Unità-Vandali di una scuola disperata
Vandali di una scuola disperata Allagamenti e devastazioni: una rabbia covata all'ombra di un'istituzione abbandonata al degrado Luigi Galella* Nei giorni scorsi, nella mia scuola, ...
Vandali di una scuola disperata
Allagamenti e devastazioni: una rabbia covata all'ombra di un'istituzione abbandonata al degrado
Luigi Galella*
Nei giorni scorsi, nella mia scuola, sono entrati i topi. O forse era uno, piccolo e già cadavere, che si è presto moltiplicato nella fantasia degli alunni, e si è trasformato nei loro commenti in un "covo di topi", pronti a irrompere nelle classi, con i voraci dentini aguzzi, per eroderne le fragili fondamenta. Al rapido diffondersi del fattaccio si sono tutti precipitati fuori dalle aule, fra urla di panico e ordinari schiamazzi, e riuniti in cortile in una improvvisata assemblea hanno deciso di abbandonare l'istituto.
Nei due giorni successivi si sono rifiutati di entrare, decisi e combattivi, reclamando l'intervento della Asl e una completa derattizzazione. Ma tra noi insegnanti in molti pensavamo che quel piccolo malcapitato topolino, trovato in un cestino dei rifiuti, fosse stato portato da qualcuno di loro, e che tutto quell'agitarsi fosse una messinscena.
È da quando insegno, circa vent'anni, che ritualmente in questo periodo dell'anno si ripetono episodi di questo tipo, più o meno "creativi". Una volta trovammo tutte le serrature sigillate col silicone, e stemmo gran parte della mattinata ad aspettare che il fabbro le liberasse.
Di queste forzate "vacanze" alcuni ne soffrono, ne avvertono il danno, ma i più ci ridono sopra. Come Franti. Sovrapponendo all'efferatezza del gesto, lo spasmo crudele del riso. Ma ormai è un infierire vano, è un colpire un corpo che si sgonfia e affloscia per inerzia.
La scuola è moribonda, e non risponde ai colpi.
Se ci si chiede, dopo il celebrato caso del "Parini" e i tanti altri che ogni giorno lo richiamano, se ci sia qualcosa di nuovo, se i comportamenti vandalici di alcuni ragazzi siano la spia di un più profondo disagio del mondo adolescenziale, la mia risposta è che bisogna cercare altrove. Non in loro, ma proprio in quell'oggetto sul quale i ragazzi esercitano la loro rabbiosa o ilare furia.
L'assassino, stavolta, è la vittima: la scuola che non c'è. Il suo progressivo disfacimento. Il suo svanire, tra una riforma e un taglio: di classi, di risorse, di investimenti, di fiducia sociale, di credibilità.
Noi insegnanti, la mattina, ci costringiamo a dissimulare la sua inesistenza. Lo facciamo per spirito di servizio, come dei soldatini addestrati e ubbidienti. Entrando in classe e trovando i nostri alunni demotivati e apatici, operiamo una sorta di necessaria rimozione della realtà e recitiamo, ancora una volta, il ruolo del nostro compito "formativo", della nostra essenziale "funzione sociale". Ma è un rituale stanco. E i ragazzi avvertono la nostra marginalità. E le nostre parole si fanno retoriche e lontane, come in una liturgia declamata in una lingua antica, ai più incomprensibile.
Mi è capitato di pensare a Camus in questi giorni e al suo romanzo forse più bello, "La peste". Apparivano dei topi morti, nella città di Orano, ma le sue autorità erano sorde a recepirne il significato e il pericolo, favorendo così la diffusione, implacabile e letale, della peste.
La nostra sordità oggi è quella di non capire che le violenze, piccole o grandi, e i gesti simbolici e dimostrativi rivolti nei confronti della scuola, hanno l'inconsapevole, paradossale volontà di rianimare un corpo morto.
Sono un gesto d'amore, uno schiaffo e un bacio che ci consentano di risvegliarci da un coma profondo.
I ragazzi hanno bisogno della scuola. Della sua solidità e della sua essenza. Finiamola di ripetere che in loro si riflettono, come in uno specchio deforme, i guasti della società, inseguendo i "piercing" e le pance scoperte, scandalizzandoci dei loro comportamenti trasgressivi, dimentichi di ciò che siamo stati.
I ragazzi hanno bisogno di una scuola vera, e non di un simulacro. È quest'ultimo che irridono, e allagano o invadono di bigattini o di topi. Hanno bisogno di relazioni autentiche, di maestri, di parole. Di fiducia. Che a noi adulti, ultimamente, viene meno.
* professore di italiano e storia