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Università: 2015 fuga dal Sud

Il flusso di forza lavoro qualificata da Sud a Nord è inesorabile così come l’impoverimento degli atenei del Sud, che sembrano condannati a chiudere o a diventare una sorta dei licei di terz’ordine

15/09/2015
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Il Fatto Quotidiano

Francesco Sylos Labini

Un “oscuro blog”, secondo taluni letto da soli universitari e secondo altri animato da un gruppo di “pasdaran accademici” (!), anche noto come “collettivo di Roars”, ha messo recentemente in evidenza, voce nel deserto, uno degli effetti più vistosi del futuro luminoso che ci sta assicurando la meritocrazia all’italiana: la grande fuga dal sud. Scrive L’Espresso: “Da Napoli a Palermo, gli atenei meridionali perdono matricole, docenti, fondi e punti nelle classifiche. Un fenomeno che riflette e accentua il divario del Paese”. Più che altro una situazione che ricorda sempre più quello che accadeva nel film “1997 fuga da New York”, dove quella che fu la città di New York era diventata il carcere di massima sicurezza per l’intero paese. Solo che non è Jena Plissken, prigioniero condannato alla pena capitale, a tentare di fuggire, ma un esercito di studenti, laureati e dottorati che scappano da una terra che non sembra offrire più nulla.

Questo squilibrio ha, come effetto delle politiche in corso, un’unica prospettiva: quella di aumentare. Il flusso di forza lavoro qualificata da Sud a Nord è inesorabile così come l’impoverimento degli atenei del Sud, che sembrano condannati a chiudere o a diventare una sorta dei licei di terz’ordine. Come scrive l’economista Gianfranco Viesti: “Negli ultimi anni, l’investimento pubblico nell’istruzione universitaria nel nostro paese si è profondamente modificato. In estrema sintesi, tre sono stati i principali cambiamenti: 1) una forte riduzione del suo ammontare; 2) una ripartizione asimmetrica di questa riduzione fra le sedi universitarie e le grandi circoscrizioni territoriali; 3) l’entrata in funzione di meccanismi di allocazione delle risorse assai discutibili, che tendono ad avere un effetto cumulato nel tempo. Tutto ciò può rapidamente portare, senza ulteriori interventi, ad un ulteriore, drastico ridimensionamento di alcune sedi universitarie o alla loro definitiva chiusura”.

Di fronte a questo sfacelo, non si capisce se sia peggio la risposta di una politica che semplicemente nega e aggrava il problema (nel caso dell’università si legga questa approfondita analisi), di una “classe dirigente del meridione” prigioniera di una gabbia ideologica costruita appositamente per raccoglierne lo scalpo, o di una classe accademica animata da risentimenti storici contro se stessa o, peggio, che vede nella “meritocrazia cozze e vongole” una occasione per una rapida carriera o per un regolamento di conti interno. Fatto sta che il Sud d’Italia assomiglia ogni giorno di più al carcere a cielo aperto fantasticato nel film di John Carpenter. Questo disegno di dismissione, mai discusso in sede politica, è attuato attraverso valutazioni tecnocratiche, vendute come neutrali e diffusamente accettate nella classe accademica che confonde collanine di vetro colorato con collanine d’oro: è sufficiente che ci sia scritto sopra “valutazione” e “meritocrazia”.


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