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Unità-Una scuola nuova di zecca. Troppo, sembra un labirinto...

Una scuola nuova di zecca. Troppo, sembra un labirinto... Luigi Galella Ha qualcosa che evoca la biblioteca di Babele di Borges, l'edificio della nuova scuola di quest'anno, con lunghi corri...

26/09/2005
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l'Unità

Una scuola nuova di zecca. Troppo, sembra un labirinto...

Luigi Galella

Ha qualcosa che evoca la biblioteca di Babele di Borges, l'edificio della nuova scuola di quest'anno, con lunghi corridoi che si perdono in altri corridoi. O che rimanda a quelle paradossali litografie di Escher, in cui l'inizio e la fine e il sopra e il sotto si confondono, e le scale scendono ai piani superiori, con astratte e ineffabili geometrie, nelle quali, oggi, col batticuore dei neofiti ci aggiriamo alla ricerca delle aule, dei bagni, dei laboratori.
Siamo un po' increduli di poterne calcare finalmente il suolo, dopo averla molto attesa e desiderata, quando già iniziavano a circolare voci allarmanti sulla sua inagibilità e su presunte infiltrazioni di acqua in palestra. La quale mi appare invece come uno spazio ampio e bello, come mai ne ho visti in una scuola. Una palestra vera, con gli spalti su di un lato, le ampie vetrate che la illuminano, il linoleum pulito e compatto. C'è anche un auditorium, che mostro soddisfatto ai miei alunni, costruito a mo' di emiciclo spezzato su di un lato. Li faccio sedere e chiedo se si trovano comodi, quelli alti rispondono di no, per tutti gli altri sembra di sì. L'alzata fra un gradino e l'altro è insufficiente, e chi ha gambe lunghe non sa dove infilarle, come nel caso del mio collega di Educazione Fisica, che sfiora i due metri, e che già di quest'arena mi aveva detto peste e corna, elencandomene le lacune: l'assenza di ventilazione, l'insufficienza dei posti a sedere, la minuscola dimensione del palco, l'acustica difettosa, con i suoni che sembrano liquefarsi a mezz'aria. Non a caso i ragazzi lo chiamano "Er Denuncia", perché ha sempre da contestare e minacciare esposti ai Carabinieri, forse perché nell'Arma c'è già stato, prima di scegliere la scuola, e di pentirsene. Tanto, mi giustifico, ci saranno i microfoni ad aiutarci quando dovremo utilizzarlo. Uno mi chiede, irriverente: "A professo', ma a che serve?". Mi prendo qualche secondo per rispondere: per conferenze, dibattiti, assemblee. E a lui, inappagato, resta in bocca uno di quei sorrisetti ironici di cui i giovanissimi sono maestri, quando tacitamente commentano le contraddizioni fra i nostri buoni propositi e i risultati cui giungiamo. Candidamente disfattisti, ci impongono di smantellare ogni sussiego. In effetti il nostro "inauditorium", come forse è giusto ribattezzarlo, è solo un buon proposito.
Tornati in aula, cerco di captare dagli sguardi le loro reazioni. Ma i ragazzi sono addestrati a non aspettarsi molto dalla cosa pubblica e non protestano, il disincanto precede e vanifica la delusione. Solo uno esterna il suo scontento, non per le lacune di progettazione che qui e là anche gli spiriti meno critici individuano. "Cos'è allora che non va?", chiedo ad Andrea, che solitamente è un ragazzo taciturno, barricato nella difesa a oltranza della sua introversia. Ma che stavolta diventa loquace: "Era mejio 'a vecchia scola".
La vecchia scuola. In via della Pesca, di fronte al mare. Un edificio di suore adattato in qualche modo. L'aula di Andrea dava sul cortile, buia e d'inverno gelida. Gli scuri delle finestre non si tenevano e il vento spesso li faceva sbattere contro i vetri. C'era perfino una rientranza fra le due pareti laterali dietro la quale i ragazzi si nascondevano. L'ambiente era piccolo e insufficiente a contenerli tutti, al punto da costringerli a stare ammassati, l'uno stretto all'altro. Per uscire, dall'ultima fila, bisognava saltare sul banco di mezzo, scavalcarlo o direttamente salirci sopra.
"Come fai a dire che era meglio?".
"Almeno tra un'ora e 'n'altra potevamo uscì fori a fumasse 'na sigaretta su 'a panchina".
Altro che denuncia dell'imperfezione del nuovo. Al contrario: ciò che il mio alunno rimpiange è l'imperfezione del vecchio, la prossimità con l'esterno, la sua salvifica precarietà, in cui i doveri e i ruoli apparivano meno oppressivi. La scuola era meno scuola e le maglie del suo controllo più larghe. Più facile, quindi, sfuggire. Ho capito allora, pensando al nostro nuovo edificio, quale sarà la funzione della sua solo in apparenza insensata natura labirintica: prima o poi i ragazzi, col tempo, impareranno a perdervisi.
luigalel@tin.it

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