Unità: Un welfare per gli studenti
Nando Dalla Chiesa
Un nuovo welfare studentesco. Fatto non solo di borse di studio e di posti letto. Che sono risorse preziose e fondamentali. Da incrementare, sia ben chiaro. Farà anzi piacere ai lettori sapere che è ormai al traguardo un bando per realizzare quasi diecimila posti letto in più per gli studenti universitari fuori sede, ossia un terzo in più di quelli esistenti in totale a tutt’oggi. Ma un moderno welfare deve andare al di là del tradizionale sistema assistenziale. Molto altro va fatto con coraggio per disegnare in nuovo modo il sistema dei diritti studenteschi. Più opportunità (pubbliche e private) per accedere, da differenti livelli, a un pieno diritto allo studio. Un investimento sulla sfera della socialità e sul valore della reciprocità, come nella campagna - patrocinata dal Ministero - «Prendi in casa uno studente», fondata su un patto intergenerazionale tra anziani e nuove generazioni e su cui stanno ormai lavorando diversi paesi. Una maggiore qualità dei servizi immateriali. Una migliore e più tempestiva informazione, anche da parte delle autorità governative. E molta più cittadinanza.
Esattamente queste sono le dimensioni e i caratteri che gli studiosi del welfare vanno tratteggiando per il nostro futuro. Una condizione più ricca di prospettive e di possibilità. Per potere scegliere di più ed essere protetti più efficacemente. Un welfare, come si dice, «a geometria variabile», in relazione alla varietà dei contesti, dei bisogni e delle domande sociali.
Lo Statuto dei diritti e dei doveri degli studenti universitari che è stato presentato ieri alla stampa alla presenza del ministro Mussi acquista dunque un ruolo centrale in questo disegno. Non solo perché, come lo stesso ministro ha ricordato, realizza ciò di cui si è favoleggiato per decenni, ossia una Carta in cui vengano ratificati i diritti di chi dentro l’università rappresenta tradizionalmente la parte debole. Ma anche perché esprime compiutamente proprio quell’idea di cittadinanza sulla quale occorre ripensare tutta la costruzione dello Stato sociale. Nato sulla spinta dell’ultimo Consiglio nazionale degli studenti universitari, e frutto di una rielaborazione di una loro proposta da parte del Ministero, lo Statuto apre dunque una fase nuova nella vita del nostro sistema universitario.
Un sistema che per una serie complessa di ragioni si è abituato a pensare, anche inconsciamente, che gli studenti siano un impaccio al libero svolgimento della propria attività di ricerca. Che ogni loro diritto corrisponda a una concessione sempre revocabile. Fino a far nascere in alcuni atenei autentiche zone franche nelle quali annega spesso la possibilità dello studente più fragile di portare a termine il suo sogno di successo universitario. D’altronde - lo avete notato? - l’acceso dibattito che ha agitato (e comprensibilmente) il mondo universitario in quest’ultimo anno politico ha sempre avuto come oggetto la condizione docente e la ricerca. Quasi mai la didattica e la condizione studentesca.
Con questo Statuto non sarà più così. Esso assume a stella polare l’articolo 34 della Costituzione che fissa i diritti dei bisognosi «capaci e meritevoli». E definisce significativamente l’università «una comunità umana e scientifica, di insegnamento e di ricerca». Esprime le principali tutele, stabilendo anche i doveri fondamentali degli studenti, ai quali, per esempio, chiede di fare «l’uso più responsabile» delle «pubbliche risorse messe loro a disposizione». Si snoda poi per la didattica e le prove d’esame, per le rappresentanze democratiche, per i doveri di contribuzione economica, affrontando anche i problemi dei tirocinanti, degli studenti lavoratori o a tempo parziale, e dei dottorandi di ricerca.
Cinquantotto articoli a comporre un testo che ora inizierà il suo viaggio pubblico. Un confronto con le realtà istituzionali, con le realtà studentesche, con la stampa e l’opinione pubblica qualificata. Per raccogliere spunti e suggerimenti e critiche dopo quelli già raccolti in una intensa fase di ascolto che ha consentito il formarsi di una prima visione d’insieme delle aspettative e delle sensibilità esistenti. E, insieme al viaggio, una sperimentazione già dal prossimo anno accademico nell’università di Modena-Reggio Emilia (annunciata positivamente ieri dal suo rettore) per verificarne sul campo la capacità di tenuta, i limiti e le potenzialità. Poi lo Statuto diventerà legge, lasciando alle università la possibilità di intervenire autonomamente su alcuni istituti (ad esempio il difensore civico). Ma diventando anche una cartina di tornasole della qualità di ciascun ateneo.
Già, perché proprio per evitare che in alcun luogo esso resti lettera morta, il rispetto dei diritti sanciti nella Carta sarà assunto dalla futura Agenzia per la Valutazione come parametro primario per misurare la qualità delle università, essendo quel rispetto condizione non sufficiente ma certo necessaria per garantire una buona didattica, o (per usare la formula dell’articolo 1) per far sì che l’università sia una buona «comunità umana e scientifica». Il nuovo welfare studentesco, fatto non solo di erogazioni di denaro, ma anche di qualità, di opportunità e di cittadinanza, sta appena incominciando. E, alla fine, potrebbe parlare un linguaggio riformatore più generale.
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