Università, gli emendamenti per una riforma “dal basso”
17 novembre una conferenza stampa al Senato
Vi ricordate i 500 “cervelli” da far rientrare in Italia? Lo aveva annunciato Matteo Renzi nella trasmissione Che tempo che fa a metà ottobre. Naturalmente i desiderata del premier erano contenuti nella legge di stabilità, art. 15, titolo Merito. Ebbene, quest’articolo è da abrogare interamente perché non fa bene all’Università italiana, che, ricordiamo, vive un momento drammatico tra crollo delle immatricolazioni e del numero dei laureati.
L’art.15 da cancellare è soltanto una delle proposte del piano di emendamenti di Flc Cgil, Adi (associazione dottorandi italiani), del coordinamento degli studenti universitari Link, e quello dei ricercatori non strutturati Crnsu, che il 17 novembre verrà presentato in una conferenza stampa al Senato (ore 13 sala Nassirya). «Le abbiamo fatte conoscere a tutti i partiti, domani vedremo chi aderisce», dice Francesco Sinopoli, segretario nazionale Flc Cgil. Le proposte scaturite “dal basso”, cioè da chi vive ogni giorno negli atenei gli effetti del progressivo taglio dei finanziamenti e del blocco del turn over, secondo Sinopoli «sono a cavallo del contingente, per cercar di porre rimedio all’emergenza ma sono anche la prefigurazione di una nuova università, con indicazioni di un progetto preciso», conclude Sinopoli.
Probabilmente sarà Sel più Altra Europa (cioè i senatori ex M5s Campanella e Bocchino) a recepire gli emendamenti, ma forse anche altri parlamentari appartenenti al M5s e al Pd.
Ecco i sette punti che costituiscono la base della “riforma dal basso”.
- Il reintegro del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo) di 800 milioni di euro che è quanto è stato tagliato dal 2009 a oggi. Da ricordare che addirittura secondo il presidente della Crui l’università italiana avrebbe bisogno di un miliardo di euro. Mentre invece nella legge di stabilità all’articolo 17 è previsto per il ffo una somma pari a 6,863 milioni di euro, con un aumento di 55 milioni rispetto all’anno precedente.
- L’aumento del Fondo integrativo statale per la copertura delle borse di studio. Attualmente il cronico bisogno di fondi (ogni anno 40mila studenti che hanno diritto alla borsa di studio non la ottengono) è aggravato dall’innalzamento della soglia isee.
- Una riforma della tassazione studentesca e “no tax area” fino a 23mila euro di isee. In Italia esiste una disparità nelle tasse universitarie, che comunque sono tra le più alte d’Europa.
- Un piano pluriennale di reclutamento di ricercatori a tempo dterminato di tipo b prevedendone almeno 5000 in 4 anni.
- Lo sblocco del turn-over e l’abolizione del sistema di punti organico che ha determinato diseguaglianze evidenti tra gli atenei con la penalizzazione di quelli del Mezzogiorno, progressivamente “desertificati”.
- Un finanziamento a sostegno delle borse di dottorato.
- Il mantenimento delle somme destinate all’edilizia universitaria.
In che stato è l’Università italiana?
L’Italia è ultima in Europa per numero di laureati, è il penultimo Paese dell’Ocse quanto a finanziamenti all’istruzione terziaria, detiene il record di Neet tra i 16 e 29 anni e, dulcis in fundo, dal 2003 a oggi ha visto il crollo delle immatricolazioni: da 338mila a 260mila. Nel frattempo, circa 2000 professori se ne vanno ogni anno in pensione, rimpiazzati solo in parte – e in modo diseguale tra Nord e Sud -, mentre migliaia di ricercatori precari sono costretti a vagare in laboratori sempre più privi di risorse. In questa débâcle, il taglio delle borse di studio colpisce ogni anno 40mila studenti che pure ne hanno diritto, e se a ciò aggiungiamo gli effetti del nuovo certificato Isee, è facile prevedere un ritorno agli anni 60, quando ad arrivare alla laurea erano solo i figli di laureati. (…) L’Italia investe circa 7 miliardi nell’università, la Germania 27.
In media in Italia il personale docente si è ridotto tra il 2009 e il 2014 di circa il 15 per cento, ma mentre al Nord la contrazione è stata pari a meno del 13, al Sud e nel Centro ha superato il 16 per cento. A Bari la situazione è ancora più critica, con una riduzione del 22,34%. (da Left 38, del 3 ottobre 2015)