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Università: laureati italiani felici degli studi. Uno su due pronto a partire per l'estero

Rapporto di Almalaurea: l’89 per cento di chi ha conseguito il titolo è soddisfatto del percorso. La metà vuole lavorare fuori e prendere una nuova residenza. Stipendi più alti del 38 per cento rispetto a chi ha solo il diploma. Calo delle matricole del 13 per cento dal 2004, ma la tendenza si è invertita negli ultimi 4 anni

07/06/2019
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la Repubblica

ROMA – Subito dopo il titolo, il laureato italiano è pronto a migrare. Alla storica mobilità per studio-lavoro lungo la direttrice Sud-Nord, che continua a caratterizzare il Paese, da diverso tempo si affianca l’uscita verso l’Europa e il resto del mondo. La disponibilità a lavorare all’estero la dichiara il 47,2 per cento dei laureati (7,3 punti in più rispetto al 2008). Il 32,1 per cento è pronto a trasferirsi addirittura in un altro continente. E’ diffusa la disponibilità ad effettuare trasferte frequenti (27,8 per cento), ma anche a spostare la propria residenza (49,3). Solo il 2,9 per cento dei laureati non è disponibile a trasferte.
 
Nel 2018, al di là delle intenzioni, il 5,1 per cento dei laureati di secondo livello italiani lavora all’estero: il 66,2 ha trovato migliori condizioni di lavoro, salari più alti, possibilità di crescita. Il 22,8 per cento dei migranti per lavoro oggi vive nel Regno Unito. Un terzo degli occupati all’estero ritiene il rientro in Italia molto improbabile, quanto meno nell’arco dei prossimi cinque anni. Chi decide di spostarsi oltreconfine per motivi lavorativi ha avuto performance di studio tendenzialmente più brillanti rispetto a chi è rimasto in Italia a lavorare.
 
Le retribuzioni medie percepite all’estero sono notevolmente superiori a quelle degli occupati in Italia: i laureati di secondo livello “abroad”, a cinque anni dal titolo, ricevono 2.266 euro mensili netti, +61 per cento rispetto ai 1.407 euro di coloro che lavorano in Italia.

Questa mattina all’Università La Sapienza il Consorzio interuniversitario AlmaLaurea ha presentato i Rapporti 2019 sul profilo e sulla condizione occupazionale: “Università e mercato del lavoro”. L’edizione numero 21 ha coinvolto i laureati di 75 atenei italiani e 640 mila laureati di primo e secondo livello del 2017, 2015 e 2013.
 

Il recupero delle immatricolazioni

Da quattro stagioni le università italiane recuperano iscrizioni al primo anno: sono le matricole, gli esordienti accademici, che poi rappresentano il dato più significativo. Almalaurea conferma il dato delle rilevazioni fatte negli ultimi quattro anni da “Repubblica”: dall’Anno accademico 2014-‘15 al 2017-’18 c’è stata una crescita del 9,3 per cento. È una decisa inversione di tendenza, che ancora, tuttavia, non riesce a riportare lo status iscrizioni al pre-2004. In questi tredici anni il saldo resta negativo di oltre quarantamila matricole con una contrazione totale del 13 per cento. Negli atenei del Sud la perdita è stata esattamente del doppio: -26 per cento. Il calo si è registrato in tutte le aree disciplinari fatta eccezione per quella scientifica, in cui si rileva un aumento del 13 per cento.
 

Gli spostamenti dal Sud

Nel 2018 quasi la metà del complesso dei laureati (45,9 per cento) ha conseguito il titolo nella stessa provincia in cui ha ottenuto il diploma di scuola secondaria di secondo grado. Il resto, quindi oltre la metà, si è spostato. Il 25,9 per cento in una provincia vicina, il 12,7 per cento si è laureato rimanendo all’interno della stessa ripartizione geografica (Nord-Centro-Sud), il 13,3 per cento ha cambiato macroregione e il 2,3 ha completato il percorso universitario in un ateneo italiano avendo però un diploma conseguito all’estero.
 
