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Unità-speciale: E per la ricerca scientifica? Furori anti Darwin e premi ai politicamente fedeli

di Pietro Greco

06/04/2008
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l'Unità

Se la destra dovesse tornare al governo, cosa succederà alla ricerca scientifica italiana? E, di conseguenza, cosa succederà all’Italia?
Prevedere il futuro non è semplice. La risposta dipende da molti fattori, alcuni dei quali ignoti. Tuttavia è possibile considerare i rischi che la ricerca scientifica italiana e il Paese intero corrono se Berlusconi torna al governo. Il primo e il più immediato è quello di un rinnovato attacco all’autonomia della scienza. In primo luogo ai contenuti culturali della ricerca: dovremo attenderci, per esempio, rinnovati furori antidarwiniani e forti limitazioni alla ricerca sulla biologia umana. Ma dovremo attenderci, anche, che venga ripreso il «programma Moratti», di «aziendalizzazione della ricerca»: una trama piuttosto complessa fondata sia sull’idea che la ricerca di base è un lusso per il paese, sia sulla prassi della burocratizzazione autoritaria degli Enti scientifici nel tentativo (disastroso) di ricostruire il sistema ricerca sul modello dell’impresa (o meglio, dell’impresa familistica italiana), con la sua rigida gerarchia piramidale e con i suoi valori piuttosto ristretti.
La destra cercherà, dunque, di mettere di nuovo le «mani sulla ricerca», ripristinando i meccanismi del passato governo Berlusconi e scegliendo i gruppi dirigenti non sulla base della competenza scientifica, ma della fedeltà politica. Il rischio che l’eccellenza scientifica italiana subisca danni irreparabili è altissimo, se dobbiamo dare un qualche credito ad alcuni segnali: come i furori con cui un ex ministro del governo Berlusconi, Maurizio Gasparri, ha chiesto (con una prassi in voga solo ai tempi del fascismo) il licenziamento in tronco dei professori della Sapienza di Roma che si erano opposti all’inaugurazione dell’anno accademico da parte del Papa; o come i furori con cui l’onorevole Gabriella Carlucci, membro della competente commissione della Camera, sta attaccando non solo la capacità dirigente, ma la stessa qualità scientifica del professor Luciano Maiani, appena nominato presidente del Cnr. Gli argomenti dell’onorevole Carlucci hanno suscitato molte perplessità e autorevoli reazioni all’estero: dove Maiani è noto sia come fisico teorico di grande classe sia per aver diretto il Cern, il più grande laboratorio di fisica delle alte energie al mondo.
Ecco, un altro grave rischio riguarda proprio «l’Italia fuori dall’Italia». La cultura prevalente della destra italiana - un misto di autoritarismo bigotto e di provincialismo - è divergente rispetto al modo di pensare e di operare negli ambienti scientifici di tutto il mondo. Dovremo quindi attenderci una rinnovata e forte tensione con quegli organismi internazionali - come è successo in passato con il Consiglio europeo delle ricerche (Erc) - dove il merito scientifico e l’autonomia della ricerca sono valori fondamentali.
Ma veniamo al nodo dei nodi: lo sviluppo (sostenibile) del Paese. La ricerca scientifica ha una funzione fondamentale se vogliamo invertire il percorso ormai quasi ventennale di relativo declino economico del paese. Ciò significa da un lato irrobustire il sistema pubblico dell’alta formazione e della ricerca, con: più fondi; più considerazione del merito; più autonomia. E dall’altro favorire la rapida trasformazione della specializzazione produttiva del sistema delle imprese, verso beni e servizi ad alto tasso di conoscenza aggiunto, attraverso la creazione di una «nuova imprenditorialità» che faccia proprio un modello di sviluppo (sostenibile) fondato sulla ricerca. Di questo «progetto Paese» nel programma e nella cultura della destra non c’è traccia. Ma l’Italia non può stare altri cinque anni senza avviare questo titanico progetto di cambiamento del sistema Paese. Con un nuovo governo Berlusconi il declino economico, sociale e ambientale rischia davvero di diventare irreversibile.


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