Unità-Un'Altra Strada
Un'Altra Strada Luigi Berlinguer Consiglio vivamente la lettura dell'ultimo libro di Tullio De Mauro sulla scuola, specie ora che la scuola ricomincia, che vecchi e nuovi problemi si...
Un'Altra Strada
Luigi Berlinguer
Consiglio vivamente la lettura dell'ultimo libro di Tullio De Mauro sulla scuola, specie ora che la scuola ricomincia, che vecchi e nuovi problemi si riaffacciano. Come sempre, è un libro serio e scorrevole a un tempo. È bene leggere il libro più che le recensioni giornalistiche che mi pare ne abbiano evidenziato, un po' infedelmente, uno spirito polemico contro tutto e contro tutti, senza cogliere la vera sostanza del libro.
Certo, Tullio le critiche non le manda mai a dire; ma il libro è complessivamente costruttivo, anche laddove affronta l'insensibilità delle classi dirigenti italiane sui temi di scuola e cultura
E ne individua i nodi veri con proprietà e responsabilità. C'è molta storia recente, narrata con precisione, che fa giustizia di tanti luoghi comuni sui cambiamenti che anche lui ed io abbiamo introdotto nel nostro sistema educativo, sulla natura strategica ed ambiziosa del disegno riformatore e sui guasti successivi. Voglio essergli pubblicamente grato per ciò che ha scritto, per le sue valutazioni e per gli apprezzamenti sulla rilevanza dell'opera compiuta, per le sue critiche sincere.
Non è del passato, però, che si deve ora parlare. Ma del futuro, soprattutto perché sia restituito alla formazione ed alla ricerca il ruolo centrale che devono avere nelle società di oggi, che hanno avuto negli anni del centrosinistra e che hanno perso in questi ultimi tempi, scomparendo come priorità dall'agenda politica.
Ebbene il futuro si chiama Europa, si chiama Lisbona.
È stato quel Consiglio europeo del 2000, proprio a Lisbona, ad imprimere la svolta che ha accresciuto nell'Unione, a livello dei Capi di Stato e di Governo, la consapevolezza strategica sul ruolo dell'istruzione-formazione nella società della conoscenza. Da allora, è a questa Europa che dobbiamo l'indicazione di obiettivi comuni, ben oltre il provincialismo delle soluzioni autarchiche o nostalgiche che si continuano a praticare nei singoli stati. E gli obiettivi sono intanto tre: migliorare la qualità, agevolare l'accesso a tutti, aprirsi al mondo.
Oggi non ci si può permettere di intervenire in tema di istruzione restando nel chiuso del pettegolezzo nazionale: eppure troppo spesso questa è l'ottica che ci capita di seguire nell'ambito domestico. Non ho niente contro il continuo polemizzare, ma sento che ora è soprattutto tempo di contenuti. Misuriamoci anzitutto sui veri bisogni. Eccoli i contenuti: il Consiglio dei ministri europei dell'istruzione del 5 maggio 2003 ha fissato per tutti i paesi cinque livelli di riferimento per il 2010: ridurre l'abbandono scolastico precoce al 10%, aumentare i laureati in matematica, scienze e tecnologie del 15%, completare (fino all'85%) il ciclo secondario, elevare la "capacità di lettura dei quindicenni" del 20%, estendere gli interventi educativi almeno al 12,5% della popolazione adulta, nel corso di tutta la vita.
Cambia - come si vede - tutta l'ottica del discorso su formazione e ricerca qui in Italia. Credo che queste idee fossero già presenti nel nostro lavoro di riforma, in alcuni casi forse solo embrionalmente. Ma oggi esplodono una realtà dinamica ed un'urgenza nuova che ci aiutano ad uscire dalla diatriba, dalle vive sciocchezze su abrogare, ripristinare, innovare od altro nel passaggio da una maggioranza parlamentare all'altra. C'è già stato chi ha interpretato il proprio ruolo politico come pura damnatio memoriae, come cancellazione dell'odiato passato e dei suoi nomi! Sono le novità a costringerci a misurarci col futuro, col domani. Il libro di Tullio ancora una volta ci aiuta.
Il primo obiettivo che oggi (diversamente da ieri) sento attuale e maturo si può semplificare con uno slogan: education per tutti fino a 18 anni.
La società della conoscenza ha bisogno di questo. La sua economia, la competizione mondiale, gli enormi bisogni culturali ci obbligano a tanta più cultura diffusa. Sono i primi obiettivi di Lisbona: obiettivi ambiziosi ma giusti, non solo da declamare ma da costruire col massimo impegno. Con attenzione alla transizione, alle realtà più difficili, e ponendo grande cura nel biennio delle superiori, con massicci interventi per sostenere didatticamente i più deboli nella propria impresa formativa. L'impianto educativo deve essere articolato, con le più diverse opzioni, ma unitario. Questo è il vero bisogno e la vera tendenza della società. Ci facilita il compito e ci indica la strada un fatto clamoroso per l'Italia: conquista il diploma delle scuole secondarie il 75% dei giovani (della leva o d'età). Dopo la legge sull'obbligo scolastico del 1999, tanti ragazzini si sono iscritti alla scuola superiore e - quel che è bello - in tanti sono riusciti a continuare, mentre prima erano esclusi. Da allora le iscrizioni alla prima superiore sono aumentate del 5,43% e gli iscritti fino alla quinta del 6,05%! In altri paesi europei si arriva con la scolarizzazione fin quasi alle soglie del 90%. Paragonate questo dato con le banalità reazionarie di tanti ambienti - naturalmente - di destra, ma anche di tanti maitres à penser di sinistra e tirate le somme. Anche Tullio ci ricorda questo triste dato. Intanto gli illuminati del pensiero nostalgico nostrano di sinistra continuano ad esortare tanti giovani a "fare i falegnami, che la cultura non è per loro&".
