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Unità: Vecchioni: «Aprite gli occhi, noi prof in trincea ci stiamo da 30 anni»

Genitori violenti, bullismo: serve una scossa, lo Stato smetta di considerare la scuola come un parcheggio

05/03/2007
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l'Unità

Genitori violenti, bullismo: serve una scossa, lo Stato smetta di considerare la scuola come un parcheggioPadre e nonno che a Bari mettono le mani addosso al preside della scuola media frequentata dal loro «piccolo», un’insegnante delle elementari che «taglia» la lingua ad un proprio alunno troppo vivace. E ancora: video di prof che si fanno toccare dagli alunni e video di alunni che importunano compagne. Poi pestaggi assortiti.

Negli ultimi mesi la scuola è tornata prepotentemente ad occupare le pagine di cronaca dei giornali, con tanto di commenti apocalittici sul destino delle nuove generazioni e sulla scarsa consistenza dei docenti italiani.

Roberto Vecchioni, per trent’anni insegnante di latino e greco nei licei classici milanesi, ha visto passare migliaia di studenti e genitori. Nonostante il successo musicale, non ha abbandonato la sua professione, che ha portato avanti fino a pochi anni fa, quando è andato in pensione dopo un triennio trascorso come docente presso l'Università di Torino, dove ha insegnato «Forme di poesia in musica». La sua è un’analisi serena e disincantata sulla scuola e soprattutto sulle famiglie, componente fondamentale di qualsiasi sistema formativo, pubblico o privato che sia.

«Premetto che non conosco bene i fatti di Bari - ci spiega Roberto Vecchioni - però devo dire che le aggressioni di genitori o parenti nei confronti degli insegnanti, aggressioni di tipo fisico o verbale, sono purtroppo ricorrenti. Sono sempre accadute, non rappresentano certo una novità e chi ha un minimo di conoscenza del mondo scolastico lo sa bene. Questo accade principalmente perché nei genitori avviene un vero e proprio transfert psicologico. Quando si mettono in discussione i loro figli, è come accusarli di non aver svolto bene il loro ruolo. Senza considerare che molti genitori sono spaventati dalla possibilità che attraverso le tensioni del figlio si possa arrivare a scoprire la scarsa unità della loro famiglia, cioè le tensioni tra di loro. I genitori sono vittime spesso di una pesante contraddizione a proposito dei loro figli: li vedono in un modo, che può essere lontano dalla realtà e soprattutto dalla stessa esperienza che ne hanno gli insegnanti. Tante volte mi sono sentito dire “conosco meglio di lei mio figlio”. Invece l’evidenza dei fatti diceva tutt’altro e questo è difficile da accettare».

«Oggi, in modo particolare, le famiglie seguono mediamente meno i loro figli rispetto al passato» riflette ancora l’ex insegnante «e non hanno idea di che cosa facciano o dove vadano. Si fidano di loro anche per quanto riguarda i loro risultati scolastici e magari soltanto quando arrivano le pagelle si rendono conto che i figli non hanno raccontanto la verità. Scoprono improvvisamente che non studiano e che non sono così bravi e giudiziosi come avevano pensato fino a quel momento. Ma il ragazzo non ha quasi mai colpe, perché è preso tra due fuochi, la famiglia e la scuola, e non può che avere un atteggiamento difensivo. Cerca di ridurre il più possibile quello che considera il “danno” e questo è un atteggiamento comprensibile». Forse, dunque, il problema è proprio la scuola, a partire dal suo ruolo nella società. Ed i tanti nodi che non sono mai stati sciolti, per negligenza o menefreghismo. Vecchioni pensa che «il sistema scolastico interessi sempre meno ai ragazzi. Ritengono sia inutile, una medicina da dover prendere. E lo Stato, negli ultimi trent’anni, non ha pensato a risolvere il vero problema, quello di dare la giusta importanza, il giusto peso formativo all’istruzione. Non si capisce che l’istruzione è un traguardo fondamentale per l’intera società. E nella scuola che si creano le basi per il vivere comune del domani. Fino a quando non cambierà l'approccio iniziale con la scuola, il modo di considerarla, sarà difficile guarirla dalla sua malattia, evitando che si riduca a una luogo di parcheggio in attesa d’altro».


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