Unità: «Un successo storico per il sindacato confederale»
intervista a Guglielmo Epifani
di Rinaldo Gianola
Nel suo studio Guglielmo Epifani continua a leggere i dati aggiornati che gli arrivano sulla scrivania. «Bene, molto bene. Stiamo superando i cinque milioni di votanti, il sì arriva all’80%...» sospira soddisfatto, come se avesse scampato un tremendo pericolo. Il referendum sul protocollo welfare poteva davvero diventare una trappola per il sindacato, poteva minare la sua credibilità nei confronti di milioni di lavoratori, poteva intaccare la sua autonomia davanti alle indebite intromissioni di rissosi partiti e partitini. Ma adesso le urne sono chiuse ed Epifani commenta con l’Unità questa decisiva prova sindacale.
Epifani, che cosa dicono i numeri?
«I numeri dicono che il sindacato confederale esce più forte e unito dalla più vasta consultazione tra i lavoratori che sia mai stata realizzata nel dopoguerra. Questo referendum è un fatto storico per la grande partecipazione e, anche, per l’esito del voto. Vince il sindacato confederale, non massimalista, capace di dare risposte concrete e credibili ai bisogni della gente. I dati sono impressionanti: è stata una prova di democrazia, trasparente e corretta, in cui milioni di lavoratori e pensionati hanno espresso il loro voto su un accordo proposto dal sindacato».
E il risultato?
«Il sì ha vinto, con un percentuale altissima. Abbiamo vinto dappertutto, anche a Brescia e a Torino città industriali che per la particolare composizione del tessuto produttivo immaginavano di perdere. E invece abbiamo vinto anche in queste situazioni difficili. Ma il successo è vistoso in tutti i settori: commercio, servizi e distribuzione, edili, braccianti, in tutti i settori pubblici, trasporti, banche, e anche nei call center. I pensionati hanno approvato con il 90% dei consensi».
Però c’è il no forte dei metalmeccanici.
«Bisogna leggere attentamente i risultati e commentarli serenamente. Il dato che più mi ha colpito è la buona affermazione del sì tra i meccanici: il risultato è più favorevole questa volta rispetto al referendum di 12 anni fa, con la differenza però che allora la Fiom era a favore e questa volta, invece, è contro. Tra i metalmeccanici i sì vincono in Lombardia, in Veneto, in Liguria. Il no è concentrato nelle fabbriche Fiat, dove prevale con risultati schiaccianti. Altre grandi fabbriche hanno votato no, ma altre hanno detto sì come l’Ilva di Taranto, le Acciaierie di Terni, i Cantieri di Palermo, il Nuovo Pignone di Firenze, la St di Agrate, la Gd di Bologna».
Alla Fiat prendete fischi e gli operai votano no, esiste un caso Fiat per il sindacato?
«Certo, esiste. Non pesa solo il no della Fiom, c’è dell’altro: la condizione di vita degli operai, l’intensificazione del lavoro in fabbrica, i ritmi, lo sfruttamento, un sistema gerarchico di comando molto forte. E c’è anche un’idea di isolamento, di chi si sente senza speranza, che si autoalimenta tra i lavoratori di quelle fabbriche. In più mettiamoci la disillusione verso un governo di centrosinistra da cui ci si attendeva molto di più. Il sindacato deve riprendere l’iniziativa, dobbiamo far sentire la nostra vicinanza, di categoria e di confederazioni, a questi lavoratori che non possono essere soddisfatti della loro condizione».
Il no operaio, secondo alcuni, sarebbe espressione del diffuso disagio presente nelle fabbriche. È così?
«Non sono d’accordo. Il disagio è diffuso tra molti lavoratori, c’è anche tra chi ha votato sì. Può essere, ad esempio, che la lavoratrice di un’impresa di pulizia soffra un disagio più pesante di un metalmeccanico: per alcuni il malessere si è espresso con un no, altri hanno preferito esprimerlo dando fiducia al sindacato».
E i brogli?
«Ai brogli non ci crede nemmeno chi ha lanciato l’accusa. Ma chi ha parlato di brogli, cercando di infangare una grande prova di democrazia, se ne deve assumere la responsabilità. È stato un fatto grave, così come giudico grave il comportamento dei mezzi di comunicazione».
Si riferisce all’onorevole Rizzo a “Porta a Porta” e ai brogli artificiali di Santoro?
«Ci sono stati episodi intollerabili. E c’è stato un comportamento singolare di tv e grandi giornali. Prima hanno negato l’informazione sui contenuti dell’accordo, esaltando il malessere e anche il più piccolo dissenso, fino al punto che qualche giornalista mi chiedeva sorpreso alla fine di pacifiche assemblee perché non ero stato fischiato. Poi, giornali e tv hanno fatto la gara a sparare contro i sindacati, veicolando insostenibili accuse senza alcuna verifica, cercando di organizzare brogli per scandalizzare in tv, e dando spazio agli avvelenatori di acque che immaginavano una realtà inventata».
L’esito del referendum rafforza il governo?
«Il voto rafforza il sindacato che è stato premiato per la sua scelta di unità. In un paese lacerato dalla rissosità della politica, dalle derive istituzionali, dalle divisioni quotidiane, l’esito del referendum offre una speranza per il futuro e consegna al sindacato la richiesta di autonomia e di unità»
Ma il governo?
«Prodi è più forte se è in grado di governare bene e in maniera più solidale. Dipende dalla sua maggioranza. Il centrosinistra dimostri ora di saper governare. La forza del sì e l’unità del sindacato potrebbero diventare un problema per un governo debole, incapace di rispondere alle attese di milioni di lavoratori e pensionati. Il governo ha davanti due prove importanti: la trasformazione in legge del protocollo welfare, il percorso della Finanziaria. Il protocollo può essere corretto solo per dare più efficacia ai punti sottoscritti, ma le eventuali modifiche vanno concordate con Cgil, Cisl e Uil».
Draghi, Almunia, Confindustria hanno iniziato a sparare sulla Finanziaria.
«Stiamo meglio rispetto a due anni fa e non peggio, se lo devono ricordare tutti. Gli obiettivi di rientro del debito sono quelli concordati e sono stati rispettati. Per qualificare la spesa pubblica ci vuole tempo e una coerente azione di governo. Mi auguro che Prodi e la sua maggioranza possano fronteggiare le richieste che arrivano dal Paese».
Lei ha visto Montezemolo, c’è qualche segreto?
«Niente di strano. Era un incontro programmato da tempo. Abbiamo ragionato su come riprendere temi di interesse comune, a partire dai problemi fiscali e del lavoro dipendente, il Mezzogiorno, la Finanziaria».
Il referendum porterà qualche novità in casa Cgil?
«La prossima settimana faremo i direttivi unitari. Poi il 22 e il 23 ottobre la Cgil riunirà il comitato direttivo per fare una valutazione su tutto: il voto,la partecipazione, l’unità confederale. Penso che sarà un appuntamento importante e impegnativo per noi, per arrivare a un profondo chiarimento interno».
Il segretario della Fiom, Rinaldini, andrà alla manifestazione del 20 ottobre.
«Non è una novità. Tutti sono liberi. La mia opinione sulla manifestazione del 20 ottobre non cambia, continuo a non capirne il senso».
Domenica prossima c’è un’altra consultazione: le primarie del partito democratico. Che cosa si attende?
«Il referendum ha dimostrato che, in un paese che pur appare sfiduciato, ci sono energie forti capaci di mobilitarsi per un progetto alto, di partecipazione e di democrazia. Sono curioso di vedere la controprova il 14 ottobre».