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Unità-Una nuova Maastricht per la ricerca di base

Una nuova Maastricht per la ricerca di base Il Manifesto degli scienziati europei presentato a Napoli: i Paesi Ue devono garantire autonomia e una quota fissa del Pil Pietro Greco Un...

11/04/2005
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l'Unità

Una nuova Maastricht per la ricerca di base

Il Manifesto degli scienziati europei presentato a Napoli: i Paesi Ue devono garantire autonomia e una quota fissa del Pil

Pietro Greco

Una frazione del Prodotto interno lordo (PIL) destinata da ciascuno dei 25 stati membri dell'Unione Europea alla ricerca fondamentale. Un pacchetto di regole che garantisca l'autonomia della ricerca scientifica e la preservi dalle indebite ingerenze della politica e di altri "poteri forti".
Sono queste le due richieste contenute nel "Manifesto degli scienziati europei" presentato sabato scorso alla Città della Scienza di Bagnoli (Napoli) da Carlo Bernardini, fisico dell'università La Sapienza di Roma, Vittorio Silvestrini, presidente della Fondazione Idis, Guido Trombetti, rettore dell'università Federico II di Napoli, in nome e per conto dei 569 uomini di scienza di 20 diversi paesi che lo hanno sottoscritto, alla presenza e con l'autorevole avallo di due premi Nobel, l'italiana Rita Levi Montalcini e l'inglese Antony J. Leggett, per promuovere "una nuova alleanza in Europa tra scienza e società".
Si tratta di due richieste piuttosto semplici, che possono - che devono - caratterizzare quello spazio comune della ricerca che è una delle condizioni della effettiva costruzione, culturale e politica, dell'Unione Europea.
C'è, infatti, nel mondo e anche in Europa la tendenza a guardare alla scienza con uno sguardo sempre più utilitaristico. E a finanziare quella ricerca che promette risultati immediati da immettere sul mercato. Mentre cresce la disattenzione (e diminuiscono i fondi) per quella ricerca che, invece, cerca di rispondere a domande più fondamentali.
Un atteggiamento pericoloso. Per due motivi. In primo luogo perché, appunto, tende a riconoscere solo i beni che hanno un valore di mercato e a dimenticare i beni che hanno un valore culturale in sé. E poi perché, alla lunga, rinsecchisce la stessa possibilità di fare ricerca applicata innovativa. Per entrare nella "società della conoscenza" occorre, infatti, un giusto equilibrio tra scienza fondamentale (o curiosity driven, come si dice adesso), scienza applicata e sviluppo tecnologico.
Per questo il "Manifesto degli scienziati europei" chiede che tra i vari parametri che definiscono la partecipazione degli stati membri all'Unione Europea vi sia anche il parametro della ricerca fondamentale: una quota minima di investimenti rispetto al PIL sotto la quale non si può scendere. Questo nuovo parametro comunitario, importante forse quanto quelli di Maastricht, garantirebbe alla comunità scientifica europea risorse stabili e la libererebbe dalle forti oscillazioni causate dagli umori politici dei singoli stati.
L'altra richiesta avanzata dai 340 italiani, 114 spagnoli, 72 tedeschi, 12 inglesi e svariati altri scienziati di differenti paesi che hanno sottoscritto il manifesto, è che l'Europa definisca le regole di autogoverno degli organismi di ricerca comunitari e nazionali, che salvaguardi il bene forse più prezioso che ha - che deve avere - la comunità scientifica: l'autonomia. Un'autonomia che è minacciata da ingerenze improprie sia della politica (in Italia, per esempio, in maniera plateale dal governo Berlusconi), sia dell'economia, la quale, nel tentativo di conservare o di aumentare la competitività sui mercati globali, tende a indirizzare gli sforzi di ricerca, privati e pubblici, verso obiettivi immediati, per l'appunto, di mercato.
Gli scienziati che hanno firmato il manifesto non si limitano a chiedere qualcosa, sia pure di semplice e insieme indispensabile. Assumono anche degli impegni. Da una parte quello della trasparenza nella gestione dell'autogoverno. Dall'altra quello della diffusione delle conoscenze scientifiche, a ogni livello: dalla scuola e dall'università ai centri "laici" di divulgazione. Una diffusione che non ha solo valore culturale (e non sarebbe certo poco), ma anche politico. Perché essenziale per aumentare il tasso di democrazia in una società sempre più informata di scienza e di tecnologia.
Il "Manifesto" ha una valenza e un respiro continentale. E sarebbe riduttivo cercare di piegarle alle contingenze nazionali. Tuttavia è indubbio che la spinta a elaborarlo e a diffonderlo, quel manifesto, è stata sostenuta, anche, dalla vicenda italiana e dal fatto, in particolare, che il governo Berlusconi ha tagliato i fondi, minato l'autonomia della ricerca, cercato di impedire l'integrazione scientifica tra i paesi dell'Unione. Cosicché le due richieste avanzate sabato scorso a Napoli costituiscono un'ottima base per iniziare a riparare ai torti subiti dalla comunità scientifica italiana in questi ultimi quattro anni e su cui costruire la politica della ricerca del prossimo governo di centrosinistra.


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