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Voci: Università-La legge e le leggi Moratti-Una lettura con l'aiuto delle neuroscienze-di Andrea Canevaro

UNIVERSITÀ: LA LEGGE E LE LEGGI MORATTI Una lettura con l'aiuto delle neuroscienze di Andrea Canevaro (n. 23, 28 ottobre 2005) Commenti e reazioni non sono mancati, ma non si può dire c...

30/10/2005
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UNIVERSITÀ: LA LEGGE E LE LEGGI MORATTI
Una lettura con l'aiuto delle neuroscienze
di Andrea Canevaro

(n. 23, 28 ottobre 2005)

Commenti e reazioni non sono mancati, ma non si può dire che si abbia un'idea chiara di quel che rischia di accadere nelle nostre università.
Le Voci hanno chiesto aiuto ad Andera Canevaro: che ci regala una sintesi essenziale della situazione, accompagnata da un commento in otto punti. La chiave di lettura è sorprendente: il concetto di degenerazione, così come è definito nell'ambito delle neuroscienze&

una sintesi del decreto
Quale che sia l'esito della vicenda della riforma universitaria del Ministro Letizia Moratti, è utile sapere in che quadro si colloca e in cosa consiste. È una legge per decreto, che quindi non ha seguito l'iter parlamentare che ne comporta un esame attraverso le discussioni in aula. È composta da un solo articolo in 25 punti. Riguarda le "nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari" e la "delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari".
Dopo le prime affermazioni circa l'autonomia delle Università e l'organica composizione della ricerca con la didattica, la legge destruttura proprio ciò che ha solennemente affermato. Questi i punti più notevoli.
Sono soppressi i ricercatori e sono sostituiti da figure precarie, il cui contratto triennale può avere un solo rinnovo
Gli attuali ricercatori vengono esauriti con una procedura riservata che può portare alla docenza.
I concorsi passano dalle singole Università che potevano bandirli, ad un unico concorso nazionale ogni cinque anni, tale da produrre una lista di idonei a cui la singola Università può attingere. L'idoneità ha un valore a scadenza, e senza una chiamata da un'Università, dopo quattro anni decade.
Sono favorite le convenzioni e gli accordi con imprese o fondazioni, e queste possono promuovere insegnamenti.
Viene abolita la distinzione fra tempo pieno e tempo limitato, permettendo l'esercizio di professioni a chi svolge un insegnamento universitario.
La legge è in un ordine diverso da quello dei punti che abbiamo riassunto. Non sempre è chiara, e avvia un periodo di transizione che dovrebbe approdare al 2013 con la sua piena applicazione.
Nella legge non vengono affrontati temi che sembrano di grande importanza, quali:
l'itinerario del reclutamento che sottragga all'incertezza ed al precariato e permetta di leggere in una successione ordinata e scandita da momenti valutativi i diversi gradi di laurea, il dottorato di ricerca, l'eventuale master, il contratto di ricerca, e la docenza.
Il riordino dei raggruppamenti disciplinari che permetta un processo valutativo più coerente in rapporto alle competenze.
Un sistema di valutazione complessivo e organico, che sarà poco credibile in un'espansione della precarizzazione determinata dalla soppressione dei ricercatori strutturati.
Fatta questa breve sintesi, riteniamo utile un commento critico che colleghi la singola legge ad una prospettiva presente in altre decisioni governative e legislative.

