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unità: Se li facciamo sentire «contro natura»

SCUOLA E DIVERSITÀIl terrore degli altri: così un ragazzo dolce compie su sé un gesto efferato

06/04/2007
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l'Unità

di Delia Vaccarello

L’omofobia è una lunga mano che riesce ad armare le sue vittime convincendole a togliersi di mezzo. Marco subiva violenza da oltre un anno. «Sei gay, sei come Jonathan». Aveva 16 anni, ottimi voti, un carattere sensibile. Fuggiva le liti. Martedì si è inflitto una coltellata in pieno petto e poi si è buttato dal quarto piano di una palazzina residenziale. Ha perseguito il progetto di suicidarsi con estrema determinazione. Il gesto di Marco è un dito puntato contro chi affronta in modo strumentale la questione gay. Per provare a interpretare la disperazione di Marco occorre parlare di adolescenza, di bullismo antigay e dei reiterati attacchi delle gerarchie ecclesiastiche e di alcuni politici.
In adolescenza, età delle incertezze, è fortissimo il bisogno di essere “compresi da dentro”. Non plagiati, né abbandonati. Ma ascoltati da orecchie attente e discrete. I ragazzi che riescono a esprimere il disagio oggi lamentano due tipi di adulto: l’adulto che vuole “clonarli” e l’adulto che volta loro le spalle quando ci sono in ballo le emozioni e sceglie la rigidità. I ragazzi non si sentono “percepiti” dallo sguardo dei “vecchi” di cui hanno bisogno per cogliere se stessi. La conseguenza è che spesso non si ritengono titolari di ciò che provano, né responsabili delle proprie azioni. È come se la loro immagine fosse divisa in tanti “me stesso” che difficilmente diventeranno un io armonico. La violenza contro i gay diventa una forma di aggressività messa in atto a volte senza percepirne il senso. È la violenza contro colui che è visto come “debole” e che per questo fa paura (e Marco era "debole" anche per la storia di immigrazione alle sue spalle). Se i ragazzi non sono educati a entrare in contatto con le proprie emozioni compresa la fragilità, cercano di sterminare il compagno “debole” per differenziarsi da lui e proclamarsi forti. Il ragazzo perseguitato perché gay non si sente in diritto di vivere. In primo luogo perché negare le emozioni di chiunque è come dire: «Tu non esisti». In secondo luogo perché i compagni inquietati dall’immagine del “diverso” che pone loro conflitti non sostenibili gli dicono: «Tu non devi esistere». Marco si è suicidato con determinazione, eppure era “dolce e sensibile”. Ma è stato efferato con se stesso perché la sua mano era diventata ormai quella di un burattino che il gruppo terrorizzato dall’omosessualità vista come debolezza muoveva a suo piacimento.
Le scuole italiane traboccano di questi fenomeni. In una delle classi dove promuovo attività anti-omofobiche, un ragazzo commentando il racconto di un coetaneo che aveva sognato di essere baciato da un amico è sbottato: «Io non faccio di questi sogni». Il terrore dell’omosessualità gli ha fatto prendere le distanze persino dal mondo onirico. Oggi questo terrore non viene lenito nei giovani né da una forma di educazione sapiente, sempre più necessaria, né da una immagine dei gay rispettosa. Gli omosessuali sono spesso nell’immaginario collettivo figure di poco peso, eppure oggetto di condanna. L’atteggiamento di chi oggi li definisce “contro natura” solo perché chiedono diritti semina disperazione. I compagni di Marco hanno percepito che l’omosessuale è un bersaglio anche di molti adulti considerati autorevoli. Dovevano controllare la loro aggressività, ma neanche i grandi lo fanno.


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