Università, battaglia sul numero chiuso i test d’accesso approdano alla Consulta
Prima vittoria degli studenti: “Così è una lotteria, serve una graduatoria unica”
SALVO INTRAVAIA
CON un’ordinanza depositata lo scorso 18 giugno, su ricorso dell’Unione degli universitari, il Consiglio di stato ha rinviato alla Consulta la decisione su uno degli argomenti più controversi degli ultimi anni in ambito universitario.
Il meccanismo attuale — che prevede il numero programmato a livello nazionale per Medicina, Odontoiatria, Veterinaria, Architettura e per le Professioni sanitarie (infermieri, ostetriche, fisioterapisti, per citane alcune), ma con graduatorie finali stilate da ogni singolo ateneo — sceglie veramente gli studenti migliori? Li mette tutti nelle stesse condizioni di partenza? O l’ammissione è anche in parte frutto del caso? I giudici di Palazzo Spada nutrono più di qualche dubbio sul meccanismo messo in piedi nel 1999 che, a parità di test, per ogni singola facoltà seleziona gli studenti con punteggi diversi.
La contesa ha preso le mosse da un ricorso al Tar dell’Emilia Romagna presentato da un gruppo di studenti esclusi nel 2007/2008 dal corso di laurea in Medicina e chirurgia dell’università di Bologna perché si collocarono oltre i posti messi a concorso.
In quella tornata di quiz successe di tutto: dopo una valanga di polemiche, due domande vennero estromesse dal computo finale — la numero 71 che non aveva risposte corrette e la numero 79 che ne aveva più di una — e le graduatorie vennero compilate su 78 quesiti validi invece degli 80 previsti. Non solo. Il ministero fu costretto a ripetere il test di ammissione alla facoltà di Medicina dell’università della Magna Grecia di Catanzaro per irregolarità: un tecnico, poi condannato, aveva venduto in anticipo le soluzioni.
Gli esclusi dalla facoltà di Medicina di Bologna si rivolsero dunque al Tar perché ritennero di avere subito un danno dall’annullamento delle due domande in questione. I giudici respinsero i motivi avanzati, così questi ultimi si rivolsero in appello al Consiglio di Stato, che lo scorso 18 giugno ha nuovamente respinto le richieste avanzate, tranne una: quella che lamenta la disparità di trattamento che deriva dalla compilazione di graduatorie diverse per ogni ateneo, piuttosto che di una graduatoria unica nazionale. «Mentre a Bologna sono stati necessari 47 punti per il collocamento utile in graduatoria, a Sassari ne sarebbero stati sufficienti
37 e a Napoli 40,75», si legge nell’ordinanza dei giudici. «La prospettata questione (di eccezione di costituzionalità) è non manifestamente infondata — continuano — , atteso che il sistema delle graduatorie di ateneo in luogo di una graduatoria unica nazionale appare lesiva» di tre articoli della Costituzione. E concludono: «A fronte di una prova unica nazionale, con 80 quesiti, l’ammissione al corso di laurea non
dipende in definitiva dal merito del candidato, ma da fattori casuali e affatto aleatori legati al numero di posti disponibili presso ciascun Ateneo e dal numero di concorrenti presso ciascun Ateneo, ossia fattori non ponderabili
ex ante
».
Siamo soddisfatti, dice il coordinatore nazionale dell’Udu, Michele Orezzi, «per un ulteriore passo avanti nella battaglia contro il numero chiuso. Siamo certi che il sistema dell’accesso programmato è illegittimo in quanto tale e per la illecita compressione del diritto allo studio. Siamo d’accordo con il Consiglio di Stato, oggi in Italia il sistema è dominato dal caso: siamo di fronte ad una sorta di lotteria».