Significativo è l'articolo 58 c. 1 del decreto legge n. 69 del 2013 (cosiddetto “decreto del Fare”), che eliminava uno dei meccanismi principali nell’azione di riduzione della spesa universitaria messi in moto dalla Gelmini e da Giulio Tremonti nel 2008. Con l'illusione di essere riusciti a fermare la mostruosa macchina taglia cultura, si sperava di poter guardare di nuovo ad un futuro fatto di ricerca, scuole, insegnamento e università. Si sperava quindi di riuscire a venire fuori da quella mentalità puramente economicista che aveva imprigionato il vecchio governo e condannato la cultura.
La nuova legge di stabilità di Letta si presenta bene ad una prima lettura. Infatti il fondo finanziario ordinario (FFO) per le università sarà aumentato di 150 milioni. Tuttavia se entriamo nei particolari, si iniziano a notare incongruenze con la frase di Letta prima citata. Riporto un frammento della legge: “[...]Per il biennio 2012-2013 il sistema delle università statali può procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato di ricercatori a tempo determinato nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al venti per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell’anno precedente. La predetta facoltà è fissata nella misura del cinquanta per cento per gli anni 2014 e 2015, del sessanta per cento nell’anno 2016, dell’ottanta per cento nell’anno 2017 e del cento per cento a decorrere dall’anno 2018[...]”. Le prime righe di questa legge non sono altro che un “copia-incolla” della vecchia legge del 2008. Questo non solo vuol dire che le cose non stanno cambiando realmente e in maniera decisiva, ma lo fanno lentamente con piccoli ritagli e poca critica, ma anche, da un punto di vista più pratico, che se un' università perde un archeologo, un chimico, un fisico teorico, un fisico sperimentale e un esperto di letteratura latina, non sarà in grado di colmare questa perdita se non tra almeno 5 anni, se i bilanci universitari lo consentiranno, con la possibilità di dover chiudere facoltà o centri di ricerca.
Emblematica è poi la lettera che il rettore dell'Università di Bologna ha mandato questa settimana a tutti gli studenti, spiegando come l' Alma Mater abbia perso quest'anno quasi 20 milioni di euro su circa 300 di fondo previsto. Lettera che rappresenta un rapporto che si crea all'interno delle università, ma più in generale in tutte le scuole, tra professori e studenti. I professori infatti non sono solo insegnanti, ma diventano protettori e modellatori del futuro, non tanto del singolo studente, ma dell'intero paese. La lettera ha suscitato tormento e panico in tutto il mondo accademico, che si sente sopraffatto dalle manovre governative, che non hanno linee d'azione definite e coerenti.
I tagli e i finanziamenti alle scuole e alle università, per quanto influenzate dalla crisi economica, restano e resteranno sempre una scelta del governo. A quanto pare, anche se le modalità cambiano rispetto al vergognoso passato, le scelte prese rimangono sempre le stesse. Scelte guidate dal solo fattore economico. Scelte prese restando in bilico tra compromessi e populismo. Insomma, per quanto si voglia cambiare, la macchina governativa sembra stare perennemente in folle, semplicemente mettiamo la testa fuori da un finestrino e poi dall'altro, con l'illusione di muoverci nella direzione del nostro sguardo.
È da qui che si nota il distacco generazionale tra gli studenti e la politica: dalla capacità di guardare al futuro e saperlo inseguire, agendo, uscendo dalla macchina governativa perversa dei tagli agli investimenti, e camminando coraggiosamente. Come hanno fatto in tanti Paesi europei, dove pure i tagli alla spesa pubblica sono stati massicci, ma non hanno intaccato il Welfare e l’Istruzione. Il futuro è fatto di ricerca e di scuole, ma per far sì che questo futuro diventi presente prima o poi, andrebbe riscritto tutto il sistema dei finanziamenti pubblici, scegliendo con coraggio le priorità. L'attuale nostra cultura politica non ce lo permette. È per questo che si tira a campare.