1. la ricerca e la didattica
Un personaggio interessante delle neuroscienze è Gerald Edelman il quale ci propone un termine, "degenerazione", in un senso che non è solitamente quello che gli diamo. La "degenerazione" permette alla rete neurale di finalizzare e di lavorare, di variare e di collegare, attraverso gli elementi sinaptici, sviluppi dinamici che diversamente avrebbero difficoltà a stare insieme. Abbiamo dentro di noi di una qualità importante: la creazione di una possibile integrazione delle diversità, a patto però che i singoli elementi siano capaci di "degenerare", ovvero di non viversi esclusivamente per lo specifico della loro specializzazione. Un organismo vivente povero è fortemente specializzato e non ha quindi capacità di riorganizzarsi in funzioni diverse di quelle della specializzazione che ha assunto.
Ci si domanda in che modo le riforme, scolastica e universitaria, della Moratti stiano vivendo queste indicazioni, che sono ovviamente a rischio di diventare delle chiacchiere, perché trasferiscono da un campo specifico qualcosa che va applicato a un'intera organizzazione sociale. Siamo però incoraggiati dalla stessa ragione contenuta dalle neuroscienze, nelle ricerche di Edelman in particolare.
La possibilità che noi abbiamo oggi è quella di creare, dall'inizio del percorso scolastico, e quindi dalla scuola dell'infanzia, delle figure di riferimento che sentono la loro competenza come qualcosa di specifico in cui si identificano. La riforma della formazione delle figure di insegnanti si basa su una fede cieca, si potrebbe dire, un po' senza argomentazioni, nella necessità di avere degli specialisti, e solo in un secondo tempo metterli in moto per avere anche un aspetto più ampio che chiamiamo per brevità metodologico.
Abbiamo sempre sostenuto - e credo che potremmo rintracciare le nostre posizioni in scritti anche remoti - la necessità di non lasciare chi ha responsabilità educative in quanto insegnante, privo di contenuti strumentali, privo di elementi specifici; e nello stesso tempo l'esigenza di evitare che questi diventino specialismo. Anche la persona che insegna in una scuola superiore e all'università deve permettere e permettersi un giusto equilibrio tra la materia che insegna e le conoscenze dei meccanismi dell'apprendimento.
L'operazione che invece si delinea è quella di avere una forte connotazione specialistica. Nell'ambito universitario, la competenza specialistica è considerata, nella riforma Moratti, più che sufficiente per attribuire un incarico di docenza. E questo sembra essere favorito dalla possibilità di continuare ad esercitare contemporaneamente una professione, abolendo la distinzione fra chi opta per la docenza a tempo pieno e chi esercita l'insegnamento a tempo parziale. Scompare quindi l'esigenza di tenere insieme la ricerca e la didattica.

2. specialisti, volontari (e precari)
Ci preoccupiamo di un aspetto: dell'integrazione. Integrazione delle differenze, lasciando aperto il campo; ci interessa ragionare a proposito dello specifico delle disabilità, delle persone che hanno delle disabilità. Il termine è molto ampio e può essere aperto a disabilità di tipo sensoriale - ciechi, sordi - di tipo motorio, le disabilità plurime, quelle di carattere psichico: è molto vago, volutamente. Perché? Stiamo affermando qualcosa di molto importante: è difficile, per non dire impossibile, avere insegnanti che abbiano uno specialismo esclusivo per una certa disabilità. Sarà rara la combinazione che permetta la costituzione di un tandem perfetto tra preparazione e incontro. Sarà anche in questi casi necessaria una certa "degenerazione", cioè la possibilità di uscire dallo specialismo per ampliare, riformulare, rivedere, flessibilizzare: tutti termini che vengono spesso impegnati ma che sono ostacolati se la figura di riferimento e di impostazione va nell'altro senso.
Nella politica complessiva degli ultimi anni si passa molto rapidamente da una posizione come quella che abbiamo appena descritto e individuato per sommi capi, all'esaltazione e anche alla sottolineatura dell'importanza del volontariato. Sembra che la legge finanziaria in cantiere nell'ottobre 2005 indichi una percentuale del bilancio (il 5 per mille) destinata al volontariato.
Ci sembra che questo sia il corollario della prima indicazione con una condizione che complessivamente si può schematizzare così: "specialismo" da una parte e "volontariato" dall'altra, con la possibilità che lo specialismo tiri dritto per la sua strada lasciando al volontariato i compiti relativi alle persone che non stanno nello specialismo. Una rappresentazione di questo tipo costruisce un'idea dell'organizzazione sociale molto preoccupante.
Ma non è finita. Si aggiunge a questo l'incremento della "precarizzazione", e per questo si veda il disegno che riguarda l'Università e quindi molte professioni che dall'Università attingono. La precarizzazione viene - dalla legge Moratti - introdotta in maniera massiccia nelle Università dando luogo ad altra precarizzazione. I meccanismi sono correlati, come ingranaggi di un motore: se uno gira, costringe gli altri a girare nello stesso senso
Un disegno complesso che si articola non solo sui due elementi che abbiamo indicato: specialismo e volontariato, ma anche su un terzo elemento che si compone conflittualmente con gli altri due, e che troverà il modo di diventare armonico con l'estensione del precariato.
Le conseguenze per un'educazione solidale, capace di assumere delle responsabilità nei confronti delle diversità sono a dir poco drammatiche e riteniamo di doverlo dire prima che questo si verifichi, perché è un'esplorazione che noi facciamo di un futuro consequenziale a quello che si dispone oggi nell'organizzazione della formazione, della strutturazione scolastica e universitaria.

