to­randi che pagano per fare ricerca. Secondo l’Anvur, tra il 2003 e il 2013 que­ste figure erano più della metà dei dot­to­randi: tra il 55 e il 57%. Il boom è stato pro­vo­cato dalla riforma che ha eli­mi­nato il limite mas­simo dei «senza borsa». Per fer­mare il ricorso a que­sti bandi il Mini­stero dell’Istruzione e dell’università è stato costretto a tor­nare sui suoi passi fis­sando al 75% il numero minimo di borse di stu­dio pagate per ogni corso di dottorato.

Per l’Adi que­sta misura non ha cam­biato la situa­zione. L’università di Salerno, ad esem­pio, chiede ai ricer­ca­tori senza borsa 1875 euro all’anno per i tre anni della durata del dot­to­rato. Seguono Roma Tre con 1763 euro, il Poli­tec­nico di Milano con 1640 euro, lo Iuav a Vene­zia con 1608 euro, La Sapienza (1543), il Poli­tec­nico di Torino (1459), l’università medi­ter­ra­nea di Reg­gio Cala­bria (1418), la Magna Gre­cia di Catan­zaro (1277), Pisa (1241) e Firenze (1209). L’Adi regi­stra anche casi in cui la tas­sa­zione per i senza borsa è dimi­nuta come a Sas­sari (-78,49%, da 520,75 nel 2012/13 a 112 euro nel 2013–4).

Que­sta è la dif­fi­cile strada che aspetta chi ha il desi­de­rio di ini­ziare un lavoro di ricerca in Ita­lia. Lo Stato con­si­dera il dot­to­rando ancora come uno stu­dente che paga le tasse uni­ver­si­ta­rie. Que­sta tut­ta­via è solo una parte della verità per­chè il dot­to­rando è anche un ricer­ca­tore che svolge un lavoro. Que­sta ambi­guità dello sta­tus giu­ri­dico è unica in Europa. L’Adi chiede di scio­glierla creando per­corsi ad hoc «fun­zio­nali all’assolvimento di ruoli diri­gen­ziali» e vuole eli­mi­nare i dot­to­randi senza borsa che pagano il loro datore di lavoro, l’università, e ver­sando i con­tri­buti alla gestione sepa­rata dell’Inps.

I tagli all’università e alla ricerca voluti da Tre­monti e Gel­mini hanno dimi­nuito i posti messi a bando del 19%, con pic­chi nega­tivi del 38% a Sud, tra il 2008 e il 2014. Lo stru­mento usato dai governi per otte­nere que­sto risul­tato è stato il decreto sull’accreditamento che ha accor­pato e ridi­men­sio­nato i corsi di dot­to­rato. Al Sud sono stati tagliati il 57% dei corsi, men­tre le posi­zioni ban­dite sono dimi­nuite del 15%. ciò ha com­por­tato una dra­stica dimi­nu­zione di pro­se­guire la ricerca.

L’Adi sostiene che la pos­si­bi­lità di con­ti­nuare a lavo­rare in que­sto campo oggi è pari al 3,4% delle pos­si­bi­lità. A que­sto biso­gna aggiun­gere il blocco del reclu­ta­mento dei ricer­ca­tori a tempo deter­mi­nato di tipo A e B. Par­liamo delle figure volute da Gel­mini per sosti­tuire i «vec­chi» ricer­ca­tori messi sul bina­rio morto dalla sua riforma. Nel 2013 sono state ban­dite 520 posi­zioni per il «tipo A» (con­tratto di 3 anni) e 130 per quello «B» (con­tratto di due anni e poi assun­zione). Man­te­nendo i tagli, tra 4 anni, il 96,6% degli attuali 15.300 asse­gni­sti rischia di «essere espulso dal sistema acca­de­mico» sostiene l’Adi.

Le con­se­guenze di una riforma scel­le­rata sono que­ste. In Ita­lia si con­tano 0,6 dot­to­randi ogni mille abi­tanti: un rap­porto infe­riore è stato regi­strato solo in Spa­gna (0,5) e a Malta (0,2). La Fran­cia ha più del dop­pio dei dot­to­randi ita­liani (70.581), il Regno Unito quasi il tri­plo (94.494), la Ger­ma­nia 208.500. Ormai ridotti al silen­zio gli ultras della «riforma» soste­nuta dal Pre­si­dente della Repub­blica Napo­li­tano, la stra­te­gia è chiara: l’università, e con essa la ricerca, sono state distrutte per dimo­strare che ci sono troppi dot­to­rati rispetto alle pos­si­bi­lità di assor­birli sul mer­cato del lavoro. Un teo­rema falso in par­tenza che oggi ha tro­vato un tri­ste inveramento.


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