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Università, la risposta dei docenti a Boeri e Perotti: "Più fondi ai migliori? Così si aggravano le disuguaglianze"

Un gruppo di giuristi universitari firma un documento-appello indirizzato al presidente Draghi per rispondere alla proposta avanzata dai due economisti sulle pagine di Repubblica

12/04/2021
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la Repubblica

No alla ghettizzazione degli Atenei. Sarebbe grave “non distribuire in modo equo i fondi destinati alle Università”. Vietato insomma impiegare i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per aggravare le già preoccupanti “diseguaglianze strutturali, segnatamente quella territoriale lungo la linea Nord-Sud”.

I giuristi di numerosi atenei italiani, da nord a sud, replicano alla riflessione di Tito Boeri e Roberto Perotti. E segnalano l’incostituzionalità della proposta avanzata. Un'impostazione che negherebbe alla base l’obiettivo strategico da cui intende muovere il Piano. “Illegittima” la tesi, dunque, secondo cui si dovrebbero favorire le “eccellenze”.

Un documento-appello è stato indirizzato al premier Mario Draghi. Promosso dal direttore del Dipartimento di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, Sandro Staiano, è firmato da autorevoli costituzionalisti in tutta Italia.

Dalle professoresse Lorenza Violini e Marilisa D'Amico della Statale di Milano ai giuristi partenopei Giuseppe Tesauro e Massimo Villone, dal docente Gaetano Azzariti della Sapienza di Roma alla docente Anna Maria Poggi dell'Ateneo di Torino, insieme con colleghi di lungo corso delle Università di Pisa, Palermo, Modena e Reggio Emilia.

co.sa.

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Ritorna l'eguale: viene ripresentata la proposta di non ridistribuire in modo equo, dunque perequativo, i fondi destinati all'Università, ma di concentrarli nelle "Università migliori". La novità è che stavolta si tratta di attribuire le risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

E perciò gli autori di tale auspicio si trovano di fronte a due problemi ulteriori sulla strada - per loro sempre molto impervia - che dovrebbe condurli a dimostrare la ragionevolezza della propria posizione.

Il primo deriva dal fatto che il PNRR muove da un dato analitico e da una posizione strategica limpidissimi e dichiarati senza equivoci: le diseguaglianze strutturali, segnatamente quella territoriale lungo la linea Nord-Sud, sono storicamente il fattore più rilevante di disfunzione del sistema e sarebbero un ostacolo insuperabile per l'adeguata messa in opera dell'iniziativa Next Generation EU (NGEU). Dunque, occorre rimuoverle, non accentuarle o cristallizzarle.

E poi c'è il vincolo costituzionale: il principio di eguaglianza, come declinato nel primo e nel secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, permea il sistema, e si specifica nella garanzia di ciascun diritto sociale (nel diritto all'istruzione e, in particolare, all'istruzione universitaria in forza dell'art. 34), oltre che nei diritti politici, e, quanto alle asimmetrie territoriali, nel principio di perequazione, affermato nell'art. 119, c. 3.

Dunque, certe proposte di disarticolazione e ridefinizione del sistema universitario, con l'impiego distorsivo della gran mole di risorse rese disponibili in Europa, sono illegittime, illegittime in senso proprio, in senso giuridico, poiché in contrasto con il quadro normativo, sia costituzionale interno sia sovranazionale. E l'inosservanza delle regole, in questa particolare fase e nella serrata competizione per le risorse che si sta compiendo e ancora si compirà in Europa, non sfuggirebbe a un sistema sanzionatorio efficace, incentrato sul blocco delle risorse assentite o sulla riattrazione di esse.

E neppure si può dire che la proposta (e quelle a essa simili) abbiano una loro intrinseca plausibilità. Esse, infatti, riposano su un arbitrio argomentativo e su alcune consolidate fallacie logiche. E sono affette da un irrimediabile vizio culturale.

