Uno sguardo verso il basso…a partire dalla notizia che a tre anni i giochi sono fatti .
di Cinzia Mion
Ho appena finito di leggere il saggio di Cesare Cornoldi “Proposte per un cambiamento radicale” in “Abolire la scuola media?” :testo a due mani scritto insieme a Giorgio Israel, che offre però due tesi contrapposte. Il primo infatti auspica la drastica soppressione dell’attuale scuola media a favore di un ciclo unico che riesca autenticamente a sviluppare le competenze; il secondo invece punta , come già si sa, su una scuola delle conoscenze, sia pur auspicando una profonda riqualificazione della stessa.
Cornoldi parte dalla constatazione che il rendimento degli allievi italiani peggiora man mano che proseguono gli studi perchè alla fine della scuola primaria questi dimostrano di cavarsela alla grande sostenendo il confronto con i coetanei tedeschi, surclassando gli spagnoli e i francesi; nel giro di pochi anni però le cose cambiano e di molto: le competenze dei quindicenni, dopo la scuola media, subiscono un tracollo che permane fino all’età adulta. Aumentano le differenze tra chi parte da una condizione di vantaggio o di svantaggio; diminuisce il piacere di conoscere e la motivazione intrinseca della curiosità e del desiderio di competenza; si riduce l’interesse verso le materie scientifico-tecnologiche e si assiste ad una caduta dei valori. Interessante a tale proposito il riferimento al testo di Marcello Dei “Ragazzi si copia” in cui si sottolinea come tra la prima e la terza media si assista al raddoppio della copiatura dai compagni ma non solo; in genere, a dimostrazione della famosa furbizia italiana o capacità di cavarsela usando piccoli imbrogli, appaiono comportamenti che sono, in embrione, la base del deficit di etica pubblica che tanto devasta il nostro paese. L’ultimo aspetto sottolineato è il disagio degli insegnanti che la rilevazione Talis mette in relazione anche alla scarsa considerazione sociale.
Cornoldi continua poi facendo riferimento alle competenze trasversali che riguardano il cittadino come il senso civico, il rispetto dell’ambiente, la partecipazione e l’assunzione di responsabilità nel contesto sociale: competenze che la sensibilità moderna apprezza molto e che si aspetta vengano formate dalla scuola. Oltre a queste acquistano particolare rilevanza per la vita ed il mondo del lavoro: spirito critico, saper lavorare in gruppo, la capacità di risolvere problemi, la valutazione del rischio, la presa di decisioni e la gestione costruttiva delle emozioni. Naturalmente, facendo scaturire queste competenze dalle abilità che si applicano a tutti i contenuti scolastici , potrebbero essere apprese in giovane età, rimanendo poi efficaci per tutta la vita. Nella scuola media invece, anche se i docenti apprezzano teoricamente queste competenze, di fatto esercitano i ragazzini e li valutano soltanto sui saperi disciplinari. Nell’età preadolescenziale, tipica della scuola media, registriamo inoltre una forte riduzione del piacere di conoscere e di studiare : rimane in pista con forte motivazione alla prestazione, non alla padronanza, solo chi desidera primeggiare e punta sui voti alti. Il sapere enciclopedico e frammentato, tipico di questo ordine di scuola, non aiuta di certo a rimotivare i ragazzini che faticano a ricostruire il senso della scuola.
Di fronte all’obsolescenza delle conoscenze soprattutto tecniche sarebbe meglio puntare, almeno per gli ambiti in rapida trasformazione, sulla competenza trasversale come “imparare ad imparare”, che si lega ad un aspetto motivazionale e metacognitivo. Dall’alto della sua grande preparazione psicopedagogica l’autore dà un colpo di sonda significativo all’interno di questa basilare competenza che risulta essere alla base di ogni apprendimento e padronanza profonda del sapere.
Andrebbero perciò ridimensionati in modo massiccio i programmi delle diverse discipline , il numero dei docenti e quello dei testi “disciplinari” .Qui inizia l’originalità del saggio di Cornoldi che attinge a piene mani, dopo circa una quindicina d’anni, alla riforma Berlinguer. La proposta infatti si articola intorno alla possibilità di “una lenta trasformazione, magari anche su base volontaria, con il mantenimento della figura di docente della classe solo per gli insegnanti di lingua, matematica e scienze e l’assegnazione dei docenti delle altre materie ed attività specifiche di laboratorio, in parte a scelta, meno vincolate a programmi (libri di testo, voti, composizione della classe,ecc.).Progressivamente l’attività di questi insegnanti potrebbe essere resa più flessibile, non necessariamente obbligatoria, non necessariamente vincolata a una classe e nemmeno a una fascia d’età.”