3. l'esempio del volontariato
Come si può immaginare che si realizzi una buona integrazione quando ciascuno si rifugerà in un proprio ruolo e mancheranno gli elementi di "degenerazione" che fanno funzionare meglio un sistema? Si riduce la macchina complessiva ad uno stato primordiale in cui ogni elemento fa qualcosa che è scarsamente in relazione con l'armonia di un insieme; è una chiusura in una condizione che si può verificare in termini di conflittualità, dicevamo, anche perché degenerano - ma in un senso molto diverso da quello che Edelman e i neuroscienziati ci indicano - le funzioni di ciascuno.
Facciamo l'esempio più comprensibile delle tre composizioni che abbiamo dovuto per forza di cose - dati i tempi in cui viviamo - mettere sul tavolo: il volontariato. È sparito da tempo un volontariato che chiamiamo 'puro' e cioè la possibilità che una persona faccia un qualsiasi lavoro, sia impiegato di banca, e abbia nel tempo libero un impegno di sostegno solidale. Questo esiste ma in una percentuale minima e invece entrano nel volontariato persone in attesa di trovare una collocazione. E' un comportamento comprensibile e legittimo: fare volontariato per poter mantenere un collegamento con professionisti, essere visibili, farsi apprezzare e quindi potere entrare in una dimensione professionale. Questo permetterà a qualcuno di arrivare dove desidera arrivare, costringendo altri ad uscire, essendo sostituiti da volontari che entrano al loro posto, diventando a loro volta precari, tutti con la speranza che il precariato finisca e dia accesso ad una stabilità.

4. specialisti che escono dalla specialità
Si mette in moto una dinamica un po' perversa, complicata, in cui ciascuno diventa il nemico dell'altro e vede nell'altro l'ostacolo alla realizzazione della propria esistenza. Può essere questa la premessa per realizzare un'educazione solidale che dia luogo ad una reale integrazione delle diversità? La domanda è chiaramente retorica perché tutto fa dire che questo diventerà un traguardo difficile da raggiungere, e quasi controvoglia.
Certamente, vi sarà anche qualcuno che, per dimostrare la propria capacità - e quindi cercare di essere notato o notata per avere un lavoro strutturato e stabile (in che forma? contratto a termine? Vedremo& Intanto lavori&), si dedichi con più attenzione ad un soggetto disabile. È una lunga storia in cui l'attenzione nei confronti della diversità è stata anche la possibilità per qualcuno - a cominciare da Itard, il mito fondatore, con il 'ragazzo selvaggio' - di scommettere sulla possibilità di educare un "ragazzo selvaggio" di cui le cronache parlano, vivendo una grande visibilità che permetta di affermare la propria professionalità. Questo legame può essere virtuoso. Diventa perverso con una diffusione tale da confliggere continuamente con le possibilità di regole sicure, di certezza nelle possibili necessità ed aiuti.
Questo elemento di fragilità del disegno lo rende catastrofico, o premessa di una catastrofe sociale. È curioso partire dall'affermazione che la nostra salvezza sta nella capacità di essere "degenerati", ovvero di prendere, come modello del funzionamento sociale, le reti neurali, i miliardi di elementi che la compongono; non pochi e selezionati, che vanno d'accordo perché hanno avuto un lungo addestramento. I miliardi di elementi che compongono la rete neurale e i suoi elementi sinapsici sono capaci di essere specialisti e di uscire dalla specialità. Se fossero solo specialisti noi non potremmo vivere.

5. frantumazione continua
Può vivere una società che scompone così la rete sociale, la rete delle competenze professionali? La possibilità di vita c'è, certamente. Ma tragicamente. Può vivere tragicamente. Certamente nei tempi lunghi questo potrebbe permettere un ribaltamento produttivo, ma francamente non pensiamo che chi abbia architettato dei disegni così maldestri lo abbia fatto pensando di avere poi una resurrezione. Non è la capacità di concimare e fecondare: stiamo parlando di una sperimentazione sociale che non ha questo scopo ma che ritiene di potere governare meglio, cioè utilizzare meglio le responsabilità di governo, con una frantumazione continua e senza un disegno di lungo termine.
Ora, chi si accontenta dicendo - "Bene, avremo una scuola e un'università degli specialisti" - possiamo prevedere che avrà un compito importante: dovrà despecializzare ("degenerare") gli specialisti che non serviranno agli scopi di un'azienda e neanche dell'azienda che si chiama 'scuola'o 'università', dalle scuole dell'infanzia alle diverse lauree.

