Unità: Se la pace non ha valore
Marina Boscaino
Un episodio locale - l'apparente consueta, insignificante schermaglia tra maggioranza e opposizione - ci dice molto del rapporto tra particolarismi e perdita di valori condivisi che caratterizza il mondo in cui viviamo. Un mondo in cui miopia politica e disimpegno civile si mischiano a disinteresse e deroga o cessione delle responsabilità delle istituzioni rispetto alla propria funzione esemplare ed educativa.
Il gruppo dell'Ulivo del XX Municipio di Roma (da Ponte Milvio fino alla periferia Nord della capitale) ha proposto una delibera sull'adesione alla Marcia della Pace di quel Municipio. Nonostante il parere favorevole di tutte le commissioni consiliari competenti, e contraddicendo il lavoro istruttorio delle commissioni stesse, la maggioranza di centrodestra ha compattamente espresso voto contrario bocciando la proposta. Il XX Municipio rischia di essere dunque l'unico a non aderire al rituale e fortemente simbolico appuntamento della Perugia-Assisi, che si terrà dall'1 al 7 ottobre prossimi. E indipendentemente dalle adesioni, la bocciatura della proposta sconfessa l'idea sacrosanta che quella della pace, dei diritti umani, della solidarietà dovrebbe rappresentare una piattaforma trasversale e comune, pronta ad essere recepita e sostenuta - nonostante le diversità degli orientamenti e delle posizioni politiche - da chiunque abbia responsabilità di carattere politico e amministrativo.
Perché sto parlando di un episodio indubbiamente periferico rispetto alla valenza mondiale della marcia e dei valori di cui essa si fa promotrice? Perché esso rappresenta in maniera significativa il pericoloso scollamento tra sistema politico istituzionale, sue derivazioni, sue - a quanto pare - necessarie ed endemiche ambiguità e disfunzioni e sistema di valori di cui alla scuola si richiede di farsi portatrice. La scuola pubblica - così come è configurata e definita dagli articoli della Costituzione ad essa riferiti - è certamente, più di qualsiasi altro, il luogo in cui si dovrebbe tentare di creare cittadini consapevoli; stimolare incessantemente e con tutti i mezzi a disposizione riflessione e analisi che, nella cultura in sé, nel processo di emancipazione che essa offre a chi la acquisisce e nelle specifiche espressioni che la cultura stessa ha prodotto su quei valori, pone al centro i diritti di cittadinanza, rafforzando negli alunni le relative competenze. Sappiamo bene lo sforzo che la buona scuola (quella che ci crede, quella politicamente, civilmente e culturalmente è motivata) deve fare per riuscire a sostenere questo compito; là dove, fuori dalle aule, il mondo racconta tutt'altro. E vilipende nei fatti - quasi li oltraggia - quei valori. L'episodio di Roma è ancora più grave; perché il rifiuto, la rinuncia, la non adesione ai valori incarnati dalla Perugia-Assisi provengono non da una trasmissione televisiva trash o dalla bocca di un opinionista ottuso concentrato sul proprio isolato momento di popolarità attraverso l'affermazione provocatoria; ma da chi ha la responsabilità di amministrare e guidare un territorio. Da chi, cioè, più di qualsiasi altro organismo, dovrebbe assumersi il compito di coadiuvare la scuola nel proprio ruolo educativo. Tentando di arginare la deriva qualunquista, il disimpegno, il vuoto pneumatico di valori in cui, ormai, non ci dibattiamo nemmeno più; ma sul quale ci siamo comodamente seduti eliminando dai nostri codici comportamentali indignazione e partecipazione. Se nasca prima l'uovo o la gallina - se cioè la rinuncia sia la conseguenza dei fatti o viceversa - è un problema filosoficamente, politicamente, storicamente assai complesso. Dalle colonne di un giornale, però, si può segnalare un episodio che - per quanto periferico - asseconda quella deriva. E che perciò vale la pena di denunciare.