C’informa Federico Fubini su La Repubblica che “i nostri giovani studiano per una vita nelle scuole pubbliche, fin dalle elementari. Poi trovano un posto in Germania, Regno Unito, Brasile. Uno spreco enorme nell’indifferenza”. Con un rapido conto si calcola che il capitale umano rappresentato da “il laureato emigrante” è costato allo Stato 23 miliardi ed è regalato agli altri paesi. La conclusione è che “così l’Italia manda via qualcosa che costa e vale più delle sue autostrade o ferrovie. Lo fa nell’indifferenza dei ministri che raccomandano un figlio, degli universitari che sbarrano la strada ai bravi per favorire i servili.”
E’ di pochi giorni fa la notizia di una a lettera inviata dagli esperti della Commissione Grandi Rischi al capo della Protezione Civile in cui si denuncia che con il pensionamento del fisico Stefano Tibaldi “non ci sono più docenti ordinari, né ce ne saranno in futuro perché in Italia solo i professori ordinari di una materia possono crearne altri. Il circuito è chiuso, a meno di un deciso cambio di rotta politico…”. Di conseguenza, in un importante settore strategico per il paese (le previsioni meteorologiche hanno un impatto importante sul sistema produttivo, nei paesi industrializzati) “l’utenza di bassa qualità dilaga, quella qualificata (grandi aziende agricole, industrie, piattaforme petrolifere, trasporti marittimi), si rivolge alle società di consulenza internazionali”. Il problema, non è l’accademia auto-referenziale, ma piuttosto che con i flussi attuali a estinguersi non saranno solo i meteorologi.
Infine il sempre “attento” Prof. Zingales, dai lontani USA, nota che “È ora di rimettere in discussione i diritti acquisiti degli anziani. Perché, a forza di tutelarli, abbiamo lasciato senza speranza i giovani. Che vanno in massa all’estero”. Insomma sono sempre i baroni nullafacenti garantiti a vita che bloccano la strada ai giovani: strano però il prof. Zingales era lo stesso che aveva appoggiato la riforma Gelmini, secondo lui la migliore riforma del governo Berlusconi in quanto “Di fronte alla scelta obbligata tra privarsi di un collaboratore o promuoverlo, i professori si troveranno “costretti” a promuovere i ricercatori bravi al tempo giusto, invece che lasciarli languire nella promessa di un premio futuro.” Che qualcosa non abbia funzionato? Ne vogliamo discutere?
Ripetiamo di nuovo qualche semplice dato: (1) Il sistema universitario e della ricerca italiano è storicamente sotto-finanziato rispetto agli altri paesi europei. (2) La riforma Gelmini, combinata con la legge 133/2008, ha comportato un taglio ulteriore del 20% che si è tradotto in una diminuzione del 90% del reclutamento, del 20% del totale dei docenti e del 100% dei progetti di ricerca. (3) In assenza di una politica industriale e con un tessuto produttivo formato da “imprese di piccole dimensioni, poco innovative, poco esposte alla concorrenza internazionale e gestite da imprenditori con basso titolo di studio” non ci sarà mai nessuna richiesta di personale con alta formazione.
Tuttavia, come ci ha insegnato la Gelmini e l’orrenda campagna stampa al seguito, è molto più semplice dare la colpa ai baroni che “sbarrano la strada ai bravi per favorire i servili” e che magari non hanno scritto neanche una riga nella loro vita: il governo non c’entra nulla, la Confindustria non pervenuta, chi ha in mano le politiche della ricerca neanche a parlarne. Che lo faccia una stampa asservita e complice è comprensibile. Che non lo capiscano i diretti interessati, no.