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Unità: «Senza la diversità saremmo finiti, il manifesto antirazzista serve a dire questo»

MARCELLO BUIATTII siamo in un brutto momento politico e sociale, negli ultimi anni l’astio e l’indifferenza fra le persone è aumentato

09/07/2008
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l'Unità

di Francesco Sangermano

Professor Buiatti, da cosa nasce l’esigenza di un manifesto antirazzista come quello che lei ha redatto e che sarà presentato a San Rossore?
«Dal fatto che siamo in un momento sociale e politico molto brutto da vari punti di vista. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’aumento dell’astio e dell’insofferenza fra le persone. C’è una paura collettiva del futuro, una sensazione di perdita di speranza come se fossimo davanti a una crisi economica drammatica quasi come quella del ‘29. Ma non è così».
Cosa genera questa paura?
«La storia ci insegna che in questa fragilità dell’identità di popolo, succede che si tende a cercare un caprio espiatorio. Settant’anni fa erano gli ebrei come me, ora sono i rom, gli immigrati, i diversi in generale».
Si è arrivati, per i rom, perfino a parlare di schedature. Che effetto le fa?
«Sono provocazioni bestiali che incitano, appunto, a trovare in quei soggetti il caprio espiatorio, il nemico da accusare per le cose che non vanno nella nostra società. Esattamente come è accaduto all’epoca nazista o in tutte le guerre etniche. Ma se allora, nella Germania nella quale nacque e si affermò il Nazismo, si era in condizioni di reali crisi, la nostra situazione attuale non è minimamente paragonabile. E anche se non arriveremo a ripetere quei fenomeni, incitare all’odio è comunque altrettanto colpevole».
Il manifesto smonta punto per punto quello dei suoi colleghi di settant’anni fa.
«Era importante fare una verifica della realtà e spiegare in modo corretto, da scienziati, quello che scienziati scorretti avevano teorizzato in passato. Molte volte azioni politiche negative cercano di giustificarsi con concezioni e dati scientifici e noi abbiamo voluto chiarire che i dati scientifici dicono altro».
Ovvero?
«Che le tesi sulla razza di settant’anni fa non hanno alcun fondamento. Non foss’altro perché allora la genetica era veramente agli albori e non sapevano neppure cosa fosse il Dna dato che la doppia elica è stata scoperta nel 1953. Ma il razzismo è nato ben prima della genetica e allora faceva “comodo” attribuire caratteristiche di ereditarietà ai carattere fisici e alla mentalità. Col risultato che se una persona non si poteva cambiare era da considerare un nemico e andava ucciso».
Crede che certi pregiudizi siano presenti ancora oggi in qualche misura?
«Io penso che se chiediamo agli italiani la differenza fra rom e romeno non lo sanno. Eppure non è affatto la stessa cosa. I rom non sono romeni. I rom sono anche romeni. Ma gli uni sono originari addirittura dell’India mentre i romeni sono un popolo di matrice slava e latina. Invece si procede per omologazione perché sigla e nome del popolo si assomigliano. Sembra di ragionare al livello culturale di allora».
Dal punto di vista scientifico, invece, cosa è oggi la diversità?
«Senza la diversità ci troveremmo di fronte a un grande limite culturale. Perché gli esseri umani hanno in sé molta poca variabilità genetica. Piuttosto quello che ci distingue ad esempio dalle scimmie è che noi ci rapportiamo ai diversi ambienti adattandoli a noi e formando in ogni luogo una sua lingua, una sua cultura. Cambiare per adattarsi alle condizioni del pianeta è la nostra ricchezza. Se perdessimo questa variabilità culturale saremmo finiti».


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