I laureati magistrali biennali (quarto e quinto anno, se realizzati in corso) sono i più propensi alla mobilità geografica per motivi di studio: il 37 per cento ha conseguito il titolo in una provincia “diversa e non limitrofa”.
 
Le migrazioni per ragioni di studio sono quasi sempre dal Mezzogiorno al Centro-Nord. La quasi totalità dei laureati (97,2 per cento) che ha ottenuto il titolo di scuola secondaria di secondo grado al Settentrione ha scelto un ateneo della stessa ripartizione geografica. E così l’87,8 per cento dei laureati del Centro. Oltre il 90 per cento dei graduati che proviene dall’estero sceglie – sì - un ateneo del Centro-Nord. Al Sud e nelle Isole il fenomeno migratorio assume, invece, proporzioni considerevoli: il 26,4 per cento decide di conseguire la laurea in atenei del Centro e del Nord, ripartendosi equamente tra le due destinazioni. Il Meridione perde un quarto dei suoi diplomati: un’emorragia di sapere che si riverbera nel lavoro e nella sua qualità.
 

Crescono di sei volte i cinesi

La quota di laureati di cittadinanza estera è del 3,5 per cento (9.890 in valore assoluto) ed è in crescita dello 0,9 per cento in dieci anni. Una percentuale bassa. Il 43,5 per cento dei laureati di cittadinanza non italiana ha preso il diploma di scuola secondaria di secondo grado nel nostro Paese. Tra i laureati esteri, il 12,6 per cento proviene dall’Albania e l’11,4 dalla Romania, il 9,2 per cento dalla Cina (era l’1,6 nel 2008). Il 3,6 per cento arriva dal Camerun, il 3,5 dall’Iran, l’1,9 dal Peru.
 

Cresce l’importanza della famiglia di provenienza

Il contesto familiare ha un forte impatto sulle scelte: fra i laureati si rileva una sovra-rappresentazione dei giovani provenienti da ambienti familiari favoriti dal punto di vista socio-culturale. I laureati AlmaLaurea 2018 provengono per il 54,4 per cento da famiglie della classe media (impiegatizia e autonoma), per il 22,4 da famiglie di più elevata estrazione sociale (genitori imprenditori, liberi professionisti e dirigenti) e per il 21,6 per cento da famiglie in cui padre o madre svolgono professioni esecutive. L’elevata estrazione sociale pesa ancora di più fra i laureati magistrali a ciclo unico (5 o 6 anni): la previsione di investimento economico è ovviamente maggiore. I graduati con almeno un genitore in possesso di un titolo universitario sono il 29,9 per cento (nel 2008 erano il 25,5).
 

Tirocini in Italia e all’estero

Ha compiuto un’esperienza di tirocinio curriculare o stage riconosciuto dal corso di studi il 59,3 per cento dei laureati (era il 53,3 nel 2008). “Il tirocinio formativo e di orientamento o un’esperienza di studio all’estero con un programma europeo sono carte vincenti da giocare sul mercato del lavoro”, dice il Rapporto Almalaurea. A parità di condizioni, il tirocinio si associa a una probabilità maggiore del 9,1 per cento di trovare un’occupazione a un anno dalla conclusione del corso di studio. L’esperienza di studio all’estero aumenta le chance occupazionali del 12,7 per cento.
 

Meno studenti-lavoratori

Negli ultimi dieci anni si è registrata una flessione della quota di laureati con esperienze di lavoro durante gli studi (dal 74,7 per cento nel 2008 al 65,4 per cento nel 2018), “probabilmente per effetto sia della crisi economica sia del progressivo ridursi della quota di popolazione adulta iscritta all’università”. Più nel dettaglio, 6,1 laureati su cento hanno conseguito la laurea lavorando stabilmente durante gli studi (lavoratori-studenti). Altri 59,2 laureati su cento hanno avuto esperienze di lavoro occasionale (studenti-lavoratori). Il 34,5 per cento arriva al titolo privo di qualsiasi esperienza lavorativa.
 