La produttività delle nostre economie è affidata - certamente - a dosi massicce di scienza e tecnologia (e di risorse finanziarie) e ad un cospicuo numero di ricercatori da immettere nella società e nell'economia. Ma è anche affidata ad un costante elevamento della formazione complessiva per tutti fino a 18 anni ed al progressivo estendersi della formazione continua, per tutto l'arco della vita. E non solo per l'economia, ma per la stessa civiltà, per la natura dei rapporti umani, per una società più bella.
Il secondo obiettivo, mai disgiunto dal primo, è la qualità.
Anche questo viene dal "dopo Lisbona". Qualità più alta per tutti e qualità eccellente per i migliori. Entrambe.
C'è un rischio costante nell'allargamento a tutti dei benefici dell'istruzione ed è l'abbassamento della qualità e la mortificazione delle eccellenze. Ma non è un rischio ineluttabile. Guai a soggiacere e rassegnarsi di fronte all'apparentemente automatica antitesi qualità-equità o qualità-grandi numeri. Guai ad accettarla fatalisticamente perché l'antitesi si può spezzare.
Anche in Europa c'è chi ci sta provando (in questi giorni Treelle ci ha offerto un confronto con l'eccellente sistema della Finlandia). L'importante è porsi correttamente l'obiettivo di coniugare insieme qualità ed equità, e sconfiggere i lamenti nostalgici di tanti nostri maitres à penser.
Un terzo obiettivo è dato dalla necessità di motivare studenti e docenti. Offrendo ai primi innanzitutto un ampio spettro di tipologie educative, nei contenuti e nei metodi. Facendoli sentire a a casa, stimolandoli con il rigore e l'attrattività dell'esperienza di studio, dell'avventura intellettuale e professionale. Centralità dell'apprendimento e differenziazione fra istituti e, al loro interno, percorsi individualizzati per sollecitare attitudini e vocazioni, per gratificare i successi. Ieri abbiamo chiamato tutto questo con un vocabolo che non è piaciuto e che potremmo anche non riprendere. Ma, per intenderci, alludo all'autonomia, la più grande delle riforme fatte - anche se oggi un po' malconcia - che va difesa, sostenuta ed attuata soprattutto in sede curricolare, come Andrea Ranieri anche di recente ha ricordato su Italianieuropei.
Questa straordinaria innovazione va attuata, messa in pratica, dalle scuole e dai docenti, ma soprattutto incoraggiata e supportata dalla politica educativa complessiva. In fondo, l'autonomia riguarda anche i contenuti del curriculum, gli aspetti disciplinari, le nuove aperture, ma soprattutto la loro dimensione europea, la cittadinanza europea, la coscienza europea. Stiamo dando finora troppo poco peso a questo profilo, chiusi come siamo nelle nostre nicchie statali. L'Europa, invece, deve essere determinante anche nell'innovazione curriculare.
Un quarto obiettivo è quello istituzionale.
Anche qui ci sono novità, non tutte positive. Bisogna partire dall'esperienza e pensare al futuro. L'impianto educativo ha da essere europeo, e così anche la sua dimensione istituzionale.
Le competenze, pertanto, sono anzitutto comunitarie e statali-nazionali, certamente per quel che concerne i diritti, l'indirizzo culturale - contenutistico di fondo, lo stato giuridico essenziale docente e discente, la valenza dei titoli, la mobilità e così via. Ma la gestione deve essere coraggiosamente ed equilibratamente affidata alle Regioni (evitando i 20 ministeri) e - per la parte di competenza - alle scuole. Per sfuggire così alle sovrapposizioni istituzionali. Possono esserci complicazioni costituzionali, ma credo che con attenzione e buon senso si possa giungere in tal modo a superare le incoerenze nell'attribuzione di istruzione e formazione.
Un ultimo obiettivo: i docenti. Che però non è l'ultimo, anzi, è il primo. Sono giunto troppo in fondo per parlarne adeguatamente e spero che ci si possa ritornare& Sono convinto, comunque, anche per esperienza, che questo è il primo problema, se non si affronta il quale ogni disegno perisce. E non si può risolverlo autarchicamente solo per l'Italia: esso è simile in tutta l'Europa, e va affrontato insieme. Occorre un patto vero e proprio fra governi ed operatori educativi, che condizionino il successo delle innovazioni e delle strategie formative da cui dipende il successo della società della conoscenza. Si deve cominciare trovando le risorse, perché senza euro (e tanti) non si fanno più riforme educative. Sarà bene, tuttavia, riprendere il discorso, magari sollecitando gli stessi docenti a parlarne.
Mi scuserà Tullio se ho parlato poco del suo libro, che invece richiedeva di più. Spero comunque di aver incoraggiato i lettori ad acquistarlo, e sarà già un risultato, perché il libro merita davvero.
Il volume di Tullio De Mauro
"La cultura degli italiani" a cura di Francesco Erbani è edito da Laterza