Valutazione: Piace ai presidi la proposta della Gelmini
Accordo sull'aumento dei test ma rispettando la privacy
di ALESSANDRA MIGLIOZZI
ROMA - Sì alla diffusione massiccia nelle classi dei test di valutazione Invalsi e alla pubblicazione dei risultati ottenuti dagli studenti, purché non si espongano i singoli voti ma i miglioramenti progressivi ottenuti dalle scuole. I presidi aprono alla proposta lanciata ieri dal ministro Mariastella Gelmini dalle pagine del “Messaggero”. Nella scuola c’è voglia di valutazione e di confronto. «Sono anni che aspettiamo provvedimenti di questo tipo- sottolinea Mario Rusconi, dirigente del liceo Newton di Roma, nonché vice presidente dell’Anp, l’associazione nazionale di categoria-. La scuole vogliono potersi confrontare, anche perché spesso un otto preso in un istituto non è uguale a quello preso in un altro. Così è anche per i cento della maturità. Vogliamo poter contare su criteri standard di valutazione anche per mettere fine al caos dei giudizi dei singoli docenti che non sempre sono confrontabili fra loro».
Anche da un altro storico liceo romano, il Giulio Cesare, arriva l’appoggio alle proposte del ministro, ma con qualche avvertimento. «L’idea mi trova d’accordo- conferma la preside Micaela Ricciardi-. Ma la competizione che si deve creare fra le scuole deve essere virtuosa e non sfrenata». Secondo la dirigente «la valutazione esterna deve servire anche per avvalorare quella interna fatta dai docenti e per rafforzarla, ma il rischio è che se non si parte con regole certe e una buona comunicazione dei nuovi sistemi si arrivi ad una valutazione fiscale. La diffusione dei test- continua la dirigente- dovrà servire soprattutto per spingere le scuole ad auto-valutarsi e a migliorare. La loro pubblicazione, invece, non dovrà servire a penalizzare le scuole più in difficoltà, ma, semmai, ad aiutarle. E comunque andranno pubblicati i risultati di ‘sistema’, quelli di istituto, e non dei singoli alunni o classi perché quello non aiuterebbe nessuno, anzi si direzionerebbe in modo violento l’utenza negli istituti e nelle classi che apparentemente fanno meglio».
Anche più a Sud, a Brindisi, Salvatore Giuliano, il preside dell’istituto Majorana, quello dove i professori scrivono i libri per gli studenti, invoca la valutazione: «Sarebbe ora- dice-. Io voglio che mi dicano se lavoro bene o male. E dico di più: chi lavora male dovrebbe essere cacciato, preside o professore che sia». Anche il potenziamento del corpo degli ispettori prospettato dal ministro che ieri, alla Camera dei deputati, ha parlato di un concorso «per assumerne 140», raccoglie il sì dei dirigenti.
Ma su queste novità si spaccano gli esperti. Per il pedagogista Benedetto Vertecchi «sono anni che si lanciano slogan senza arrivare mai ad un punto anche perché c’è un dato di fondo che rende impossibile realizzare, ad oggi, certi progetti: la mancanza di risorse. L’Invalsi, l’istituto che fa la valutazione, è debole: ha poco personale e ha carenza di fondi. E per rendere obiettivi dei risultati di valutazione bisogna lavorare sui grandi numeri. E comunque i test sono solo un pezzo della valutazione, bisogna fare anche molta ricerca».
Più ottimista Luisa Ribolzi, professore di sociologia dell’educazione all’università di Genova: «Bisogna cominciare ad identificare le scuole che hanno più successo- dice- e quelle che necessitano di aiuto, che sono più deboli. I test possono servire anche per far emergere queste necessità e a venire incontro ha chi è in difficoltà. Quanto alla loro pubblicazione, è necessaria, ma va comunicata bene ai docenti perché se le classifiche piacciono tanto ai genitori i professori le temono».