Felicità ateneo

Si conferma elevata la soddisfazione per l’esperienza universitaria conclusa: l’89 per cento dei laureati si dichiara “complessivamente soddisfatto” (nel 2008 era l’86,7). Per il biennio finale della magistrale si sale al 90,2 per cento. L’86,5 per cento dei laureati è complessivamente soddisfatto del rapporto con il corpo docente. Il 73,6 considera le aule adeguate. Il 70 sceglierebbe nuovamente lo stesso corso e lo stesso ateneo (quota stabile rispetto a dieci anni fa). Solo il 2,4 per cento non si iscriverebbe più all’università.
 

Occupazione e stipendi

Rispetto al 2014 aumentano il tasso di occupazione e le retribuzioni a un anno dal titolo, ma non si colma la contrazione registrata tra 2008 e 2014. L’anno scorso il tasso di occupazione, a un anno dal conseguimento del titolo, è stato pari al 72,1 per cento tra i laureati di primo livello e al 69,4 per cento tra quelli di secondo livello (qui si parla del 2017). Nel primo caso c’è stata una crescita del 6,4 per cento rispetto al 2014, ma la contrazione tra il 2008 e il 2014 è stata (si parla sempre dei triennalisti) di 17,1 punti percentuali.
 
La retribuzione mensile netta a un anno dal titolo nel 2018, in media, è stata pari a 1.169 euro per i laureati di primo livello e 1.232 euro per i laureati di secondo. Rispetto all’indagine del 2014 le retribuzioni reali a un anno dal conseguimento del titolo sono in aumento: +13,4 per cento per i laureati di primo livello, +14,1 per cento quelli di secondo. La perdita retributiva dei neolaureati registrata nel periodo più difficile della crisi economica – 2008-2014 – è stata del 22,4 per cento per chi ha concluso la triennale.
Nel 2018, a un anno dal conseguimento del titolo, la forma contrattuale più diffusa è stato il lavoro non standard, prevalentemente alle dipendenze a tempo determinato: riguarda oltre un terzo degli occupati. Oltre la metà oggi considera il titolo di laurea “molto efficace o efficace” per lo svolgimento del proprio lavoro.
 
A cinque anni dalla laurea è occupato l’88,6 per cento dei laureati di primo livello e l’85,5 dei “secondo livello”. I valori sono in aumento rispetto al 2015. In questo caso oltre la metà degli occupati (58,7 per cento) è assunto con un contratto a tempo indeterminato. Ed è coinvolto da professioni smart working o dal telelavoro il 4,7 per cento dei laureati di primo livello. Medici e ingegneri, ancora, sono gli “occupati più rapidi”. In fondo alla classifica i laureati in Giurisprudenza.
 
Anche tra i “cinque anni” le retribuzioni sono in aumento: lo stipendio mensile netto è pari a 1.418 euro per i graduati di primo livello e a 1.459 euro per il secondo. Rispetto al 2015 si rileva un aumento delle retribuzioni reali sia tra i primi (+2,4 per cento) che tra i secondi (+4,1 per cento).
 

Laurearsi conviene

“All’aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce il rischio di restare intrappolati nell’area della disoccupazione. Generalmente i laureati sono in grado di reagire meglio ai mutamenti del mercato del lavoro, disponendo di strumenti culturali e professionali più adeguati”. Il tasso di occupazione della fascia d’età 20-64 è pari al 78,7 per cento tra i laureati, rispetto al 65,7 di chi è in possesso di un diploma. Nel 2014 un “alto formato” guadagnava il 38,5 per cento in più rispetto a uno studente uscito dalla scuola secondaria di secondo grado. In Germania la differenza delle buste paga medie è del 66,3 per cento, in Gran Bretagna del 53.
 

Lavoro sempre più coerente con gli studi

Per oltre la metà dei laureati occupati ad un anno, il titolo ottenuto risulta “molto efficace o efficace”: 56,3 per cento per i triennalisti e 59 per cento per i magistrali. Rispetto all’indagine del 2014 si rileva un aumento di 9 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 5,5 punti per quelli di secondo. Il miglioramento osservato negli ultimi anni ha quasi del tutto colmato la contrazione registrata nelle stagioni della crisi (2008-2014). Per i laureati di secondo livello nel 2018 si è registrato il più alto valore nei livelli di efficacia


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