Università e Ricerca Premiare il merito per difendere i diritti di chi studia
Dopo il dibattito sulla tesi che i contributi vanno concentrati sugli atenei migliori, ecco la replica degli autori
Tito Boeri e Roberto Perotti
Il nostro articolo del 17 marzo sulla ricerca ha scatenato molte reazioni violente su questo giornale e altrove. Abbiamo appreso di voler «schiavizzare i ricercatori», avanzando «proposte criminogene» con «metodi alla Ceausescu», oltre a neologismi come «ordo-liberista», «ambiente paraleghista», e, nelle parole della senatrice Cattaneo, «filosofia estrattiva». Molte erano variazioni sul tema «Boeri e Perotti propongono di dare ancora più soldi ai grandi atenei, autoproclamatisi di eccellenza ». Se chi ha risposto avesse letto l’articolo e la nota su lavoce. info con il dettaglio dei dati, si sarebbero risparmiati chili di carta e zilioni di bytes. Ci sono infatti ben tre errori in questa interpretazione.
Poiché la capacità di fare ricerca non è distribuita uniformemente, la quota di fondi assegnata per premiare la ricerca migliore dovrebbe mostrare una concentrazione nei finanziamenti pro-capite superiore al resto dei finanziamenti, distribuiti in modo quasi proporzionale al numero di studenti (quindi con dispersione praticamente pari a zero quando misurati in termini pro-capite, come facciamo noi). Nel nostro articolo mostravamo che così avviene in Inghilterra, ma non in Italia.
Con questa premessa, ecco i tre errori. Primo,non abbiamo mai sostenuto che si debba concentrare le risorse sui grandi atenei. Ripetiamo: abbiamo sempre parlato di concentrazione dei fondi pro-capite, non dei fondi in assoluto. Quindi la maggiore concentrazione che auspichiamo nella "quota premiale" può benissimo andare a vantaggio degli atenei più piccoli. Molti di questi hanno ottimi dipartimenti; e molti grandi atenei hanno tanti dipartimenti mediocri. E qui viene il secondo errore: quando si parla di ricerca vanno premiati i dipartimenti migliori, non gli atenei. Terzo errore: «autoproclamatisi ». Un errore così macroscopico che dubitiamo possa essere stato commesso in buona fede: davvero potremmo proporre di migliorare la valutazione della ricerca e allo stesso tempo di dare più soldi a chi si «autoproclama» migliore degli altri?
In realtà, in quasi tutti gli interventi c’è un gigantesco elefante nella stanza: l’Istituto Italiano di Tecnologia, un centro che opera in gran parte con regole proprie, e certamente ben finanziato. È una realtà che non conosciamo e su cui non abbiamo un’opinione. La senatrice Cattaneo, che ha condotto una lunga battaglia contro l’IIT, ci accusa di voler creare «oligarchie della conoscenza» o «nuovi centri privilegiati», e di voler promuovere «una visione della ricerca che accentra risorse e usa i fondi pubblici per intestarsi competenze e idee sviluppate altrove, si autoproclama eccellente, rifuggendo ogni competizione ad armi pari», nonché di voler «creare ulteriori enti o fondazioni da dotare di fondi pubblici "propri e privilegiati"», di promuovere gli ennesimi «vincitori senza gara». L’esatto opposto di quello che proponiamo. Può darsi che i tanti critici dell’IIT abbiano ragione, peccato che l’IIT non c’entri niente con quanto abbiamo scritto.
Tra le altre critiche: per alcuni la ricerca, o meglio i ricercatori, non possono e non debbono essere valutati. È una tesi molto comoda, spesso accompagnata dalla trita giustificazione che «la cultura non è un mercato e non è quantificabile, come invece credono i bocconiani». Chi la sostiene dovrebbe per coerenza proporre di estrarre a sorte chi dirige l’acceleratore del Cern tra tutti i ricercatori in fisica. Inoltre è proprio grazie a questa logica che gli atenei più forti e ben connessi, quindi quelli più grandi, riusciranno ad accaparrarsi una quota sproprozionata dei finanziamenti.
Altri ritengono che «tutte le università e dipartimenti devono essere centri di eccellenza», ma si guardano bene dal dire come. Questa posizione deriva da una profonda incomprensione di come funziona la ricerca: sarebbe bello che tutti fossero dei potenziali premi Nobel, ma la realtà è più complicata. Questo non significa che non si debba pensare a meccanismi per incentivare tutti a migliorarsi.
Infine, molti hanno sparato ad alzo zero contro l’ennesimo presunto attacco "liberista" al diritto allo studio. Le etichette non ci interessano, ma la sostanza è esattamente l’opposto. Da anni sosteniamo che lo stato debba offrire più borse di studio, che coprano anche il costo della vita fuori sede, liberando così gli studenti meritevoli dalla schiavitù delle università di basso livello sotto casa. Coloro che rifiutano meccanismi concreti per spronare l’università a migliorarsi di fatto perpetuano la ghettizzazione degli studenti più sfortunati.
Né li salverà la debordante retorica di cui sono intrise tante risposte al nostro intervento. Anche noi conosciamo ricercatori straordinari in ogni parte d’Italia, tanto più straordinari perché lottano contro storture e ostacoli di ogni tipo. Ma ricorrere alla retorica e alla pomposità, riempirsi continuamente la bocca con le «straordinarie eccellenze italiane » per salvaguardare lo status quo, serve solo a isolare queste straordinarie capacità.