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Unità: «Soldi e libertà, così avremo Nobel made in Italy»

IGNAZIO MARINO Dopo il riconoscimento all’«emigrato» Capecchi, il senatore e chirurgo chiede un cambio di passo

10/10/2007
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l'Unità

di Maristella Iervasi / Roma

Il premio Nobel per la medicina Mario Capecchi accusa: «In Italia è difficile fare ricerca». È proprio così? E a quando un Nobel tutto italiano ad uno scienziato di casa nostra magari sulle staminali? Ne abbiamo parlato con il professor Ignazio Marino, il chirurgo-senatore presidente Ulivo della commissione sanità di Palazzo Madama. «Per mettere i nostri cervelli nelle condizioni di sviluppare le idee nel nostro paese - spiega - occorrono più investimenti e un nuovo metodo di assegnazione delle risorse». Vale a dire: stop alle «scelte» dei baroni sui fondi, più meritocrazia e trasparenza. «Non mi stancherò mai di ripetere - sottolinea Marino - che finchè nel nostro paese non si riuscirà a far prevalere la logica del merito su quelle delle raccomandazioni e degli imbrogli, non servirà a nulla investire energie e risorse». E rilancia: «Scienziati selezionati per il valore che hanno, come avviene con i piloti di Formula Uno».
Tutti i nostri premi Nobel dalla medicina alla fisica sono cervelli con il cognome italiano ma in fuga all’estero. Quand’è che l’Italia potrà avere un Nobel tutto italiano magari sulle staminali?
«Abbiamo avuto 6 Nobel per la medicina negli ultimi 100 anni (Capecchi incluso). Non siamo in posizione cattiva, stessa situazione in Fisica. Montalcini, Dulbecco, Luria, Bovet, Golgi e ancora Giaccone, Rubia, Segrè, Fermi, sono tutte personalità straordinarie ma che hanno svolto le loro ricerche all’estero e non in Italia. Una preoccupazione che dobbiamo sollevare».
E dunque?
«Tutti ritengono che bisogna investire in ricerca, sviluppo e innovazione ma poi quando si arriva al dunque questo non accade. Nella scorsa Finanziara, però, un segnale è stato dato: una piccola parte dei fondi destinati alla ricerca in campo biomedico, il 5%, è stata vincolata a giovani scienziati con meno di 40 anni».
Un suo emendamento che è diventato atto di governo?
«Sì, ha già avuto la firma dei ministri Livia Turco (salute) e Fabio Mussi (Università) e tra pochissime settimane uscirà il bando».
E quali cambiamenti porterà?
«Scienziati giovani valutati da giovani e per metà da una platea straniera. Ribaltiamo la situazione vigente per cui è il barone che indica un finanziamento per la ricerca. Lo scienziato verrà giudicato sopra le parti».
Tutto qui?
«No. Chi si presenterà con un’idea brillante potrà anche scegliere in quale istituto italiano andare a svolgere queste ricerche. Equità e criterio di merito e straordinaria libertà e flessibilità al ricercatore. Una situazione mai vista prima in Italia. Questo meccanismo di meritocrazia potrebbe essere allargato in questa Finanziaria: non più il 5% solo per la ricerca biomedica ma a tutte, portando il vincolo al 10%».
Sì, ma un Nobel tutto italiano per le staminali - la cui ricerca è frenata dalla legge 40 - a quando?
«Ilaria Falciatori ha firmato un articolo sulla rivista Nature a fine settembre. È una ragazza sotto i 40 anni che ha scoperto, insieme a Pandolfi, che dalle cellule di un testicolo si possono estrarre cellule che possono differenziarsi come le staminali embrionali su ogni tipo: muscolare o di tessuto. Una scoperta straordinaria: prendo cellule dal mio stesso organismo senza passare da clonazione. Caratteristiche genetiche mie che possono essere trapiantate e non verranno rigettate. Ebbene, se questa ricerca arrivasse in porto e si potessero curare malattie inguaribili, sarebbe una ricerca da Nobel».
Ma la Falciatori sta facendo ricerca con i topi- cavie, e lo fa negli Usa...
«Esattamente, eppure proviene dalla “Sapienza” di Roma. Occorre mettere i nostri cervelli nelle condizioni di sviluppare le idee nel nostro paese».
Ha qualche ricetta in proposito?
«Il merito, anzitutto. Nessuno scienziato rientrarà Italia se non viene messo nelle condizioni di operare su reali capacità».
Però anche i finanziamenti nella ricerca lasciano a desiderare...
«L’Italia investe l’1,4% del Pil, gli Usa il 2,69, l’Ue l’1,93, il Giappone il 3,12%».
Sviluppo, ricerca e innovazione se parla tanto ma poi...
«Se anche raddoppiassimo di quattro volte le risorse di oggi e non li attribuissimo sul merito, non avremmo mai uno scienziato tutto italiano».


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