6. il disegno è scombinato&
C'è speranza. È riposta nel paradosso di un disegno così scombinante da essere anche un disegno scombinato, che difficilmente funzionerà. Potrà accadere quello che in maniera conscia e determinata avveniva nell'universo concentrazionario: l'organizzazione è disfunzionale al suo funzionamento e mette chi vi è dentro nella necessità di farla funzionare infrangendo le regole.
È la tentazione di tenere sotto controllo mediante l'arma del ricatto: organizziamo le cose con regole che non sono funzionali alla possibilità di produrre ma obblighiamo a produrre. L'obbligo di produrre fa sì che ciascuno trasgredisca le regole poste, dovendo fare una scelta tra seguirle e non produrre o produrre trasgredendole. Le scienze sociali ridicono che gli individui, se isolati, si comportano con la trasgressione e quindi si espongono ad un'eventuale sanzione.
Nell'universo concentrazionario - parliamo delle situazioni dei campi di sterminio nazista - era studiato in maniera scientifica. Oggi non abbiamo di fronte un disegno così machiavellico e disastroso; ma che ci si può avvicinare per sovrapposizioni, giustapposizioni, aggiunte, sedimentazioni. La speranza è data dalla possibilità che non funzioni per niente, neanche nella finalizzazione che era stata predisposta da chi lo ha messo insieme. Questo può portare a conseguenze che non sono solo sanzionatorie ma anche di riorganizzazione positiva.

7. &ma produce danni
Nel frattempo chi paga i danni? Questa è una domanda che ci lascia inquieti perché i danni ci sono, sono già presenti e bisognerebbe anche dire che sono presenti perché forse prima di queste decisioni si è creduto molto ingenuamente che non si arrivasse a tanto, e quindi si è abbassata la guardia, riducendo la sorveglianza sui principi fondamentali che permettono di dire una buona educazione per tutti; si è un po' trascurata l'attenzione a questi aspetti, non pensando ingenuamente che si arrivasse a tanto. E si arriva a tanto: precipitevolissimevolmente si arriva a tanto.
Chi paga i danni? Questa domanda non ha una risposta. Sarà una risposta che è dolorosa? Per ora sappiamo chi li subisce, e non chi li paga. Ma se pagare vuol dire subire allora sappiamo già che subiscono soprattutto le diversità, che si sentono trattate come un oggetto rifiutato dagli uni, accolto strumentalmente dagli altri; rifiutato dallo specialismo e accolto dal volontariato obbligato. In mezzo c'è un precariato che può accogliere. Ma per quanto? Non si sa. Un insieme di competenze si smaglia e rischia di perdersi.

8. un'altra degenerazione
Abbiamo costruito competenze negli anni scorsi? Le risorse umane - di cui ogni azienda di una certa dimensione parla come di una necessità fondamentale - vogliono dire competenze che si costruiscono nel tempo e che sanno anche accogliere l'innovazione su un terreno solido. Le innovazioni poste su un terreno che frana sono avventure pericolose.
Questa situazione che abbiamo avviato da tempo ha avuto una accelerazione improvvisa per l'incapacità di segnare un punto fermo. L'accelerazione è drammatica, è frazionata, scompone per frazionamenti, ricompone in modi deleteri. La speranza può essere solo affidata alla disorganicità, nella incapacità di fare un quadro ampio, di respiro?
Quanto durerà però la disorganicità, la frantumazione, la perdita di consistenza di un progetto? Vi è una possibilità, quella di farlo durare tanto perché non ce ne accorgiamo, perché ci chiudiamo ciascuno in un isolamento lamentoso, cercando di ricavarne quello che si può: utilitarismo individualistico, con la possibilità che non sia né facile né fruttuoso, e ci renda più inquieti. Ma ci faccia ragionare, ci permetta di riflettere e di interrompere una dinamica perversa e di cambiare segno al termine "degenerato".
Attualmente viviamo la degenerazione perversa di un sistema complessivo. Vorremmo arrivare alla degenerazione virtuosa che Edelman ci indica.

NOTA BIBLIOGRAFICA

Gerald M. EDELMAN, Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, Torino, Einaudi, 2004 (2000)


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