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Unità: Un vero e proprio percorso di guerra

non si può proprio sottovalutare l'importanza del tema affrontato dalla manifestazione di sabato 4 novembre a Roma, quello della precarietà

06/11/2006
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l'Unità

Bruno UgoliniChi cura da non breve tempo questa rubrica, non può proprio sottovalutare l'importanza del tema affrontato dalla manifestazione di sabato 4 novembre a Roma, quello della precarietà. Anche se quell'immenso corteo non ha saputo additare uno sbocco positivo, a portata di mano. Ha agitato obiettivi (abolizione subito della legge 30, della legge Bossi-Fini e della legge Moratti) che si sa benissimo che non saranno immediatamente attuati. Non è stato in tal modo stemperato un clima ambiguo in cui non si sa bene chi è l'avversario politico (il governo? la Confindustria?).

C'è un altro aspetto da tenere in conto. È vero che esistono, come ha scritto Luciano Gallino, due posizioni nel centro sinistra. Una che mira a misure per evitare che la flessibilità si trasformi in precarietà. Un'altra che sostiene che la flessibilità non è altro che l'anticamera della precarietà. Lo stesso studioso si pone però il problema di ridurre le distanze tra le due posizioni. Anche perchè, aggiungiamo noi, esistono problemi legati al rapporto tra nuove tecnologie e nuovi sistemi di produzione. Non solo: una discreta parte di giovani non sognano il posto fisso per tutta la vita, sono disposti anche a mutare esperienze lavorative, purché questo tragitto non diventi un calvario un «percorso di guerra», purché sia dotato di tutele e diritti oggi assenti.

Ed è proprio quest'ultimo («percorso di guerra») il termine usato da un partecipante alla mailing list del Nidil-Cgil (atipiciachi@mail.cgil.it). Enrico (così si firma) è uno che si dichiara ironicamente «precario fortunato» perchè nel 2006 ha guadagnato 9500 Euro lordi e, con altri lavoretti raggiungerà i 13.500 euro lordi. Cifre che fra tante lamentele sull'Irpef dovrebbero suscitare interesse. È da cinque anni che Enrico sta compiendo quello che appunto chiama un «percorso di guerra» di cui non vede ancora la fine. Così si considera un «dannato della terra senza futuro». Spiega come in alcuni casi debba persino nascondere la laurea perché tale esibizione di professionalità può infastidire. «Qui in Italia essere flessibile», racconta Enrico, «vuol dire essere disponibile a tutti gli sfruttamenti, a tutti i ricatti d'orario, vuol dire essere adattabile, essere utilizzato da operaio, da impiegato, da laureato». Le radici secondo lui (che raccoglie una vulgata ricorrente) stanno nelle misure inaugurate da Tiziano Treu (ma quelle avevano caratteristiche ben diverse da quelle attuali), accentuate dal governo di Berlusconi e incancrenitesi con le finanziarie berlusconiane e la legge 30.

Eppure Enrico non ha certo le stimmate del «fannullone». Nel 2001 si è laureato in Scienze Biologiche con 110 e lode, conosce francese e inglese, è esperto in informatica (Word, Excel, Access, Explorer, Front Page, Power Point, M.V.S.P, linguaggio HTML, sa realizzare siti web). Non ha aspettato, dopo la laurea, che il lavoro gli venisse incontro. «Non ho fatto il calciatore, né il muratore, né il portaborse». È stato impiegato Co.Co.Co. in un ente del parastato, poi autista-operaio, poi ha fatto il servizio civile in un comune e quindi per tre anni esatti, con contratto a tempo determinato, ha operato in un ente pubblico regionale (primo in graduatoria di un concorso pubblico). Nel suo «carniere» ci sono pubblicazioni scientifiche e numerose consulenze per il ministero dell'Ambiente, nonché per enti vari e lavori informatici. Adesso per lavorare all'interno di una pubblica amministrazione è stato obbligato ad aprire la partita Iva all'Agenzia delle entrate, optando per l'assistenza fiscale.

Questo il suo accidentato «percorso di guerra». Che conclude con un interrogativo: «Ma che cosa vuole da me questa Italia?». Lo stesso discorso vale per la sua ragazza, anche lei laureata.

E così Enrico se la prende con tutti, con i calciatori, con gli idraulici con i taxisti. Persino con gli extracomunitari colpevoli, secondo lui, d'essere richiesti da un mercato che invece rifiuta i laureati in biologia. E lancia un appello al governo perché dia un segnale di cambiamento «anche graduale». Noi crediamo che questo segnale, questo inizio ci sia stato, anche se i Cobas sabato scorso insistevano nell'attacco al ministro del Lavoro e al centrosinistra. Ma certo si deve fare molto di più. Altrimenti come scrive ancora Enrico «la protesta assumerà forme più incisive e, in caso di ricorso alle urne, il centrosinistra avrà un notevole assenteismo, non solo da parte dei giovani precari delusi ma anche dei loro genitori».

brunougolini@mclink.it


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