Va in mille pezzi il diritto allo studio
Viola Ardone
Ci sono: uno studente toscano, uno campano e uno veneto. Non è l'inizio della classica barzelletta sull'italiano furbo nel mondo, ma la realtà di un sistema scolastico in cui ogni Regione procede caparbiamente per la sua strada, secondo una logica che non sembra più rispondere all'articolo 34 della Costituzione sul diritto allo studio ma a una frammentazione politica da Italia rinascimentale.
Nel Granducato di Toscana tutti gli alunni torneranno a prendere posto nei loro banchi da giovedì prossimo, nel Regno di Napoli nella seconda metà di gennaio salvo ulteriori posticipazioni, nella Repubblica veneta invece si aspetta febbraio. È evidente, da un lato, che i dati epidemiologici, l'indice di diffusione del virus e le condizioni strutturali e logistiche rendono difficile individuare una linea uniforme nella gestione di un segmento delicatissimo, come quello della scuola, che coinvolge milioni di studenti e le relative famiglie. Ma è altrettanto lampante che per moltissimi bambini e ragazzi quel diritto allo studio su cui si basa la nostra Repubblica, in quanto garanzia di pari opportunità, si trasforma in una variabile dipendente da un numero di fattori che nulla hanno a che fare con sogni e bisogni di coloro a cui l'istruzione è rivolta. Retorica? Non so. Ma di certo non è retorico il nostro dettato costituzionale che, senza voler arrivare alle norme che riguardano in particolare la scuola, già all'articolo 3 recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli" che impediscono il pieno sviluppo della persona e la sua (futura) partecipazione all'organizzazione del Paese. Viene da chiedersi, a questo punto, se in tanti mesi, a partire da quelli più duri della primavera scorsa fino a oggi, sia stato davvero fatto di tutto per rimuovere gli ostacoli che rendono ancora adesso, alla vigilia del rientro dalle vacanze, così incerto il ritorno in classe in modo uniforme e non discriminante. Parlo di strutture scolastiche, di trasporti, di aziende sanitarie locali adeguate, della disponibilità di tamponi rapidi per individuare casi di positività e circoscrivere la catena del contagio. Quel che succede, invece, è che i diversi "governatori" con cadenza pressoché quindicinale ordinano e disordinano in materia di istruzione senza riuscire a trovare una linea comune tra di loro, al di
là del colore e dell'appartenenza politica, e, soprattutto, con il governo.
La ministra Azzolina predica dall'inizio dell'anno di privilegiare le lezioni in presenza, De Luca in Campania risponde chiudendo tutto (elementari comprese) già a metà ottobre, dopo sole due settimane, Emiliano tentenna e poi opta per il menu à la carte (con Dad erogata a richiesta) e Bonaccini, nonostante numeri ancora elevati, si dichiara pronto anche se preoccupato. È la fotografia, poco rassicurante, di un Paese diviso, in spregio al monito del Presidente Mattarella e al suo invito alla collaborazione, in cui le differenze, i personalismi, i localismi contano più della necessità di fare ogni sforzo possibile per adottare un programma comune allo scopo di consentire allo studente toscano, a quello campano e a quello veneto di godere dello stesso diritto allo studio e non restare la barzelletta d'Europa.
Che i buoni propositi dell'anno vecchio svaniscono già alle prime luci di quello nuovo non è una novità. Ma forse abbiamo oggi l'occasione per rimediare a qualche errore del passato e dare un messaggio di serenità e speranza agli alunni di ogni Regione: la scuola è davvero importante, al di là del balletto di date alla vigilia del rientro dalle vacanze, e faremo di tutto per riportarvici, faremo ancora di più. —