Università. Come vincere i nepotismi
di Pietro Greco
Il nepotismo nelle università italiane. Il tema è tornato all’attenzione dei media negli ultimi giorni, per almeno tre casi. Si è iniziato con quello di Michel Martone, il più giovane sottosegretario del governo Monti, che ha dato dello «sfigato» a chi a 28 anni non ha ancora una laurea. Si è poi saputo che Michel, figlio di un noto e influente magistrato, è diventato professore ordinario di Diritto del lavoro presso l’Università di Siena a 29 anni, con un solo lavoro scientifico pubblicato all’attivo e a seguito di un concorso per due posizioni dove stranamente 6 candidati su 8, con molti titoli in più, si sono ritirati prima dell’esame di selezione. Si è continuato con Silvia Deaglio, figlia del Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e di Mario Deaglio: «colpevole», secondo le implacabili voci delle rete, di essere diventata professore associato nella stessa università, a Torino, dove la madre è professore ordinario di economia e il padre è professore di economia internazionale. Ma Silvia ha (giustamente) sottolineato che lei insegna a medicina, in un dipartimento diverso da quello degli illustri genitori, e che in ogni caso il suo curriculum scientifico – ricco di ben 93 pubblicazioni scientifiche internazionali con peer review – è di assoluto rispetto. Si è chiuso (per ora) con Luigi Frati, docente di Patologia generale, a lungo Preside di Medicina e ora Rettore dell’Università di Roma «La Sapienza». Gian Antonio Stella ha ricordato sul Corriere della Sera che non solo Luigi Frati si vanta di aver «messo in cattedra» 200 professori, ma che nella sua università – anzi nella «sua» Medicina – hanno trovato lavoro la moglie Luciana Rita Angeletti (laureata in Lettere, insegna storia della Medicina); la figlia Paola (laureata in Giurisprudenza, lavora a Medicina Legale) e il figlio Giacomo (medico e da poco ordinario di Medicina e Chirurgia). Gian Antonio Stella insinua che ci sia una qualche relazione tra il sistema di reclutamento dei docenti e lo scarso riconoscimento che «La Sapienza» ha tra le grandi università del mondo.
CASI DIVERSI FRA LORO I tre casi sono molto diversi gli uni dagli altri. Tuttavia è innegabile che l’università italiana è attraversata dal fenomeno del nepotismo, che tende a premiare non i migliori ma i «figli di mamma e papà». Ma l’analisi non può fermarsi a questa denuncia generalizzata. Occorrono almeno tre specificazioni. Primo: il fenomeno è diffuso, con un diverso gradiente, in tutto il paese. Secondo: il fenomeno del nepotismo è più accentuato in alcune aree disciplinari (giurisprudenza, medicina, ingegneria) e molto meno in altre. In particolare è diffuso nelle aree disciplinari in cui la docenza favorisce l’attività professionale. In ambito scientifico sono pressoché immuni da fenomeni di nepotismo matematica, fisica, chimica, biologia. Terzo: nelle aree disciplinari in cui il docente universitario è completamente assorbito dalla docenza e dalla ricerca l’università italiana forma giovani eccellenti. Una capacità che spiega perché i giovani matematici, fisici, chimici, biologi italiani brillano quando vanno all’estero. Sulla base di queste specificazioni, occorre chiedersi se le norme introdotte nel 2009 e nel 2010 da Mariestella Gelmini (commissione nominata per sorteggio; candidati vagliati prima a livello nazionale; sedi diverse per parenti) siano sufficienti a sconfiggere il fenomeno del nepotismo. Si tratta di norme che vanno, certo, nella direzione giusta. Tuttavia occorre prendere in esame l’ incompatibilità tra professione e docenza universitaria. Chi sale in cattedra deve solo insegnare e fare ricerca. Non deve svolgere alcun’altra professione. In questo modo l’interesse alle cordate familiari verrebbe decisamente eroso.●