Unità: Sì, c’è posta per la Cgil
È stata usata, nel corso delle recenti discussioni in casa Cgil, una simpatica metafora. Non siamo, ha detto una delle dirigenti confederali, Carla Cantoni, come in certe trasmissioni televisive, del tipo di «Non c’è posta per te».
Bruno Ugolini
È stata usata, nel corso delle recenti discussioni in casa Cgil, una simpatica metafora. Non siamo, ha detto una delle dirigenti confederali, Carla Cantoni, come in certe trasmissioni televisive, del tipo di «Non c’è posta per te». In quelle sceneggiate, infatti, prima ci si insulta a dovere e poi ci si abbraccia. Tutti insieme felici e contenti, come se niente fosse. L’allusione era alle polemiche sul protocollo siglato col governo e portato al giudizio dei lavoratori. C’erano da una parte le Confederazioni nel loro insieme (ovvero con tutto l’arco delle strutture sindacali). Dall’altra parte componenti come «Lavoro e società» e «Rete 28 aprile», ma soprattutto un importante sindacato di categoria, la Fiom. I primi sottolineavano l’importanza dei risultati raggiunti malgrado le manchevolezze registrate. I secondi elencavano quel che mancava e le cose che non andavano. Anzi c’era qualcuno che addirittura sosteneva che il protocollo rappresentava un brutale peggioramento della condizione dei lavoratori. Tutti propugnavano il rifiuto del protocollo. Il Comitato centrale della Fiom votava un solenne «No» a quell’accordo. Senza tener conto che era un accordo negoziato non dalla Fiom ma dalla Cgil. Era un modo per sfiduciare i negoziatori confederali. Ma che cosa sarebbe successo se la Fiom avesse siglato un contratto poi sottoposto alla consultazione e la Cgil fosse intervenuta per farlo bocciare dai lavoratori? Il punto più aspro delle polemiche lo si è avuto però quando è partita la campagna umiliante sui presunti brogli compiuti dagli stessi sindacalisti nell’organizzare il voto.
Ecco perché non si poteva far finta di niente e ipotizzare un superamento dei contrasti alla maniera di «Non c’è posta per te», ovverosia a tarallucci e vino. E così si è deciso di allargare la discussione alle periferie del sindacato.
Il confronto nel frattempo si è dislocata nelle pagine dei giornali. E si è letto, ad esempio, un articolo di Rossana Rossanda che pretendeva le dimissioni di Guglielmo Epifani. Il suggerimento era quello di seguire l’esempio di Bruno Trentin nel 1992. Causa: assenza di mandato da parte del gruppo dirigente. C’è una piccola differenza: nel 2007 Epifani il mandato lo aveva. Non solo, tale mandato era stato convalidato dalla consultazione tra i lavoratori italiani.
Altri attacchi ad Epifani si sono letti poi sul sito www.rossodisera.info, una pubblicazione quotidiana on line che vorrebbe dedicarsi all’unità delle sinistre. Qui si è potuti leggere un corsivo anonimo che sosteneva come la Cgil abbia ormai deciso da tempo di "essere parte del partito democratico" E coloro che ad esempio nella segreteria Confederale (Nerozzi, Piccinini, Fammoni, Cantone) aderiscono a «sinistra democratica» sono come degli infiltrati. Sono lì «per fare saltare la cosa rossa in modo che il Pd rimanga senza concorrenti credibili». Insomma la Cgil sarebbe «l’ostacolo maggiore all’unità della sinistre».
Trattasi di annotazioni deliranti che testimoniano di come sia grande la confusione sotto i cieli. E come sia necessario uscirne fuori riaffermando l’autonomia del sindacato nel suo insieme (Cgil, Cisl, UiL). Un sindacato capace di proprie autonome iniziative, senza accodarsi a manifestazioni politiche come quella del 20 ottobre. A meno che non si creda che quella piazza San Giovanni gremita, sia stata il frutto di spinte spontanee determinate da due giornali di non vistose tirature e non da soggetti organizzati come Prc, Pdci e la Fiom.
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