Università, il futuro è nella ricerca
Le priorità che chiediamo al governo: autonomia degli atenei, finanziamenti e ripristino del turnover. Per rilanciare l’Istruzione occorre aprire le porte ai giovani oggi demotivati dal blocco delle carriere
Marco Mancini - Presidente Conferenza dei Rettori
Oggi il ministro Profumo interverrà all’assemblea dei rettori italiani. L’altro ieri a Brindisi ha preannunciato che in tale sede illustrerà per la prima volta alcune linee programmatiche del suo ministero. Non si può non apprezzare questa sterzata nella comunicazione fra mondo universitario e ministro. Da quando è stato designato come componente del governo Monti il ministro è già venuto due volte nell’Assemblea dei Rettori Italiani. Un segnale di attenzione e di disponibilità al dialogo importante, ma anche un segnale di fiducia e di speranza per il mondo universitario. La speranza è quella di riavviare un discorso costruttivo con il ministero e con il governo in una fase tanto difficile per il Paese e per il comparto pubblico in modo particolare. Le Università sono state sottoposte a «tagli » pesantissimi, solo parzialmente rientrati con la legge di Stabilità per il 2012, hanno affrontato compiti non indifferenti tra mille difficoltà, non ultima la ricostruzione burocratica degli statuti voluta dalla legge Gelmini. È il momento di ricominciare a edificare e, al tempo stesso, di ripensare al futuro prossimo dell’Università e della Ricerca nel nostro Paese. È chiaro che il momento attuale sembrerebbe indurre tutti a un profilo basso o, come si dice con un delicato eufemismo, «responsabile». In altri termini: niente richieste magniloquenti o roboanti che rischierebbero di non essere accolte. Piuttosto, una strategia di rilancio dell’istruzione superiore che passi attraverso interventi ordinamentali, fondati sul consenso delle parti e veicolati magari da provvedimenti chirurgici. A valle dei processi di revisione degli Statuti degli Atenei, si aprono spazi, potenzialità, prospettive interessanti. In primo luogo c’è bisogno di una strategia di programmazione delle Università ad ampio respiro, capace di coniugarsi efficacemente con le imminenti scadenze dei processi di valutazione attribuiti all’Agenzia per la Valutazione, l’Anvur. Se non esistono certezze nell’arco almeno di un triennio sul piano finanziario, se si è obbligati a sapere che fine fanno le risorse dell’anno in corso a fine esercizio e quelle dell’anno successivo sotto l’albero di Natale, ebbene l’organizzazione delle attività e gli obiettivi da raggiungere per poi sottoporsi a una valutazione seria restano un miraggio. Ciò significa che c’è bisogno di chiarezza sul quantum: bisogna chiedere il consolidamento di una cifra di Ffo almeno pari a quella del 2010 (approssimativamente 7 miliardi di euro). È indispensabile che si dica in maniera chiara e con sufficiente anticipo quali saranno i nuovi criteri di ripartizione premiale e «consolidabile» del finanziamento ordinario, tenendo conto delle variabili territoriali, tipologiche e dimensionali, restituendo il più possibile alle Università il turnover taglieggiato dalla L.133del 2008, turnover che rappresenta l’unica vera risorsa per reclutare i giovani alla carriera universitaria. In secondo luogo c’è urgente bisogno di regole agili e pratiche sulla didattica, appesantita da mille vincoli burocratici e perennemente sospesa in una fase di transizione da un regime all’altro. Più in generale la nuova Università del prossimo futuro dovrebbe ripartire dall’autonomia, dovrebbe essere alleggerita dai vincoli normativi, dovrebbe garantire maggiore attenzione alla ricerca. La ricerca è stata infatti la grande assente nei programmi per l’Università. Ma le statistiche dicono che, nonostante la cronica mancanza di fondi e di infrastrutture (che trovano, ahimè, all’estero) i nostri ricercatori sono fra i migliori al mondo. È il caso di dire che fanno miracoli, viste le condizioni in cui operano. La creazione del nuovo Comitato Nazionale dei Garanti previsto dall’art. 21 della Legge Gelmini potrebbe essere un’occasione per rivedere i meccanismi di ripartizione, incrementando non solo le risorse ma mettendo a fattor comune quelle provenienti da tutte le fonti, europee in prima istanza. In un momento di difficoltà coordinamento e ottimizzazione sono le parole-chiave. Ma la ricerca la fanno le persone E oggi i ricercatori, specie i più giovani, sono fortemente demotivati. Scarse o nulle possibilità di carriera, stipendi bloccati, pochi incentivi. È urgentissimo sbloccare per tutti gli Atenei il piano straordinario del reclutamento degli associati che garantirebbe un notevole flusso di ingressi nella docenza dei ricercatori e, al tempo stesso, occorre che il regolamento sulle abilitazioni esca dalle secche degli organi di controllo quanto prima. Quanto agli aspetti salariali, in attesa di avere una risposta definitiva al quesito a suo tempo formulato dalla Crui al Ministero sulla questione degli adeguamenti stipendiali dei giovani ricercatori, il mondo universitario si va interrogando sul motivo per cui solo i docenti non possano vedere riconosciuto il blocco degli stipendi ai fini della progressione di carriera,come invece avviene per altri settori del pubblico impiego. Non si era detto che occorreva coniugare rigore a equità?❖