Abolizione della scuola media
Esplicitamente l’autore poi teorizza l’abolizione della scuola media, con tutta la sua filosofia educativa, associandola al modello della scuola primaria, allungandone il ciclo (non certo secondarizzando quest’ultima) e passando poi ad elogiare la formazione psicopedagogica dei docenti di quest’ultimo ordine di scuola con l’auspicio che venga estesa anche ai docenti dell’ex scuola media, aiutati nella transizione in modo adeguato, anche nella rielaborazione dell’iniziale frustrazione. Se la formazione psicopedagogica infatti risulta raffinata, continuamente aggiornata, adeguata ad un vero professionista dell’apprendimento, (solo in subordine viene prevista la didattica della disciplina) anche la richiesta dell’adeguamento del compenso può essere ragionevolmente legittimata.
Solo così si potrà avere una padronanza approfondita delle conoscenze fondanti, imprescindibili, perché su di esse si potranno poi costruire gli apprendimenti successivi.
Formazione psicopedagogica per docenti e dirigenti
Cornoldi poi dà il meglio di sé quando affronta la tematica della formazione che dovrebbe essere soprattutto psicopedagogica, così carente negli insegnanti della scuola media ed anche nelle generazioni recenti di dirigenti scolastici, formati solo negli aspetti amministrativi e nelle competenze organizzativo-manageriali. Questa formazione dovrebbe prevedere attività non frontali, come esercitazioni, lavoro a piccoli gruppi, simulazione di lezioni, role-playing, formazione attraverso video, conoscenza psicologica delle caratteristiche delle fasce d’età che saranno poi interessate dal proprio lavoro e dalle modalità di interazione. Sappiamo infatti come i soggetti che frequentano la scuola primaria, oppure quelli della suola secondaria, implichino differenze sostanziali. Sarà inevitabile pertanto affrontare queste differenze, soprattutto nelle occasione di gestione più difficili, attraverso molto praticantato supervisionato.Mi sembra molto significativo il richiamo alla maggiore formazione psicopedagogica dei dirigenti scolastici, di cui sottolineo la focalizzazione oggi sulla loro leadership for learning, oltre all’invocazione di una maggiore attenzione alla selezione dei docenti di cui va considerata anche la passione per l’insegnamento, empatia e capacità di produrre “apprendimenti consistenti” nei suoi allievi o “comprensione profonda “ come auspicano Gardner e, più recentemente Wiggins: questi aspetti si vedono solo sul campo e, difficilmente, diventano elementi utilizzabili nelle graduatorie di merito.
Uno sguardo verso il basso.
Per analogia con l’elementarizzazione della scuola media mi sento di fare l’invito ai/alle docenti della scuola dell’infanzia di abbandonare l’esiziale corsa ad insegnare a leggere e a scrivere ai bambini e alle bambine della scuola dell’infanzia, attraverso modalità di utilizzo massiccio di schede, abdicando in questo modo alla finalità fondamentale della scuola in oggetto. Scuola che dovrebbe contraddistinguersi per le quattro fondamentali dimensioni che sono l’identità, compresa quella di genere, l’autonomia, così carente oggi per la generazione di genitori iperprotettivi, la competenza che si realizza attraverso la riflessione sull’esperienza e la cittadinanza, caratterizzata dalle prime sollecitazioni a decentrarsi da sé e ad acquisire la capacità di mettersi nei panni degli altri. Tutti questi aspetti basilari si evolvono solo in presenza di possibilità offerte ai bambini e alle bambine di misurarsi, autodeterminarsi nel rispetto dei loro diritti e nell’aiuto che l’adulto deve dare alla loro libera espressione ed espansione, creando spazi adeguati ed aperti all’esplorazione, al confronto, alla riflessione sulle diverse esperienze, alla conversazione e discussione, alla ricerca e problematizzazione continua del reale, alla curiosità e desiderio di competenza già precedentemente citate: fondamentali motivazioni intrinseche di bruneriana memoria.
In un convegno recente a Parma, dov’ero stata chiamata a commentare la scelta della dirigente scolastica di non pre-formare le prime classi elementari ma di realizzare un progetto chiamato “In prima classe” (ipotizzando un viaggio in un treno immaginario della durata di quindici giorni, per fare in modo che i gruppi classe scaturissero da un periodo “sperimentale” di osservazione guidata attraverso diverse attività al fine di ottenere dei gruppi omogenei nella loro eterogeneità), ricordo un’insegnante della scuola elementare che entrata per un periodo di osservazione alla scuola dell’infanzia aveva manifestato pubblicamente al convegno la sua piacevole sorpresa ed ammirazione per aver potuto vedere dal vivo il modo di lavorare delle colleghe dell’infanzia, la loro organizzazione degli spazi, affermando di aver imparato molto da tutto ciò.
