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Unità-Venticinque aprile, riflessi di memoria

Venticinque aprile, riflessi di memoria di Bruno Gravagnuolo Dunque, c'eravamo sbagliati. Almeno in parte. E pur avendone avuto sentore, siamo stati smentiti. Della serie: non fidarti mai dei ...

17/04/2005
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l'Unità

Venticinque aprile, riflessi di memoria
di Bruno Gravagnuolo

Dunque, c'eravamo sbagliati. Almeno in parte. E pur avendone avuto sentore, siamo stati smentiti. Della serie: non fidarti mai dei post-fascisti. Non fare loro sconti. Alleanza Nazionale infatti non si limiterà a tenere un "profilo basso" sul 25 Aprile, come avevamo scritto giusto una settimana fa, commentando un'intervista al "Secolo" del sottosegretario Mantica.
Che annunciava una festa della Liberazione condivisa dai post-fascisti, ma bonificata dall'antifascismo e ridotta a festa civile tra le tante. No. Accanto al profilo basso e alla svalutazione della festa, An annuncia ufficialmente di disertare il 25 aprile con Ciampi a Milano. E lo fa per bocca di Ignazio La Russa, che incorpora la versione Mantica ("festa tra le tante") ma rilancia alla grande: "Resistenza bianca sì, rossa no. A meno che il 25 aprile non diventi come il 4 Novembre, festa di tutte le forze armate". Per inciso, in simultanea con Mantica la penultima esternazione di La Russa era stata: "Ciascuno onora chi vuole. Ma le istituzioni dovrebbero onorare tutti i caduti, Rsi e partgiani". Dunque triplice mossa, anzi quadruplice. Banalizzazione, equiparazione dei fronti, riforma e infine rifiuto del 25 aprile. Manco a farlo apposta la Lega si adegua subito. Non ci sarà il 25 con Ciampi a Milano. E con il leghista Matteo Salvini proclama: "Meglio andare in Val Camonica (in gita, ndr?). La presenza di Ciampi strumentalizza, ammanta tutto di retorica".
Bene, ce ne è abbastanza per trarre qualche conclusione, immediata e più generale. La prima nasce dalla domanda: perché mai An viene adesso brutalmente allo scoperto, dopo aver simulato "fair play" sul 25 aprile? Risposta: la crisi di governo. Crisi che precipita rovinosamente e che lascia An - rumorosa e malmostosa al suo interno - ostaggio della strategia di Berlusconi. La quale non prevede le "svolte equilibrate" di governo tanto invocate dai post-fascisti. Ebbene, con la polverizzazione del dicastero e l'uscita dell'Udc, An si trova orfana degli scenari sognati: Berlusconi vittorioso al Quirinale e Fini a palazzo Chigi. Come premio della fedeltà e della visibilità "sociale" e "neoliberale" del post-fascismo. E allora, spiazzata da Follini e subalterna al Berlusconi azzoppato, An ripiega sull'"identità". Sulla riconquista di tutto il suo elettorato malpancista (Alessandra Mussolini). E sul compattamento dei conflitti interni (Alemanno, Storace). Nel segno della sua fisionomia nazional-conservatrice, che non ha rinnegato affatto certe ragioni nazionali del fascismo (Fini non ha mai detto che tuto il fascismo era "male assoluto", ma solo che tale era la pagina legata alla Shoà).
Si tratta perciò di una vera regressione rispetto a Fiuggi. Rispetto al tempo in cui l'antifascismo era definito "momento essenziale di passaggio alla democrazia". Una regressione incoraggiata dalla disperata battaglia elettorale alle viste. Ma favorita anche dalla persistenza di un problema identitario ben presente sullo sfondo. E attivo non solo nelle mille manifestazioni endemiche - alla base e sul territorio - di fascismo non digerito. Bensì proprio nel vivo della stessa "svolta" di Fiuggi. Allorché la tesi dell'antifascismo come "momento necessario", e non come "valore positivo", lasciava aperto esattamente il problema della piena ricollocazione di An dentro la democrazia italiana. Non accettare infatti la "discontinuità antifascista", come valore e base dell'ordinamento democratico nazionale, tiene An perenemente in bilico: tra il post-fascismo e il prima del post-fascismo. Incoraggiandola a regredire verso il debito e la parentela non risolti col fascismo e con le "rivoluzioni conservatrici" del 900. Magari all'insegna di ambigue riabilitazioni e di storicizzazioni benevole. Di qui il richiamo della foresta che esplode nella strettoia della crisi politica, e che spinge platealmente An a chiamarsi fuori dalla festa fondante della rinascita democratica italiana. Invocando ancora pari onori per quelli che furono - volenti o nolenti - i nemici della dignità e della libertà italiana: i repubblichini.
C'è da dire altresì che An è stata ed è in buona compagnia, sul crinale di questa impossibile ambiguità. Della Lega, come abbiam visto. Con la quale, per ragioni diverse, An ha oggi in comune l'attacco all'impianto della Costituzione repubblicana. Attacco che è ulteriore cartina di tornasole politica dell'irrisolta identità post-fascista. Ma l'offensiva contro la Carta ha coinvolto come si sa tutta la Cdl, malgrado i distinguo centristi. Berlusconi in primo luogo. Che ha anunciato per ora la sua presenza accanto a Ciampi il 25 aprile. Ma che ha definito "sovietica" la Costituzione del 1948. E che ha persino scavalcato Fini(irritandolo) nell'edulcorare il significato della dittatura fascista. Senza dimenticare le zelanti esegesi di Marcello Pera, Presidente del Senato, contro le basi antifasciste delle istituzioni democratiche, del tutto in consonanza con la vulgata revisionista e terzista, mirante a liberare la Repubblica da ogni "privilegio" di memoria antifascista. Dall'ultimo De Felice in poi. Insomma tutta questa partita si è rivelata dall'inizio alla fine per quel che era. Colpire l'antifascismo, per destrutturare a fondo la Costituzione formale e materiale del paese. In direzione di un modello neoconservatore sul piano sociale. Ma insieme premierale e post-parlamentare. A questa operazione s'è dedicato quasi tutto il ceto politico del centrodestra, ceto estraneo e ostile alla Resistenza. Adesso però i nodi vengono al pettine. Perché con la rotta della Cdl quel progetto è in rovina, e la rovina mette ancor più in luce le vere intenzioni. A questo punto per l'opposizione e l'Italia il corto circuito è inevitabile. Celebriamo unitariamente il valore fondativo e costituzionale del 25 aprile. E poi, quando sarà, cacciamoli col voto.


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