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Unità: Sulla ricerca largo ai giovani

Un passo avanti concreto, che va nella giusta direzione. Quella di favorire le giovani intelligenze, frenare l’esodo dei nostri cervelli migliori verso l’estero, puntare sul merito e, una volta tanto, non solo sulle amicizie.

29/07/2007
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l'Unità

Un passo avanti concreto, che va nella giusta direzione. Quella di favorire le giovani intelligenze, frenare l’esodo dei nostri cervelli migliori verso l’estero, puntare sul merito e, una volta tanto, non solo sulle amicizie.
Con questo spirito nella scorsa finanziaria sono riuscito ad introdurre un emendamento che destinava il 5% dei fondi pubblici per la ricerca biomedica, ai progetti presentati da giovani scienziati al di sotto dei quarant’anni. Ma la novità più importante è quella che prevede un sistema di valutazione dei progetti e di assegnazione dei fondi davvero trasparente, messo nelle mani di una commissione costituita da dieci membri, anch’essi tutti al di sotto dei quarant’anni, per la metà appartenenti a centri di ricerca stranieriL’obiettivo è evidente, ed è quello di spezzare il circolo vizioso che assicura il controllo dei fondi ai baroni universitari che spesso hanno la cattiva abitudine di distribuirli non pensando al merito o cercando di promuovere le idee migliori ma sulla base di cordate, di favori trasversali, di nepotismo, insomma nel solito modo.
Proviamo ad immaginare un ragazzo di trent’anni senza un posto di lavoro stabile, uno dei tre milioni di giovani precari italiani, che abbia un’idea brillante per sperimentare un nuovo metodo per la cura del diabete. Per sviluppare la usa intuizione avrà bisogno di un laboratorio, di attrezzature per studiare le cellule e di due tecnici che lo aiutino nei suoi esprimenti di biologia molecolare. Complessivamente gli serviranno all’incirca cinquecentomila euro per due anni. Se quel giovane motivato ed appassionato alle sue ricerche si presentasse oggi in una facoltà di biologia o medicina per illustrare il suo piano di lavoro ben congegnato che cosa accadrebbe? Probabilmente non riuscirebbe nemmeno ad avere l’appuntamento con il preside o con il professore della materia. A meno che non sia un amico di famiglia, un vicino di ombrellone, o non abbia un cognome noto all’interno dell’ateneo.
E allora che potrà fare? Se sarà veramente motivato cercherà di proporre il suo studio a un’università straniera e, se il progetto è effettivamente valido, con ogni probabilità sarà contattato via e-mail per un colloquio e in poco tempo potrà fare le valigie portando con se, a Parigi, a Cambridge o a Philadelphia, il suo bagaglio di conoscenze acquisito in vent’anni di formazione scolastica a spese dello stato italiano.
È l’assurda normalità del nostro mondo della ricerca. Ma non è una realtà ineluttabile, l’inversione di tendenza è obbligatoria e può iniziare oggi.
Venerdì scorso il consiglio dei ministri ha firmato il decreto che rende esecutivo il mio emendamento sulla ricerca e tra poco sarà pubblicato il bando di concorso per l’assegnazione dei finanziamenti. Con questa norma, quel ragazzo potrà presentare il suo progetto: se sarà selezionato avrà la certezza di poterlo condurre a termine e il successo o l’insuccesso dipenderà solo da lui, dal suo impegno, dalla sua capacità di trasformare un’idea in una realtà innovativa, e magari anche in un brevetto economicamente produttivo. E inoltre sarà lui stesso a decidere dove svolgere le sue indagini, in una università come in una azienda privata, perché il finanziamento è assegnato al ricercatore e non all’ente di ricerca. Sarà così nell’interesse dell’università o dell’istituto scientifico accogliere i cervelli che, in questo caso, sono anche portatori di fondi.
Ma soprattutto quel ragazzo potrà cominciare a credere in un sistema che premia i migliori e non solo i più appoggiati.
Va da sé che, escludendo da tutto questo processo le persone che hanno superato i quarant’anni, verrà meno l’influenza della componente più conservatrice della nostra università, basti pensare che negli atenei italiani, su 18.651 docenti di ruolo, solo lo 0,05% ha meno di trentacinque anni, vale a dire nove persone in tutto. Un numero esiguo se paragonato con quello di un paese come l’Inghilterra dove i professori al di sotto dei 35 anni sono il 16%.
I risultati di questo nuovo metodo di attribuzione dei fondi per la ricerca saranno facilmente verificabili e, se positivi, diventerà più semplice introdurre le stesse regole per una percentuale più ampia delle risorse. Si potrebbe immaginare anche di estendere questo metodo al di là del settore della bio-medicina a tutti gli ambiti della ricerca, scientifica e non.
Sono convinto che sia questa la strada da percorrere e che l’inversione di tendenza possa avvenire solo cambiando radicalmente il paradigma: dal barone che sceglie il proprio famulo sulla base della fedeltà o della convenienza, al giovane capace che si procura e si assicura i fondi in maniera indipendente, potendo scegliere in piena libertà il centro di ricerca dove utilizzarli. Ciò che verrà giudicato saranno solo la sua intelligenza ed i suoi risultati.
* Professore di chirurgia
“Jefferson Medical College”
Presidente della commissione Sanità del Senato


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