Università: numero chiuso e differenze tra facoltà
di Beppe Severgnini
Sul numero chiuso nelle facoltà umanistiche si è riaperto lo stanco dibattito sul destino della università italiana. Siamo indubbiamente in una fase di 'rivoluzione passiva', in cui i tagli di bilancio ed organico stanno trasformando radicalmente l'università italiana - con poche luci e molte ombre - senza che nessuno osi metterci la faccia. Come se questo "malthusianesimo" ( https://it.wikipedia.org/wiki/Malthusianesimo ) fosse figlio di nessuno, della crisi o di un destino cinico e baro. Quanto questa ignavia porti a sconsolanti interrogativi sulla nostra classe dirigente (tanto politica quanto economica e culturale) non merita complicate riflessioni. Ma c'è un aspetto - apparentemente minore - che forse varrebbe la pena di sollevare: il fatto che le facoltà umanistiche si ribellino al numero chiuso, qualcosa che nelle facoltà tecnico-scientifiche è accettato o addirittura auspicato. Sembra dalle dichiarazioni pubbliche che si voglia contrapporre un sapere tecnico e produttivistico asservito al mercato del lavoro ad una cultura 'libera', formativa del cittadino invece che del lavoratore. A questo proposito mi ha sempre colpito una certa diffusa indifferenza tra i colleghi delle facoltà umanistiche per i problemi del mercato del lavoro, quasi che preoccuparsi degli sbocchi lavorativi dei propri laureati fosse un po' uno 'sporcarsi le mani'. Non è che nelle facoltà tecnico-scientifiche la questione togliesse il sonno ai docenti, ma qualche interrogativo in più ce lo ponevamo. Questa contrapposizione tra tecnica/lavoro e umanesimo/libertà mi sembra forse ancora più deprimente del su citato "malthusianesimo" universitario, e forse finisce anche per giustificarlo: se questa è l'idea di università dominante tra i docenti c'è poco da indignarsi della scarsa attenzione dei governi! Ci sono poche speranze per l'università in un paese in cui la libertà e la formazione del cittadino debbano essere visti in opposizione al lavoro e alla innovazione tecnica. O liberi pensatori o servi del padrone.