Università, sciopero dei prof a giugno Rivolta degli studenti: ci danneggiate
La commissione di garanzia ha dato il via libera alla nuova protesta per gli stipendi. Link: intervenga il ministero, garantiteci di non perdere le borse di studio
Gianna Fregonara e Orsola Riva
Studenti contro professori. La nuova trincea dello scontro generazionale si chiama università. La Commissione di Garanzia ha appena approvato lo sciopero degli esami estivi annunciato da oltre 6.800 docenti lo scorso 16 febbraio e gli studenti scendono in campo per denunciare il fatto che così si mette a repentaglio il diritto allo studio. Già nelle scorse settimane avevano lanciato una petizione, che ha raccolto 45 mila firme, per chiedere che «le scelte prese dai docenti non aggravino ulteriormente le condizioni degli studenti e delle studentesse». Ora che il garante ha dato l’ok ai prof - pur dietro richiesta di garantire almeno 5 appelli l’anno - gli studenti hanno deciso di alzare la voce derubricando come «non sostanziale» la modifica imposta dall’autorità per gli scioperi. «Non possiamo permettere che migliaia di studenti debbano perdere la borsa di studio o vedersi triplicate le tasse a causa di un esame non conseguito», dichiara Andrea Torti Coordinatore Nazionale di Link Coordinamento Universitario. Gli studenti di Link chiedono al Ministero dell’Istruzione di aprire un tavolo con l’Associazione per il diritto allo studio e la Conferenza Stato-Regioni per evitare che gli studenti vengano penalizzati. Come? Consentendo la presentazione della domanda per la borsa di studio «con riserva» anche a chi non abbia conseguito i requisiti di merito entro la scadenza del 10 agosto, contemplando un appello in più nella sessione autunnale.
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Il nodo degli arretrati
Gli studenti parlano al governo perché i docenti intendano. «La possibilità di sciopero è un diritto da tutelare - riconosce Torti -, ma non vogliamo che le modalità scelte vadano a frantumare ancor di più una comunità accademica già pesantemente attaccata e divisa dalle politiche degli ultimi governi». Una divisione, una faglia interna all’università che risale a settembre scorso, quando i docenti proclamarono il loro primo sciopero degli esami per protestare contro il blocco degli scatti di stipendio nel quinquennio 2011-2015, che aveva colpito i docenti universitari come altri settori della Pubblica amministrazione ma solo per loro non si era ancora risolto. Nel frattempo il governo Gentiloni ha finalmente stanziato nella legge di Bilancio 2018 le risorse necessarie per lo sblocco degli scatti ma solo a partire da gennaio 2016 e non da gennaio 2015 come per gli altri dipendenti pubblici. E così i professori sono tornati in trincea. Non chiedono gli arretrati per il 2011-14 ma vorrebbero che gli scatti mancati in quel quadriennio fossero riconosciuti a livello giuridico e quindi pesassero economicamente sulle loro buste paga a partire dal momento dello sblocco. Altrimenti, ai fini dell’anzianità di servizio, sarebbe come se non avessero mai lavorato. Il governo invece ha deciso di tirare un rigo sul periodo in questione stanziando invece nuove risorse (150 milioni l’anno) per passare da un regime di scatti triennali a uno biennale. In questo modo si favoriscono i docenti più giovani ma per tutti gli assunti prima del blocco c’è un buco nero di 4 anni nella loro carriera universitaria.
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La garanzia di un appello per sessione
Nella lettera di proclamazione dello sciopero (primo firmatario il professor Carlo Vincenzo Ferraro del Politecnico di Torino), i professori universitari avevano dichiarato la loro piena disponibilità al governo uscente e a quello che si sarebbe insediato dopo il 4 marzo a raggiungere una conciliazione per evitare lo sciopero ma a questo punto appare assai improbabile che il nuovo esecutivo possa essere varato in tempo utile. Come già in occasione del primo sciopero, anche questa volta i promotori rivendicano di aver adottato una modalità pensata anche per tutelare i diritti dei ragazzi: i professori infatti si asterranno dal tenere solo il primo appello della sessione che va dal 1° giugno al 31 luglio, mentre assicurano lo svolgimento regolare del secondo appello - e qualora non fosse stato previsto un secondo appello s’impegnano comunque a garantirne almeno uno. Sono anche previsti degli appelli ad hoc per tutelare i laureandi, gli studenti Erasmus e le studentesse incinte. Non per i percettori di borse di studio però: forse - per fare pace con gli studenti - i docenti potrebbero prevedere una sessione speciale anche per loro, tanto più dal momento che fra le ragioni dello sciopero, oltre alla «vertenza sindacale di categoria», c’è anche una specifica richiesta al governo di stanziare 80 milioni per incrementare le borse di studio. Altrimenti l’unico effetto paradossale dei tagli inflitti negli ultimi dieci anni all’università (nemmeno gli ultimi due governi, che pure hanno invertito la tendenza, sono riusciti a riportare il Fondo universitario ai livelli di partenza), sarà la spaccatura della comunità accademica.