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Unità: Ultime notizie

La notizia di oggi è che Romano Prodi sarà il nuovo presidente del Consiglio perché l’Unione ha ottenuto la maggioranza dei seggi sia al Senato che alla Camera. La notizia di ieri è che Silvio Berlusconi ha perso il governo, e con tutta la destra si deve accomodare all’opposizione

12/04/2006
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l'Unità

Antonio Padellaro

La notizia di oggi è che Romano Prodi sarà il nuovo presidente del Consiglio perché l’Unione ha ottenuto la maggioranza dei seggi sia al Senato che alla Camera. La notizia di ieri è che Silvio Berlusconi ha perso il governo, e con tutta la destra si deve accomodare all’opposizione. Non è una notizia che l’ex premier ci sia rimasto male e metta in dubbio il responso elettorale. È una notizia che abbia detto di voler dialogare con i vincitori per governare tutti insieme in una grande coalizione all’italiana (e mentre lo diceva era guardato a vista da Fini, Cesa e Maroni che avevano l’aria di avergli dato una bella calmata). Non è una notizia che Prodi abbia risposto che lui una coalizione ce l’ha già. È una notizia bizzarra che l’ex premier evochi il sospetto di brogli smentendo il suo stesso ministro Pisanu che ha messo il timbro sui risultati; e con scarso rispetto verso il presidente della Repubblica che ha espresso al responsabile del Viminale il suo compiacimento per lo svolgimento «ordinato e regolare» delle elezioni.
una notizia divertente, infine, che il cavaliere venga sfrattato da palazzo Chigi a causa di un meccanismo elettorale boomerang escogitato dall’alleato Udc; e in conseguenza di quel voto degli italiani all’estero fortemente voluto dall’alleato An e da Mirko Tremaglia all’uopo nominato ministro.
Se si guarda al domani ha certamente ragione Berlusconi quando afferma che il Paese è politicamente spaccato in due e che metà degli italiani hanno scelto ancora e sempre la Cdl. O quando osserva che la destra riconquista Piemonte e Friuli e consolida Lombardia e Veneto; e che le regioni a più alto pil sono con lui. O quando calcola in circa 400mila voti il suo vantaggio al Senato e in soli 25mila voti il suo distacco alla Camera. Sbaglia, invece, quando esalta il successo di Forza Italia dimenticando che in cinque anni il suo partito ha perso 6 punti in percentuale, 41 deputati, 54 senatori e circa due milioni e mezzo di consensi. Ma non ha torto Fini quando tirando le somme sfida Prodi e l’Unione a governare il Paese avendo contro mezzo Paese e la sua parte più produttiva e con soltanto due o tre voti di maggioranza al Senato.
Il piano della nuova opposizione è chiaro: presidiare palazzo Madama, assediare la nuova maggioranza pronti a impallinarla alla prima distrazione. Con la speranza di logorare rapidamente il centrosinistra, costringerlo alla resa e andare così a nuove elezioni con la speranza concreta di una rivincita. E allora le domande sono tante. In queste condizioni, riusciranno Prodi, e tutta l’Unione a rispettare il punto fondamentale del programma del Professore: «portare avanti l’Italia anche con coloro che non hanno votato per noi»? Sapranno riconquistare il prestigio internazionale dilapidato dal governo uscente, la fiducia dei mercati, il ruolo di grande nazione che ci compete? E infine, sapranno resistere, come promesso per tutti e cinque gli anni della legislatura?
Traguardi impegnativi ma le condizioni per trasformare un governo difficile in un governo stabile esistono.
L’unità dell’Unione, prima di tutto. Si è molto discusso sulla capacità di tenuta di una coalizione che avrà sette-otto gruppi parlamentari e un numero di partiti superiore a dieci. Forse a farli convivere senza troppi strattoni sarà proprio l’istinto di conservazione: la certezza, cioè, che se l’alleanza dovesse frantumarsi nei litigi per molti di loro non ci sarà più una seconda occasione. E forse neanche per l’Unione.
Il rispetto del programma. Si è fatta molta ironia sul voluminoso testo che raccoglie le intese sull’attività di governo sottoscritto dai partiti. Ma quelle 280 pagine rappresentano, nella loro prolissa accuratezza, la Bibbia di Prodi, indispensabile di fronte a richieste, pretese e contestazioni varie. E chi non rispetta le regole dovrà renderne conto agli elettori.
Il dialogo istituzionale. Nessun inciucio o cedimenti o spartizioni con la destra. Le due Italie che si contrappongono non sono affatto «nemiche» come ha titolato il Corriere della sera ma rappresentano società, culture e interessi diversi e divergenti. Hanno votato per Prodi o per Berlusconi per portarli alla vittoria e non perché si mettessero d’accordo alle loro spalle. Certe divisioni poi sono insanabili. A cominciare dal referendum sullo stravolgimento costituzionale imposto dalla Lega. Si vota a giugno e il no dell’Unione è senza condizioni. Adesso le priorità sono quelle economiche, dall’abbattimento del cuneo fiscale alla Finanziaria. Ci sarà tempo per rimediare alle tante leggi sbagliate, leggi finte e leggi vergogna che ci lasciano in eredità: conflitto di interessi, Gasparri, ex Cirielli. Temi sui quali ogni compromesso con l’opposizione rischierebbe di apparire un cedimento. Altro discorso riguarda le grandi intese istituzionali. La nomina ai vertici delle due Camere, per esempio. Prodi fa bene a escludere spartizioni di presidenze ma un’intesa bipartisan sui nomi scelti dall’Unione è auspicabile. Non si tratta di recuperare qualche voltagabbana ma semmai di confrontarsi con la parte più ragionevole del fronte avverso, a cominciare dall’Udc se sarà disponibile.
Alla fine di maggio, poi, si dovrà eleggere (o riconfermare) il nuovo capo dello Stato, si spera con la più ampia intesa possibile. I leader dell’Unione conoscono la dialettica parlamentare e sapranno parlare agli avversari con la duttilità che serve. Prima però altri sono i dialoghi da riannodare. Quello della concertazione tra sindacato e imprese. Quello con l’umanità smarrita dei giovani senza lavoro o del precariato permanente. Quello con le famiglie impoverite e prese in giro dagli spot di palazzo Chigi. Quello con gli italiani, spaccati da chi aveva interesse a caricarli di rabbia e di risentimento


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