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Unità: Se la scuola «ministerializza» i bambini

Luigi Berlinguer

25/07/2007
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l'Unità

«Ho impiegato 70 anni di lavoro mentale per capire che un uomo è un bambino andato a male». Questo vecchio detto toscano sembra un paradosso ma è la verità. Se guardiamo alla scuola, è proprio così. Pensate quanto è vecchio e noioso il dibattito adulto sulla scuola oggi. Come mai? Perché non si è riflettuto abbastanza su che cosa sia la scuola, che cosa significhi scuola. Ebbene scuola significa appunto imparare. E chi è per eccellenza colui che impara? Il bambino. La sua prima incalzante parola è «che cos’è? Perché?» e cioè la premessa, la molla di ogni apprendimento. Il bambino non ti da tregua: «perché?». Non è immaginabile un bambino che cessa - anche per un attimo - di imparare. Ogni impulso, ogni atto è in lui apprendimento, accrescimento. Il bambino è il prototipo dell’apprendimento. Intelligenza velocissima, disponibile, aperta, che assorbe subito e tanto? Che ricorda, consolida rapidamente ciò che introita. Il bambino ragiona senza schemi, senza veli (pensate al contrario all’ideologismo adulto, deformante e chiuso, mistificatore del reale, come diceva Marx). Il bambino interroga, si interroga, senza limiti, «perché?»; viene fuori con domande e considerazioni fulminanti, ragiona senza rigidità o incrostazioni o pregiudizi. Impara, cioè. Gianni Rodari diceva: «I bambini capiscono più di quello che noi sospettiamo. Sono disponibili per ogni audacia, non soffrono di schematismi, ignorano i regolamenti ufficiali dei generi letterari, apprezzano l’umorismo, adorano i giochi di parole... ».

Il bambino è un vero laico, non è né «clericale» né «laicista», non è neanche fondamentalista, perché tutto vuole verificare. Ha un po’ dello scienziato, curioso di sperimentare e insieme portato a sistemare, definire, con le sue fresche e irriverenti considerazioni. È intellettualmente coraggioso. Impara, cioè.

Allora: vogliamo davvero svecchiare il nostro sistema di istruzione? Non facciamo andare a male il bambino, non allontaniamoci da lui. E invece la nostra scuola secondaria, piano piano, ha finito per sopprimere il bambino. Si è ministerializzata, irrigidita, un po’ incallita. Badate che è difficile ministerializzare i bambini. E di fatti le elementari sono in parte riuscite a sottrarsi alla morsa del neoidealismo detuttivista. Merito degli insegnanti, delle maestre, ma soprattutto della forza incontenibile del bambino. Anche perché la sua anima allo stato naturale non differenzia l’anima del ricco da quella del povero. E in una classe elementare si trovano bambini ricchi e poveri. E questa mistura è stata essa stessa un arricchimento, perché così l’ambiente diviene assai più adatto all’apprendimento di un ambiente di apartheid. Educa alla democrazia, alla civiltà, ai buoni sentimenti, e insieme - fondamentale - ci si impara di più un ambiente bambino.

Ma nella scuola secondaria ministerializzazione, autoritarismo didattico (e, diciamolo, inconfessata intenzione classista), sono riusciti ad allontanare il bambino, e cioè allontanare l’apprendimento come centro vero dell’istruzione. Sull’apprendimento ha prevalso l’insegnamento. Anche con taluni successi, in qualche caso e per qualche tempo, ma sempre per percentuali assai basse di alunni. Ma la centralità del solo insegnamento ha spento la potenzialità e la potenza discente dei più.

Questa nostra istruzione ha reciso sapientemente le corde vibranti dell’apprendimento che il bambino simboleggia, e cioè l’espressività, l’emotività, la curiosità, la passione. Ha escluso l’arte dalla scuola. Voi non ci crederete, ma è così: ha escluso l’arte. Forse perché essa è pratica e quindi non fa parte della cultura (!) non mi si fraintenda: non parlo della storia dell’arte (anche quella) ma della espressività artistica vera e propria. Ha spento la propria personale creatività artistica. Entrate in una scuola elementare e guardate quei deliziosi disegni che ne tappezzano le pareti ridenti. Il bambino vuole dipingere o cantare, e purtroppo non lo si sostiene abbastanza in questo. Crescendo, però, queste emozioni vengono definitivamente spente. Si spegne la passione, quella che Rodari definiva «capacità di resistenza e rivolta, volontà di azione e dedizione, il coraggio di sognare in grande». Si spegne così l’amore per il bello, per il ridere insieme. Ancora Rodari (scusatemi l’abuso): «Nelle nostre scuole si ride poco. L’idea che l’educazione della mente debba essere una cosa tetra e la più difficile da combattere».

Questa stessa nostra vecchia istruzione ha anche escluso l’osservazione scientifica, ha trasformato la natura e la scienza in carta, ha spento la curiosità scientifica. Ha di nuovo allontanato il bambino. Ed ha così indebolito anche un altro aspetto essenziale dell’istruzione, l’educazione alla cittadinanza.

Più di chiunque il bambino, infatti, vive la comunità educante come l’ambiente proprio, di essa è il sale e il pepe, l’anima. Più di altri il bambino sente il bisogno di comunità, di socializzazione, ne assorbe la regola. Ha bisogno di modernità. Più di altri si avvantaggia della democrazia, delle cresciute libertà dei giovani e dei bambini, e sono anche forza dissacrante dell’autoritarismo adulto; è più moderno e divora e domina la tecnologia ne scopre potenzialità creative e risorse ludiche. Si avvantaggia dell’intreccio fra democrazia antiautoritaria e moderne opportunità e potenzialità tecnologiche fino a prendersi una rivincita storica: pretende di essere anche lui, almeno un po’, ad insegnare agli adulti. E già, perché domina il mezzo assai più di loro. Divertente: il bambino rischia di trasformare la gerarchia autoritaria e unidirezionale «cattedra-banco» in un vero e proprio circuito apprendimento-insegnamento, in un processo circolare (o quasi) un tantino dissacrante dell’autorità docente. Obbliga gli adulti a svecchiarsi, darsi una mossa, pena la brutta figura. Il suo coraggio spericolato e la maturazione di inedite abilità cognitive sono le carte vincenti della riscossa del bambino.

Attenzione però. La nostra grande Italia gerontocratica, ove un quarantenne ricercatore universitario è considerato un giovinetto; l’Italia dell’amarezza e del tetro piagnisteo, che non vede altro che bulli fricchettoni e rockettari, che pretende che tutto piova dall’alto e meno si ingegna a risolvere un po’ da sé; la nostra vecchia Italia può ancora uccidere il bambino. Può conservare un’istruzione scolastica deduttiva, come ai bei tempi antichi.

Stia attenta però questa vecchia Italia popolata di amareggiati e nostalgici, perché i bambini sono coraggiosi, testardi, curiosi ed inguaribilmente ottimisti. A scuola vogliono giocare, ridere, provare gioie ed emozioni, passione. Invocano il ricordo e il rispetto dell’insegnamento di Bambini italiani assai grandi, anche loro messi da parte da adulti piccini, neoidealisti tardogentiliani, fra i quali Maria Montessori, Gianni Rodari, Emma Castelnuovo, Loris Malaguzzi e Don Milani. Ce la faranno i bambini a vincere la partita? Mi pare che ci stiano provando, che si stiano mettendo in marcia. Vedo qualche buon segnale nel governo, i contenuti e i metodi - che sono il 90 per cento della scuola - possono tornare così al centro del dibattito e delle politiche scolastiche.


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