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Unità: Una sciocchezza contrapporre i dialetti all’italiano

Intervista a Alberto Asor Rosa

14/08/2009
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l'Unità

Sono una ricchezza ma diventano folklore
senza la cornice della lingua nazionale
Negarlo rappresenta ignoranza crassa

NATALIA LOMBARDO
Quello che vorrebbe la Lega è un regresso a un passato che, però, in Italia non è mai esistito». Alberto Asor Rosa, professore emerito di Letteratura italiana a «La Sapienza» di Roma, critico e scrittore, sempre attivo nel dibattito della sinistra, ascrive la provocazione leghista sotto la voce: «Ignoranza crassa».
Ha visto? La Padania è uscita in dialetto veneto-veneziano. Che ne pensa?
«A Roma per decenni è uscito un foglio locale, il “Rugantino”, in dialetto romanesco. A quest’altezza della storia sono fatti folklorici».
Il Vernacoliere però ha una grande tradizione dialettale e satirica.
«Il livornese del Vernacoliere è una lingua molto ricca e complessa, soprattutto autentica, a differenza di questi esperimenti lombardo-veneti che non stanno in piedi».
E che usano linguaggio molto semplificato. È un impoverimento culturale?
«I dialetti in Italia hanno avuto un peso e una rilevanza letteraria che non ha eguali in tutta l’Europa, nel teatro, nella poesia lirica, sono nomi notissimi. Queste opere si sono sempre integrate nel contesto culturale italiano, non hanno mai avuto una funzione antagonistica. Alessandro Manzoni, che ha teorizzato la “risciacquatura” della propria prosa in Arno per renderla uniforme e comprensibile a tutti gli italiani, in casa parlava in dialetto, ed era amicissimo di Carlo Porta, il più famoso poeta dialettale lombardo».
Il dialetto quindi non è mai stato usato in contrapposizione all’italiano?
«Era la ricca dialettica di un paese non unito, che si esprimeva tranquillamente a questi due diversi livelli, senza mai contrapporli. Ma senza la cornice della lingua nazionale il dialetto diventa un fatto folclorico, da osteria, da barzelletta paesana».
Ovvi problemi di comprensione isolerebbero le stesse popolazioni?
«Non è un avanzamento, è un regresso. Lo è rispetto alla più autentica tradizione italiana, che ha avuto la ricchezza di più lingue letterarie che spesso hanno attinto alle fonti del dialetto. Tutto ciò è avvenuto in un quadro che si sostiene reciprocamente in tutte le sue parti. Pensare invece che il solo parlare in dialetto costituisca un fatto identitario in Italia è un fenomeno di crassa ignoranza, di volgare abbrutimento».
In un momento in cui l’italiano si sta contaminando con parole straniere, voler recuperare le identità locali così è una forma di chiusura?
«È un ritorno ad un passato che in realtà non è mai esistito. Non è mai accaduto che il dialetto non fosse accompagnato dall’uso della lingua letteraria. In tutto il paese non esiste un’isola linguistica in cui si sia proclamata l’autosufficienza rispetto alla lingua italiana nazionale, che per molti secoli non è stata una lingua politico istituzionale, ma letteraria. È un tema a cui ho dedicato molte pagine nell’ultima “Storia”: non c’era l’unità politica, ma c’era l’unità linguistico-letteraria nazionale. E per fortuna, altrimenti i lombardi sarebbero ancora sudditi dell’impero austroungarico, i veneti pure... Insomma, è una stupidaggine di portata colossale».
Dalla Lega è una provocazione politica, ma sul piano culturale può essere pericoloso?
«Ma non credo che ora a Treviso si mettano a chiacchierare in trevigiano, o a Bari in barese...».
Molti parlano in dialetto.
«Sì, ma il passaggio decisivo tra la comunicazione familiare e locale e la comunicazione universale si verifica solo se esiste l’italiano, altrimenti i trevigiani potrebbero essere respinti al rango delle popolazioni dell’Alto Volta. La Lega non si rende conto che i nigeriani che vengono in Italia imparano l’italiano, certo non il dialetto, per diventare cittadini europei. Questi invece suggerirebbero di fare il percorso diverso, così tra trent’anni potrebbero esserci quattro o cinque milioni di cittadini stranieri che parlano l’italiano, e altrettanti di italiani che parlano in dialetto. È assurdo».
I figli di immigrati imparano l’italiano a scuola, se così non fosse potrebbe esserci integrazione?
«C’è una letteratura crescente di immigrati di varia origine, albanesi, magrebini o slavi: scrivono tutti in italiano. La Lega invece vorrebbe che i trevigiani scrivessero in trevigiano? Tra l’altro con la molteplicità del mondo dialettale italiano, a Treviso si parla una lingua diversa che a Vicenza, e qui si parla una lingua diversa che a Padova. Allora, in quale di queste lingue scriverebbero la Padania? In un dialetto caricatura».
Come cambia l’italiano contaminato da altre culture?
«Se persone nate ed educate altrove, in altre situazioni, ritengono più utile esprimersi in una lingua diversa da quella loro originaria, be’, è un tipico fenomeno di integrazione e arricchimento. Per la nostra lingua e le nostre sensibilità nazionali, vuol dire che, in un certo senso, non siamo morti».
La Lega preme anche sulla tv pubblica, un altro terreno rischioso?
«Certo, l’unificazione linguistica in Italia l’ha fatta la televisione, più che la scuola. E la Lega vorrebbe spingerla indietro. Cosa fanno? una tv per ogni regione? Non basterebbe, solo in Toscana dovrebbe esserci un giornale in senese, uno in fiorentino, uno in pistoiese, e altrettante televisioni. Cascano le braccia».


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