L'arbitrio argomentativo è nella qualificazione della "eccellenza" di una Università, sulla base dei "migliori standard internazionali" che consentono di stilare classifiche, nazionali e mondiali. Ora, è ormai acquisito che tali standard hanno un tasso di affidabilità bassissimo, e comunque non possono essere messe a base di politiche di finanziamento del sistema universitario: non rispecchiano il rapporto tra una Università e il suo territorio né la collocazione nel sistema nazionale di istruzione (il che, nel caso italiano, segnato dalle asimmetrie territoriali, non è difetto da poco); le classifiche utilizzano criteri diversi per arrivare a un unico punteggio di sintesi, creando così una distorsione, poiché non si tiene conto delle diversità disciplinari (distorsione che non si ravvisa, infatti, nelle classifiche by subject); le classifiche danno larghissimo spazio a variabili reputazionali, sicché la qualificazione di "eccellenza" è largamente autoreferenziale; le formule utilizzate per normalizzare gli indicatori vengono definite in modo non trasparente e comunque non controllato.

Quello che invece la conoscenza empirica suggerisce è che l'eccellenza della ricerca, valutabile sulla base dei risultati conseguiti, non è affatto concentrata in singole sedi universitarie, ma diffusa tra sedi diverse. E la valutazione dei risultati va rapportata alla mole delle risorse disponibili.

Su questo terreno si manifesta la fallacia logica della proposta. Ravvisata una posizione di maggiore debolezza di alcune sedi universitarie, si ritiene che esse debbano essere conseguentemente penalizzate nei finanziamenti, piuttosto che riequilibrate attraverso la distribuzione perequativa delle risorse: paradigmatica fallacia "per evidenza soppressa", direbbero i logici, che conduce a un paradosso. Ma non si governa l'Università per paradossi.

Né ha pregio l'argomento "così fanno altrove", in Europa e nel mondo. Infatti, lo specifico contesto italiano va tenuto in conto, nei suoi pregi peculiari e nei vizi da correggere ("fallacia induttiva per generalizzazione", direbbero ancora i logici).

E qui arriviamo al vizio culturale. Concentrare le risorse nelle sedi universitarie postulate come eccellenti, deprivando le altre, significa destinare queste ultime alla mera attività didattica (salvo non se ne voglia proporre malthusianamente la soppressione). Ma ciò contrasta con la missione specifica delle Università, ove il sapere trasmesso è fondato sulla ricerca: in questo contesto, non si danno "meri insegnanti", ma figure in cui si intrecciano indissolubilmente ricerca e insegnamento. Sennò non è Università (e non si replichi: "così fanno altrove", poiché l'ultima cosa da fare è aggiungere ai nostri i difetti altrui).

Vittorio

Amato

Università di Napoli Federico II

Gaetano

Azzariti

Sapienza Università di Roma

Paola

Bilancia

Università di Milano

Adele

Caldarelli

Università di Napoli Federico II

Roberta 

Calvano

Università di Roma Unitelma Sapienza

Antonio

Cantaro

Università di Urbino Carlo Bo

Paolo 

Carnevale

Università di Roma Tre

Omar

Chessa

Università di Sassari

Stefano

Consiglio

Università di Napoli Federico II

Marilisa

D’Amico

Università di Milano

Adriano

Giannola

Università di Napoli Federico II

Maria Gabriella

Graziano

Università di Napoli Federico II

Giuliano

Laccetti

Università di Napoli Federico II

Alberto 

Lucarelli

Università di Napoli Federico II

Stelio

Mangiameli

Università di Teramo

Andrea

Mazzucchi

Università di Napoli Federico II

Alessandro 

Morelli

Università di Catanzaro

Fortunato 

Musella

Università di Napoli Federico II

Antonio

Pescapè

Università di Napoli Federico II

Roberto

Pinardi

Università di Modena e Reggio Emilia

Andrea

Piraino

Università di Palermo

Anna Maria

Poggi

Università di Torino

Roberto

Romboli

Università di Pisa

Antonio 

Ruggeri

Università di Messina

Sandro 

Staiano

Università di Napoli Federico II

Giuseppe

Tesauro

Università di Napoli Federico II

Massimo 

Villone

Università di Napoli Federico II

Lorenza

Violini

Università di Milano


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