Si fa un grande elogio, sempre unanime che non sia mai, del nuovo governo dei quarantenni e della rottamazione della classe dirigente che ha condotto il paese sull’orlo della rovina. Se di rottamazione si tratta noi ne dubitiamo: quello che sta accadendo ci sembra quanto di più vicino al gattopardesco “cambiare tutto per non cambiare niente” con le solite facce che hanno sì fatto un passo indietro senza però che la linea politica del governo sia cambiata in modo sostanziale. Infatti il problema non è giovani contro vecchi quanto piuttosto la riduzione delle tutele del lavoro, il taglio dello stato sociale e sopratutto l’assenza di inversione di rotta sulle politiche dell’innovazione e della ricerca. Piuttosto che su ricerca e sviluppo il governo continua a puntare a far diventare il paese un fornitore di manodopera non specializzata, non tutelata e a basso costo per la ricca e sviluppata Europa del nord.
Forse, e lo speriamo, ci sbagliamo e, magari, c’è in atto una rottamazione della classe dirigente ultrasessantenne e soprattutto della relativa politica che ha portato al disastro economico e culturale del paese. Forse. Di sicuro però c’è altro: la rottamazione delle nuove generazioni. Se la disoccupazione giovanile nell’area euro è del 23,5% in Italia arriva al 43,3%, 5 volte in più della Germania. Ma se il presente è disastroso il futuro si prospetta peggiore.
Ad esempio, in sei anni in Italia, grazie ai tagli del duo Tremonti e Gelmini ma anche per effetto della continuità nelle scelte dei governi Monti, Letta ed ora Renzi, sono calati del 20% i posti di dottorato: ne restano 35mila, contro i 70mila della Francia, i 94mila della Gran Bretagna e i 208mila della Germania. In rapporto alla popolazione, siamo il terzultimo paese in Europa. Inoltre si allarga il divario tra il nord e il sud del paese: nel mezzogiorno sono stati tagliati il 57% dei corsi di dottorato, mentre le posizioni bandite sono diminuite del 15%. Un recente studio dell’Associazione Dottorandi Italiani mostra anche che proseguendo le politiche attuali, tra 4 anni il 96,6% degli attuali 15.300 ricercatori post-dottorali con contratti a termine rischia di “essere espulso dal sistema accademico”.
Il paese ha dunque scelto di suicidarsi rottamando quelle stesse generazioni che con fatica e investimento ha cresciuto e che dovrebbero rappresentare la speranza per non diventare un paese tecnologicamente e culturalmente sottosviluppato. Probabilmente ha ragione Flavio Briatore che in una sua “lezione” ai manager di domani, gli studenti dell’università Bocconi, ha suggerito di aprire una pizzeria: “così se fallisce almeno vi mangiate una pizza. Se fallisce la start up non vi rimane neppure quello.”