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Unità: Votare in scienza e coscienza

Gianfranco Pasquino

10/02/2009
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l'Unità

In questioni che riguardano la vita e la morte qualsiasi regolamentazione rischia di essere restrittiva della libertà delle persone. Nessuna regolamentazione deve essere dettata dalla fretta né può configurarsi come regolamentazione ad personam, anzi, per come si prospetta il testo della maggioranza, contra personam. Poiché i parlamentari saranno chiamati a decidere su materie che riguardano noi cittadini, allora è opportuno che ciascuno di loro si prepari ad argomentare la sua valutazione del testo legislativo, a giustificare in totale trasparenza la sua opzione di voto e ad assumersene la piena responsabilità. Quanto migliore sarebbe la rappresentanza politica, di preferenze e di valori, se esistessero collegi uninominali nei quali i parlamentari si confrontassero con gli elettori!

Dovrebbe essere fuori discussione che, quando si tratta della vita e della morte, non possono valere nessuna affiliazione e nessuna appartenenza partitica. Non può essere imposta, come minacciata dal capo del governo e echeggiata dai capigruppo del suo partito, ma dignitosamente respinta dal Presidente della Camera, nessuna disciplina di partito. Tuttavia, precedenti esperienze, nient’affatto ammirevoli, fanno temere che molti, probabilmente troppi, parlamentari si trincereranno dietro una improponibile “libertà di coscienza” e forse vorranno anche farsi proteggere dal voto segreto. Al contrario, tutti i parlamentari dovrebbero dichiarare solennemente che rinunciano alla segretezza del loro voto perché desiderano che i loro elettori e, più in generale, l’opinione pubblica interessata e tutti i cittadini sappiano come hanno votato, dando concreta attuazione alla rappresentanza della Nazione senza vincolo di mandato, neppure quello che potrebbe venire loro imposto dal partito, sia al governo sia all’opposizione, che li ha nominati parlamentari.

Auspicherei anche, ed è il punto che mi preme di più, che ciascun parlamentare non chiamasse in causa soltanto la sua coscienza, ma anche la sua “scienza”. Mi pare, infatti, giusto che i parlamentari comunichino, attraverso una apposita dichiarazione di voto individuale, quanto hanno studiato e appreso sulle condizioni che riguardano l’accertamento della fine della vita e l’esistenza o meno di accanimento terapeutico. Insomma, la coscienza da sola non deve essere considerata una giustificazione sufficiente per l’espressione di qualsiasi tipo di voto. Lo potrà essere soltanto se si qualificherà come una coscienza informata dalla scienza. È il minimo che si possa esigere da chi ci rappresenta soprattutto se sostiene di essere legittimato a decidere sulle condizioni della nostra vita e della nostra morte.


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