Università, i ricchi e i poveri
Negli ultimi 20 anni una serie di provvedimenti, a partire dalla legge Gelmini, hanno aumentato le distanze tra i diversi atenei. Una tendenza che è stata esasperata dalla pandemia. Sul tema il 12 marzo un confronto pubblico organizzato dalla Flc Cgil
Luca Scacchi, coordinatore del forum docenza della Flc Cgil
Nel corso di questo lungo anno segnato dall’emergenza sanitaria, l’università italiana ha visto ampliarsi la sua autonomia. In primo luogo quella di fatto. Quasi ogni settore della vita sociale ed economica ha visto definire protocolli nazionali di sicurezza per regolare misure di contenimento nei luoghi di lavoro e in quelli pubblici (dai bar alle spiagge, dalle fabbriche alle scuole): ogni ateneo ha invece potuto dotarsi di propri documenti, in quanto il ministero dell’Università e della ricerca ha voluto valorizzare le loro autonomie.
Così, in modo discrezionale, indipendentemente dalle curve pandemiche, alcuni atenei hanno previsto distanze di un metro, altri di due metri, alcuni persino di tre metri; alcuni atenei hanno previsto che il tempo di quarantena di un libro della biblioteca fosse di 14 giorni, altri una settimana, altri ancora 48 ore; alcuni hanno stabilito l’obbligo di misurare la temperatura all’ingresso, altri che fosse sufficiente l’autocertificazione. La stessa variabilità e discrezionalità si è avuta nella gestione didattica, dai limiti di capienza delle aule alle priorità delle lezioni in frequenza (chi ha scelto i primi anni, chi i corsi magistrali, chi ha individuato un sistema di prenotazione, chi ha fatto scegliere al caso).
Il Mur è intervenuto solo ad agosto, con appena due indicazioni inserite poi in un Dpcm del governo: la riduzione sino a 90 centimetri del distanziamento minimo, la realizzazione di una didattica cosiddetta blended, lo streaming o la videoregistrazione delle lezioni, che tanti problemi ha sollevato e su cui siamo anche intervenuti. In ossequio alla valorizzazione dell’autonomia, queste indicazioni sono però state prese dalla Crui (la Conferenza dei rettori delle università italiane) e poi assunte in documenti del governo (Dpcm). In quest’anno, in ogni caso, l’autonomia non si è solo estesa di fatto: il governo Conte bis ha deciso infatti di intervenire anche normativamente, in modo improvviso e improvvido nel Dl Semplificazioni, estendendo a tutti gli atenei la possibilità di un’autonomia differenziata (revisione dell’articolo 1, comma 2 della legge 240 del 2010, la cosiddetta Gelmini).
Questo sviluppo si è innestato sull’impianto della legge 240 del 2010, che ha moltiplicato nell’ultimo decennio differenze e squilibri del sistema universitario. La gerarchizzazione dell’autonomia prodotta dalla legge Gelmini (con la concentrazione di prerogative nei docenti ordinari e in alcune figure apicali, come i direttori generali), infatti, si è accompagnata ad un sostanziale calo di risorse che ha rattrappito l’università: oltre 5 miliardi di tagli sul Fondo di finanziamento ordinario; quasi il 20% del personale perso, più di 130 mila studenti in meno. Tutte cifre non ancora recuperate negli ultimi anni.
Il Ffo è stato segnato non solo dal suo calo, ma da una progressiva riduzione della sua quota base (dal 75 al 50% circa) e dalla conseguente espansione di meccanismi premiali. Il blocco e le limitazioni del turnover hanno portato a perdere quasi 7 mila punti organico (le facoltà assunzionali degli atenei) e questa riduzione è stata distribuita in modo non omogeneo dal Dl 49/2012 Alcuni atenei, al Nord ma non solo, hanno aumentato in realtà il personale, altri lo hanno ridotto molto significativamente.
Inoltre, le competenze regolamentari sul personale docente conseguenti alla Gelmini hanno diversificato compiti, obblighi e orari di lavoro del personale in ruolo e di quello precario, i criteri per le progressioni stipendiali, i diritti elettorali e le rappresentanze negli organismi accademici. Infine, l’Agenzia nazionale di valutazione (Anvur) ha accompagnato e sospinto questa progressiva divergenza, sviluppando un sistema accentrato di controllo che attraverso alcuni parametri (Ava, Vqr, soglie Asp eccetera) ha concentrato le (scarse) risorse su alcuni gruppi e settori, su alcuni atenei e territori, a spese di altri.
Anche alla luce del Pnrr, inoltre, proprio in questi mesi si sono moltiplicate proposte e ragionamenti che vanno nella direzione di radicalizzare l’autonomia, intrecciando anche il perimetro delle strutture pubbliche con il privato: dal Piano Colao alla lettera dei 150, sino alla recente intervista del presidente uscente del Cnr che propone l’Iit come modello di riferimento.
Contro queste derive la Flc Cgil, ha da tempo chiesto un’inversione di direzione, rilanciando l’impianto nazionale del sistema universitario (a partire da ordinamenti didattici e inquadramento del personale), rafforzando il perimetro pubblico della ricerca (e non indebolendolo, come si intravede in alcune proposte e interpretazioni sul Pnrr), rivendendo la legge 240 del 2010, l’impianto del sistema di valutazione e i criteri di distribuzione delle risorse.
Come ha infatti ricordato Francesco Sinopoli su Collettiva, la forza dell’università italiana è infatti nonostante tutto proprio rappresentata dal suo sistema nazionale, cioè da quell’impianto e da quelle regole, organizzative e didattiche, che tengono insieme gli atenei, logorate da questa autonomia ma ancora importanti.
A trent’anni dalla Ruberti, vent’anni dal processo di Bologna e dieci anni dalla Gelmini, si pone quindi con sempre maggior evidenza la necessità di avviare un bilancio di queste riforme e una riflessione sul ruolo e il valore dell’autonomia universitaria. Insieme alle organizzazioni della docenza universitaria Andu (Associazione nazionale docenti universitari) e Rete29aprile come Flc Cgil abbiamo voluto organizzare per venerdì 12 marzo alle 17.30 un primo momento di confronto su questi temi, proprio per cercare di aprire un dibattito sulla direzione in cui sta andando l’università italiana. Al dibattito, che si potrà seguire in diretta sulla pagina Fb della Flc Cgil, abbiamo invitato a partecipare anche la costituzionalista Roberta Calvano e Valeria Pinto, esponente dell’appello Disintossichiamoci, contro la derive delle logiche di mercato nelle università.
Si tratta di una riflessione collettiva che per noi è fondamentale si apra negli atenei e più complessivamente nel paese, sul ruolo sociale dell’università e della ricerca, sulla sua funzione pubblica, sugli interventi strutturali da prevedere sul sistema universitario. Dal nostro punto di vista, oggi come ieri, l’obiettivo è rafforzare l’impianto pubblico e democratico dell’università e della ricerca italiana, invertendo le politiche degli ultimi decenni.