Uno sguardo verso il basso allora viene suggerito anche ai/alle docenti della scuola dell’infanzia , uno sguardo verso il nido, verso le sue buone pratiche, dove la cura e l’attenzione per accompagnare la crescita e l’evoluzione del bambino siano un’esperienza intensa ed entusiasmante che non deve essere spenta attraverso la tentazione di sollecitazioni verso precocismi deleteri ed asfittici, messi in atto magari per nutrire aspettative enfatiche di genitori narcisisti.
Dice M.T. Bellucci “Il tempo è unico, centrato sul presente, e il giocare diviene la possibilità di affacciarsi al reale per sperimentarlo e conoscerlo. Gli adulti non sono spesso in grado di capire le peculiarità di questo mondo, di cogliere il senso profondo di ciò che i bambini vogliono esprimere. Incapaci di ascoltare il messaggio autentico della loro voce , finiscono spesso con il proiettare su di loro pensieri, desideri, aspettative che non gli appartengono”.
A tre anni i giochi sono fatti
Le più recenti ricerche neuroscientifiche, riportate recentemente in Italia a livello divulgativo dalla giornalista scientifica Elena Bencivelli e dal professore Paolo Legrenzi, affermano che a tre anni i giochi sono ormai fatti. Veniamo così a sapere, dagli studi di M.Farah dell’Università della Pennsylvania, che i comportamenti che determinano le differenze sono quelli verbali utilizzati dai vari caregiver i quali, nell’esito migliore e più ricco dello sviluppo riscontrato, mettono in atto un codice ricco di emotività e caratterizzato da un processo costante di incoraggiamento. Determinante sarà perciò il modo di giocare, di comunicare, di costruire relazioni costituite da azioni e reazioni esplicite tese a mostrare i sentimenti e le emozioni.
Il prof. Legrenzi afferma che l’intelligenza è plasmabile, ma solo nei primi anni di vita. L’aspetto nuovo è quello per cui egli ascrive l’evoluzione a due fattori ossia alla tenacia e alla capacità di differire le gratificazioni. Queste due dimensioni , dice il professore, sembrano innate ma invece semplicemente vengono acquisite da piccoli. Sempre da piccoli si acquisisce la capacità di ragionamento di base, denominato dagli psicologi “pensiero puro” vale a dire capacità di ragionare indipendentemente da quello che si sa.
Tutte queste osservazioni dovrebbero servire come appunti importanti per chi dovrà pensare alla formazione di educatrici e docenti del prossimo percorso denominato 0-6. Il riferimento va all’alfabetizzazione emotiva degli adulti attraverso un vero e proprio curriculum emotivo come suggerisce Goleman. Teniamolo presente a proposito della prossima formazione universitaria del personale che non dovrà essere come sempre solo accademica ma dovrà essere affidata a chi è in grado di gestire attività pratico-laboratoriali. Diventa perciò ora oltremodo indispensabile una formazione personale “corporea” per l’adulto che si occupa di prima e seconda infanzia (anche se, secondo me, questa dovrebbe essere richiesta a tutti i docenti). Sappiamo infatti che Il nostro corpo parla e il suo linguaggio per i bambini è più autentico e pregnante di quello verbale ma soprattutto trasmette messaggi di cui spesso non siamo consapevoli.
L’aspetto dell’incoraggiamento ha a che fare con l’idea di bambino, idea implicita che ognuno di noi si porta dentro dalla propria infanzia e dalla relazione vissuta con i propri genitori e docenti e che va quindi esplorata per un eventuale aggiustamento opportuno: incoraggiare invece di punire, incoraggiare invece di giudicare, incoraggiare invece di approvare semplicemente con un “bravo” liquidatorio, che ben presto raggiunge la saturazione e non fa più nessun effetto. L’incoraggiamento ha a che fare con la fiducia nell’evoluzione positiva della situazione educativa che un bambino avverte se esiste veramente, ha a che fare con l’autenticità della relazione, ha a che fare con “l’essere con…” di cui parla Daniel Stern, il più geniale esperto attuale di “Infant research”,recentemente scomparso. Stern è uno dei massimi rappresentanti, all’interno della osservazione della prima infanzia, che si ispira all’intersoggettività delineata dalla ricerca sui neuroni specchio.
Uno sguardo verso il basso significa ridare alla scuola tutta l’impronta autentica di luogo dove si impara a crescere, si incontra la vera cultura fermentativa di pensieri profondi e si sperimenta la vita. Non luogo di addestramento o di accumulo di nozioni inerti.
Quante volte dovremo ancora dirlo?
A quante prove di concorso per reclutamento di docenti con programmi disciplinari infarciti di contenuti dovremo ancora assistere?